L’osteoporosi postmenopausale è una delle condizioni più impattanti sulla salute femminile dopo la menopausa, caratterizzata da una progressiva perdita di massa ossea dovuta al calo estrogenico. Le implicazioni cliniche sono note: aumentato rischio di fratture, riduzione della qualità della vita e incremento della mortalità e dei costi sanitari. Ma la comprensione dei meccanismi alla base della PMOP resta ancora incompleta.
Lo studio cinese ha coinvolto 104 donne in postmenopausa, 45 con diagnosi di osteoporosi e 59 con massa ossea normale. Attraverso un’analisi integrata che ha combinato indicatori metabolici, funzionalità della barriera intestinale e sequenziamento del DNA fecale (16S rRNA), i ricercatori hanno delineato un quadro fisiopatologico sorprendentemente coerente, che mette in relazione alterazioni del microbiota intestinale con la patogenesi dell’osteoporosi.
Microbiota, dieta e metabolismo osseo: un triangolo patologico
Le pazienti affette da PMOP presentavano un’attività fisica inferiore, un’assunzione più elevata di grassi e una minore assunzione di calcio e proteine rispetto al gruppo di controllo. Dal punto di vista biochimico, mostravano livelli significativamente ridotti di vitamina D (25(OH)D), con contestuale incremento del paratormone (PTH) e del marker di riassorbimento osseo β-CTX. Tali parametri sono ben noti nella pratica clinica come indicatori di disequilibrio metabolico osseo.
Ma l’aspetto innovativo dello studio risiede nella correlazione di questi dati con la disbiosi intestinale. L’analisi del microbiota ha rivelato una ridotta diversità α (ACE, Shannon, Simpson) nelle donne con PMOP, e una chiara separazione delle composizioni batteriche (diversità β) rispetto al gruppo di controllo.
Intestino più permeabile, ossa più fragili
Uno degli aspetti più rilevanti emersi dallo studio è la compromissione della barriera intestinale nelle pazienti osteoporotiche. Rispetto alle donne con normale densità ossea, il gruppo PMOP mostrava livelli significativamente più alti di diamina ossidasi (DAO), acido D-lattico e lipopolisaccaridi (LPS) — tutti marker di alterata permeabilità intestinale.
Questa “leaky gut”, favorita anche dal deficit estrogenico, potrebbe favorire l’ingresso sistemico di endotossine batteriche, innescando una risposta infiammatoria cronica di basso grado in grado di influenzare negativamente il metabolismo osseo. Non è un caso che i livelli aumentati di LPS siano associati a un’accelerata attività osteoclastica e a una ridotta formazione ossea.
Roseburia e Bacteroides: nuove sentinelle per la salute dell’osso
L’approccio bioinformatico (modello random forest e curva ROC con AUC di 0,93) ha permesso di identificare alcuni generi batterici discriminanti tra i due gruppi. Tra questi, Roseburia, Bacteroides, Streptococcus e Dorea. In particolare, l’abbondanza di Roseburia ha mostrato una correlazione negativa con il T-score dell’anca, suggerendo che un’elevata presenza di questo genere potrebbe essere predittiva di una bassa densità ossea.
L’interpretazione di questo dato è complessa: Roseburia, generalmente considerato un produttore benefico di acidi grassi a catena corta (SCFA), potrebbe avere un ruolo differente in contesti estrogeno-carenti. La modulazione ormonale, infatti, influisce non solo sull’osso ma anche sulla composizione microbica intestinale.
Verso nuove strategie terapeutiche: prebiotici, probiotici e oltre
I dati dello studio supportano un’ipotesi già in fase di esplorazione in modelli animali: la manipolazione del microbiota intestinale potrebbe rappresentare un approccio terapeutico innovativo per la prevenzione e il trattamento della PMOP. Esperimenti su topi ovariectomizzati hanno mostrato che l’assunzione di Lactobacillus paracasei e L. plantarum è in grado di ridurre significativamente la perdita ossea e migliorare la densità minerale.
L’integrazione mirata con probiotici o simbiotici, l’utilizzo di prebiotici selettivi e la personalizzazione della dieta potrebbero diventare strumenti utili per influenzare positivamente l’asse intestino-osso, soprattutto in soggetti con fattori di rischio noti (sedentarietà, dieta iperlipidica, carenza di vitamina D).
Limiti dello studio e prospettive future
Pur essendo uno studio ben disegnato, il lavoro presenta alcuni limiti: la natura osservazionale e trasversale non consente di stabilire una causalità certa tra disbiosi intestinale e PMOP. Inoltre, le fluttuazioni stagionali della vitamina D e il numero relativamente limitato di pazienti suggeriscono la necessità di ulteriori conferme attraverso studi longitudinali e interventistici.
Tuttavia, il messaggio clinico è forte: la salute dell’osso non può più essere considerata un fatto esclusivamente ormonale o meccanico. L’intestino, con la sua popolazione microbica e la sua funzione barriera, è parte integrante dell’equilibrio osteo-metabolico.
Conclusioni
Lo studio di Zhu et al. rappresenta un’importante tappa nell’identificazione del microbiota intestinale come biomarcatore e possibile bersaglio terapeutico nella gestione dell’osteoporosi postmenopausale. Se confermato da ulteriori ricerche, questo asse intestino-osso potrebbe aprire la strada a strategie preventive non invasive, personalizzate e basate sulla modulazione del microbiota — in perfetta sintonia con i principi della medicina di precisione.
Lo studio
Zhu, C., Zhang, Y., Pan, Y., Zhang, Z., Liu, Y., Lin, X., … Nie, H. (2025). Clinical correlation between intestinal flora profiles and the incidence of postmenopausal osteoporosis. Gynecological Endocrinology, 41(1). https://doi-org.pros1.lib.unimi.it/10.1080/09513590.2025.2465587