La malattia ossea di Paget (PDB) resta una delle più enigmatiche tra le patologie metaboliche dello scheletro. Colpisce in maniera focale, ma con effetti devastanti: deformazioni ossee, dolore cronico, fratture ricorrenti e, nei casi più gravi, trasformazioni neoplastiche. Negli ultimi anni è emerso con chiarezza che una quota rilevante delle forme precoci e aggressive ha un’origine genetica.
Il lavoro di Weng e colleghi, pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism (2025), aggiunge un tassello decisivo: la mutazione missenso L112P nel gene PFN1, che codifica la Profilina 1. Il dettaglio più sorprendente? Questa variante si colloca a pochi residui da mutazioni che, nello stesso gene, determinano SLA. Eppure, nei pazienti studiati, il fenotipo è esclusivamente scheletrico.
Profilina 1, crocevia cellulare
La Profilina 1 è una piccola proteina ubiquitariamente espressa, regolatrice dinamica del citoscheletro di actina. Nei precursori osteoclastici il suo ruolo è cruciale per la formazione dell’”anello di actina”, la zona di adesione che sigilla la superficie ossea permettendo il riassorbimento.
Nei motoneuroni, altre mutazioni di PFN1 destabilizzano la proteina e innescano l’accumulo di TDP-43, con iperattivazione del segnale NF-κB e degenerazione progressiva. Con la mutazione L112P, invece, il destino cambia: nessuna degenerazione neuronale, ma un’iperattività osteoclastica che scolpisce lo scheletro.
Ritratti clinici: fratture, deformità, tumori
Lo studio ha analizzato due famiglie Han cinesi.
- Famiglia 1. Il probando, dopo una frattura del radio a 26 anni, sviluppa rapidamente una forma poliostotica con oltre 20 sedi interessate. A 33 anni compaiono tumori cranici diagnosticati come tumori a cellule giganti. La madre, anch’essa mutata, muore a 39 anni dopo fratture e lesioni mandibolari.
- Famiglia 2. Qui i portatori mostrano dolore osseo e deformità persistenti nonostante terapia a lungo termine con denosumab.
In entrambi i casi, il trattamento con zoledronato o denosumab non ha portato alla normalizzazione della fosfatasi alcalina né a un miglioramento clinico significativo, a differenza di quanto avviene nelle forme sporadiche.
Dal letto al banco: un modello murino
Per chiarire i meccanismi, i ricercatori hanno generato topi knock-in Pfn1L112P.
- L’omozigosi risulta letale in fase embrionale.
- Gli eterozigoti presentano crescita ridotta, sutura cranica allargata, curvatura spinale e ridotta densità trabecolare.
- Le analisi micro-CT e istologiche evidenziano osteoclasti giganti, iperattivi e con anelli di actina sovrabbondanti.
Curiosamente, nei test di motricità (rotarod) i topi non mostrano deficit: un’ulteriore conferma che la mutazione non tocca il sistema nervoso.
Mutazioni vicine, destini diversi
Come spiegare due fenotipi così divergenti nello stesso gene? La risposta sta probabilmente nella natura multifunzionale della Profilina 1, che interagisce con partner proteici diversi a seconda del tessuto. La mutazione L112P agisce con effetto dominante negativo sull’osteoclasto, senza interferire con le vie neuronali.
Il confronto con famiglie italiane portatrici di frameshift in PFN1 rafforza il quadro: in Cina prevalgono trasformazioni in tumori a cellule giganti, in Italia in osteosarcomi. Differenze genetiche di fondo ed epigenetiche possono modulare l’evoluzione neoplastica.
Implicazioni terapeutiche
L’inefficacia dei farmaci anti-riassorbitivi standard indica un nodo cruciale. Bloccando solo la via RANKL-RANK non si corregge l’anomalia indotta da PFN1 L112P. La patogenesi non dipende infatti dall’attivazione di NF-κB, bensì da una disregolazione dell’architettura actinica.
Questa consapevolezza apre la strada a nuovi approcci: molecole che modulino la dinamica dell’actina, terapie combinate che agiscano sia su osteoclasti sia su osteoblasti, o strategie mirate alle interazioni specifiche di Profilina 1. Il modello murino rappresenta uno strumento chiave per testare futuri interventi.
Uno sguardo avanti
La vicenda di PFN1 L112P racconta come minime variazioni genetiche possano portare a destini clinici radicalmente diversi: neurodegenerazione fulminante da un lato, devastante fragilità scheletrica dall’altro.
Per i clinici, la lezione è chiara: nei casi di Paget precoce e aggressivo, lo screening genetico è indispensabile. Per i ricercatori, la sfida è disegnare terapie che vadano oltre il semplice blocco del riassorbimento, intervenendo nel cuore della dinamica citoscheletrica.
Lo scheletro, in fondo, è un archivio vivente delle pressioni biologiche e ambientali. In esso i geni scrivono storie che possono trasformarsi in patologia. Con PFN1, abbiamo appena decifrato un nuovo capitolo.
Lo studio
Rou Weng, Xiaoxiang Li, Hua Yue, Yang Xu, Zhe Wei, Shuqin Xu, Baojie Li, Zhenlin Zhang, A Missense Mutation in Close Proximity of ALS-linked PFN1 Mutations Causes Only Early-onset Paget Disease of Bone, The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, 2025; dgaf314.