Mentre esiste un’ampia letteratura che dimostra come l’interruzione dell’assunzione di denosumab senza un’adeguata strategia farmacologica successiva porti a una rapida inversione del suo effetto terapeutico, non ci sono dati su come ritardi involontari o mancate iniezioni di denosumab incidano sulla risposta della densità minerale ossea (BMD). Nello studio “Delayed Denosumab Injections and Bone Mineral Density Response: An Electronic Health Record-based Study“, un gruppo di ricercatori di Boston (Massachussetts) ha quindi esaminato l’effetto della mancata aderenza alla terapia con denosumab sul cambiamento di BMD, dimostrando che
l’allungamento dell’intervallo oltre i sette mesi tra iniezioni successive di denosumab è associato a una risposta non ottimale della BDM.
Sospensione di denosumab e inversione dell’effetto terapeutico
Denosumab è un efficace farmaco inibitore del riassorbimento osseo, comunemente prescritto per il trattamento dell’osteoporosi. È un anticorpo monoclonale completamente umanizzato che si lega all’attivatore del recettore del ligando fattore-κB nucleare con elevata specificità e affinità, compromettendo in tal modo la funzione degli osteoclasti e inibendo il riassorbimento osseo.
Un ampio studio randomizzato di fase 3, controllato con placebo, ha mostrato che denosumab 60 mg ogni 6 mesi ha aumentato significativamente la densità minerale ossea (BMD) per 24 mesi ed è stato associato a ridotte fratture vertebrali, non vertebrali e dell’anca a 36 mesi. Uno studio a lungo termine ha mostrato che le iniezioni di denosumab per un massimo di 10 anni erano associate a bassa incidenza di fratture e aumento prolungato della BMD senza un plateau evidente.
A differenza dei bisfosfonati, l’interruzione di denosumab porta a una rapida inversione del suo effetto terapeutico, senza follow-on del trattamento antiosteoporosi, il turnover osseo si riporta sopra i livelli basali tre mesi dopo l’interruzione e la BMD acquisita nei precedenti due anni viene ridotta ai livelli basali dopo un anno. L’interruzione del denosumab espone inoltre i pazienti a un aumentato rischio di fratture vertebrali multiple, in particolare nei pazienti con precedenti fratture vertebrali. Queste fratture si verificano spesso entro un breve periodo dalla sospensione del trattamento (da due a dieci mesi dopo che l’effetto terapeutico di denosumab è diminuito o da otto a 16 mesi dall’ultima iniezione di denosumab), evidenziando l’importanza di una somministrazione tempestiva.
Sebbene ritardare o omettere le dosi di denosumab sia teoricamente associato a una risposta sfavorevole alla BMD e a un aumentato rischio di frattura da fragilità, mancavano i dati della pratica clinica. Studi precedenti a quello effettuato dai ricercatori di Boston si sono concentrati principalmente sui fattori di rischio e sul tasso di interruzione del denosumab, che era del 49% a 12 mesi e del 64% a 24 mesi. In uno studio europeo, l’adesione (definita come inferiore a sette mesi tra due iniezioni consecutive) è stata dall’83% all’89% a 12 mesi e del 63% al 70% a 24 mesi. Sebbene vi siano ampie prove che l’aderenza al dosaggio semestrale diminuisca, l’impatto di questi ritardi sulla BMD è stato scarsamente analizzato.
Effetti della mancata aderenza alla terapia con denosumab sulla BMD
Per valutare l’efficacia degli interventi, il gold standard è uno studio randomizzato controllato. Tuttavia, ciò non è possibile in caso di ritardo nel dosaggio di denosumab. Un approccio osservazionale, che sfrutta le variazioni dei tempi di somministrazione di denosumab, ha consentito al gruppo di Boston di esaminare il loro impatto sulla risposta alla BMD in contesti clinici di routine.
Per la realizzazione dello studio sono state usate le cartelle cliniche elettroniche conservate in due ospedali universitari dal 2010 al 2017, prendendo in considerazione quelle di pazienti di età superiore ai 45 anni che abbiano utilizzato almeno due dosi da 60 mg di denosumab.
L’aderenza alla terapia con denosumab è stata valutata in base al rapporto di copertura terapeutica (MCR): una buona aderenza corrisponde a un intervallo di dosaggio ≤7 mesi (definito da MCR ≥93%), una moderata aderenza corrisponde a un intervallo da 7 a 10 mesi (MCR 75%–93%) e una scarsa aderenza corrisponde a un intervallo ≥10 mesi (MCR ≤75%).
I risultati sono stati misurati valutando la variazione percentuale annualizzata rispetto al basale di BMD della colonna lombare, dell’anca totale e del collo del femore.
I ricercatori hanno identificato 151 pazienti che hanno ricevuto 938 iniezioni di denosumab. L’età media (DS) dei pazienti era di 69 anni; il 95% era di sesso femminile.
