mercoledì, Ottobre 8, 2025
SpecialitàendocrinologiaSfide e prospettive nella gestione ossea dell’ipogonadismo ipogonadotropo maschile

Sfide e prospettive nella gestione ossea dell’ipogonadismo ipogonadotropo maschile

La terapia ormonale rappresenta lo standard di cura nell’ipogonadismo ipogonadotropo maschile (HH), ma la sua capacità di ripristinare completamente la salute scheletrica rimane incerta. Una recente revisione sistematica e meta-analisi ha dimostrato che la BMD raramente raggiunge i valori normali, in particolare nei pazienti con forme congenite (CHH). Le implicazioni cliniche sono rilevanti: occorre un monitoraggio più rigoroso, un approccio terapeutico multidimensionale e una maggiore attenzione alla prevenzione delle fratture.

L’ipogonadismo ipogonadotropo maschile (HH) è una condizione rara – interessa circa 1 uomo su 2000 – ma con implicazioni significative per la salute ossea. L’assenza o l’insufficienza di testosterone compromette la formazione e il mantenimento della massa ossea agendo sia direttamente, attraverso i recettori androgenici, sia indirettamente tramite l’aromatizzazione a estradiolo, che inibisce il riassorbimento osseo. Il risultato è un aumento del rischio di osteoporosi e fratture, spesso in età relativamente giovane.

La terapia sostitutiva con testosterone (TRT) è da tempo considerata lo standard di trattamento, ma la sua reale efficacia nel riportare la densità minerale ossea (BMD) a livelli normali è stata finora poco chiara. La meta-analisi pubblicata su The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism fornisce nuove evidenze: pur migliorando la BMD, la terapia ormonale spesso non riesce a normalizzarla completamente, in particolare nei pazienti con forme congenite (CHH), anche dopo molti anni di trattamento.

BMD migliorata, ma raramente normalizzata

L’analisi di 24 studi osservazionali (625 pazienti) mostra che uomini con HH presentano valori significativamente più bassi di BMD sia a livello lombare che del collo femorale rispetto alla popolazione sana. Dopo il trattamento, si osserva un incremento statisticamente significativo dei valori densitometrici, ma con Z-score che rimangono inferiori alla norma: il valore medio per la colonna lombare è di –0,87 e per il collo femorale di –0,70.

Il dato più rilevante è che nei pazienti con CHH, anche dopo oltre 10 anni di terapia, la densità ossea non raggiunge i livelli dei controlli eugonadici. In uno studio francese, ad esempio, i pazienti trattati da oltre un decennio mostravano ancora un deficit sia nella BMD areale che nella microarchitettura trabecolare. Al contrario, i soggetti con HH acquisito sembrano ottenere risultati migliori, probabilmente per un esordio tardivo della condizione e per un’integrità scheletrica preesistente.

Età di inizio e aderenza: fattori chiave per la prognosi

L’analisi evidenzia l’importanza di iniziare il trattamento il più precocemente possibile. I pazienti che hanno ricevuto la terapia prima dei 19 anni o con forme parziali di HH presentano valori di BMD più elevati rispetto a coloro che hanno iniziato più tardi. Questo dato rafforza il concetto di “finestra critica” per l’accumulo della massa ossea: ritardare il trattamento può compromettere in modo permanente il picco di densità ossea raggiungibile.

Anche l’aderenza al trattamento emerge come variabile determinante. Gli studi segnalano frequenti casi di scarsa compliance, con conseguente esposizione a livelli subottimali di testosterone. L’utilizzo di formulazioni a lunga durata d’azione, il monitoraggio regolare dei livelli ormonali e il supporto terapeutico personalizzato possono migliorare gli esiti a lungo termine.

Fratture: un rischio ancora sottovalutato

Le fratture rappresentano l’endpoint clinico più rilevante nella gestione dell’osteoporosi maschile, ma sono state sistematicamente valutate in pochissimi studi. Dove presenti, i dati sono preoccupanti: fino al 17% dei pazienti con HH presenta fratture vertebrali rilevate radiologicamente, spesso in assenza di sintomi clinici. In uno studio su pazienti con sindrome di Kallmann, quasi il 30% mostrava deformità vertebrali dopo meno di sei mesi di trattamento.

Questi dati indicano la necessità di includere sistematicamente la valutazione morfometrica vertebrale (VFA) nel follow-up e di considerare strategie terapeutiche aggiuntive nei pazienti a maggior rischio.

Implicazioni per la pratica clinica

L’evidenza disponibile impone un ripensamento dell’approccio clinico alla gestione ossea nei pazienti con HH. Alcune raccomandazioni operative emergono con chiarezza:

  • Inizio precoce della terapia ormonale: fondamentale per ottimizzare l’accumulo di massa ossea e migliorare l’outcome a lungo termine.
  • Monitoraggio densitometrico regolare: DEXA ogni 1-2 anni, integrata con VFA per la ricerca di fratture vertebrali silenti.
  • Correzione dei fattori concomitanti: assicurare adeguati livelli di vitamina D e calcio, valutare l’assorbimento intestinale e trattare eventuali deficit nutrizionali.
  • Personalizzazione della terapia: considerare formulazioni di TRT a rilascio prolungato, eventuale aggiunta di gonadotropine nei pazienti più giovani e monitoraggio dei livelli sierici di testosterone ed estradiolo.
  • Follow-up multidisciplinare: endocrinologi, reumatologi e specialisti del metabolismo osseo dovrebbero collaborare per definire strategie di prevenzione delle fratture e migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Conclusioni

La terapia ormonale resta il cardine del trattamento dell’ipogonadismo ipogonadotropo maschile, ma non è sempre sufficiente a normalizzare completamente la densità ossea. Il ritardo nell’inizio della terapia, la scarsa aderenza, le fluttuazioni ormonali e possibili fattori genetici concorrono a spiegare questo fenomeno. L’approccio clinico deve quindi andare oltre la semplice somministrazione di testosterone, includendo strategie di prevenzione, monitoraggio e intervento personalizzato.

Alla luce di queste evidenze, appare sempre più urgente progettare studi multicentrici di lunga durata e includere nella pratica quotidiana un follow-up densitometrico rigoroso: solo così sarà possibile proteggere in modo efficace la salute ossea di questi pazienti e ridurre il rischio di fratture lungo tutto l’arco della vita.

Lo studio

Nipun Lakshitha de Silva, Elizabeth Hyams, Bonnie Grant, Paras Dixit, Rajdeep Bassi, Paul Bassett, Alexander N Comninos, Channa N Jayasena, Incomplete Evidence of Bone Density Normalization Following Long-Term Reproductive Hormone Treatment in Men With Hypogonadotropic HypogonadismThe Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, 2025.

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