Lo studio ha mostrato che l’aderenza alla terapia con iniezioni di denosumab da tre a cinque anni non era ottimale: quasi la metà della popolazione studiata ha avuto almeno un ritardo di iniezione da oltre quattro mesi a quattro anni.
I pazienti con una buona aderenza hanno mostrato un aumento della BMD annualizzato del 3,9% alla colonna lombare, rispetto ai pazienti con aderenza moderata (3,0%) o scarsa (1,4%, P per tendenza 0,002). I pazienti con una buona aderenza hanno avuto un aumento della BMD annualizzato del 2,1% sull’anca totale, rispetto ai pazienti con aderenza moderata (1,3%) o scarsa (0,6%, P per tendenza 0,002).
Lo studio dimostra che intervalli più lunghi tra le somministrazioni di denosumab sono associati a una risposta BMD non ottimale a livello dell’anca e della colonna lombare totale. Questi risultati evidenziano l’importanza della tempestiva somministrazione di denosumab quando si utilizza questo farmaco per la gestione dell’osteoporosi a lungo termine.
Un’osservazione importante dello studio è che dopo i 24 mesi l’aderenza alla terapia con denosumab è diminuita drasticamente, con percentuali di pazienti aderenti del 28% a 36 mesi, del 13% a 48 mesi e dell’8% a 60 mesi. Scoperta ancor più inquietante è che un’ampia percentuale della popolazione studiata ha avuto almeno un ritardo di oltre quattro mesi: ben il 27% a 36 mesi, il 44% a 48 mesi e il 63% a 60 mesi. Data la differenza osservata nell’aumento della BMD tra i pazienti che hanno ricevuto denosumab nei tempi previsti e quelli con intervallo superiore a sette mesi tra le dosi, è probabile che questi pazienti presentino un rischio più elevato di miglioramenti non ottimali della BMD, o addirittura diminuzioni, durante il periodo di non trattamento.
Per rendere più efficaci gli interventi terapeutici, vanno implementati interventi volti a migliorare l’aderenza a lungo termine a denosumab.
In un’analisi stratificata post hoc, i ricercatori hanno verificato se l’effetto dei ritardi nell’assunzione della terapia era diverso tra i primi anni e i successivi. L’aumento di BMD annualizzato nel gruppo con scarsa aderenza era costantemente inferiore rispetto ai gruppi con aderenza moderata e buona, ma tutti gli aumenti di BMD erano inferiori negli anni successivi. Nel gruppo con scarsa aderenza, durante i primi due anni di trattamento, l’aumento di BMD annualizzato è stato del 2,9% alla colonna lombare e dell’1,0% all’anca totale; oltre i due anni, gli aumenti erano piuttosto modesti, con solo lo 0,1% a livello della colonna lombare e lo 0,1% a livello dell’anca totale.
Secondo i risultati dello studio, il ritardo nell’assunzione di denosumab potrebbe avere un effetto più negativo negli anni successivi ai primi due.
Queste intuizioni andrebbero tuttavia ulteriormente indagate: gli stessi ricercatori dichiarano di non aver potuto disporre di strumenti statistici sufficienti per rilevare in modo conclusivo l’interazione tra ritardo e durata del trattamento. Studi che utilizzano marcatori del turnover osseo o misurazioni istomorfometriche possono fare ulteriore luce su questo fenomeno.
Implicazioni cliniche della mancata aderenza alla terapia
In conclusione, lo studio, la cui originalità sta nella valutazione dell’impatto del ritardo nel dosaggio di denosumab sulla BMD, ha dimostrato che nella popolazione considerata l’aderenza a lungo termine alla terapia non è stata ottimale. Una migliore aderenza è associata a una maggiore risposta annualizzata della BMD sia alla colonna lombare che all’anca totale.
I ricercatori di Boston rilevano che, poiché la somministrazione di denosumab richiede un appuntamento con il sistema sanitario, i ritardi possono essere inevitabili nella pratica clinica di routine.
Attualmente, esistono poche prove relativamente a quanto possa essere allungato l’intervallo tra due somministrazioni successive. I risultati dello studio dimostrano che un ritardo di oltre quattro mesi (cioè un intervallo superiore a dieci mesi tra somministrazioni successive) può essere inaccettabile, ma sono necessari ulteriori studi per determinare la soglia esatta.
Individuare strategie efficaci per migliorare l’aderenza alla terapia con denosumab e implementare tali strategie è cruciale se si vogliono ottimizzare i benefici di questa terapia altamente efficace riducendo al minimo i potenziali effetti avversi.
Lo studio
Houchen Lyu, Sizheng S Zhao, Kazuki Yoshida, Sara K Tedeschi, Chang Xu, Sagar U Nigwekar, Benjamin Z Leder, Daniel H Solomon, Delayed Denosumab Injections and Bone Mineral Density Response: An Electronic Health Record-based Study, The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 105, Issue 5, May 2020, dgz321, https://doi.org/10.1210/clinem/dgz321
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