La vitamina D, pro-ormone essenziale nella regolazione dell’omeostasi calcio-fosforo e nella salute scheletrica, è da decenni oggetto di studio anche per i suoi effetti extrascheletrici. L’articolo “A Systematic Review Supporting the Endocrine Society Clinical Practice Guidelines on Vitamin D”, pubblicato su The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, aggiorna in modo rigoroso le evidenze a disposizione, con l’obiettivo di supportare nuove raccomandazioni cliniche per la prevenzione delle malattie attraverso un’eventuale supplementazione.
Lo studio ha preso in esame 151 studi selezionati su oltre 37.000 pubblicazioni scientifiche, valutando l’impatto della vitamina D in diverse popolazioni: bambini, adulti sani, donne in gravidanza, soggetti con prediabete e anziani. Il metodo GRADE è stato impiegato per classificare il livello di certezza dell’evidenza.
Oltre il metabolismo osseo? Sì, ma con cautela
Nei bambini e adolescenti (1-18 anni), l’assunzione empirica di vitamina D è associata a una riduzione dell’incidenza di infezioni respiratorie, ma con evidenza di bassa qualità. Non è stato invece dimostrato un effetto preventivo statisticamente significativo su asma, tubercolosi o insorgenza di malattie autoimmuni. Nessuno degli studi inclusi ha valutato la prevenzione del rachitismo, benché l’associazione tra carenza di vitamina D e rachitismo sia storicamente ben consolidata.
Per gli adulti sotto i 50 anni sani, l’evidenza mostra che la supplementazione empirica di vitamina D non comporta benefici clinicamente rilevanti su densità minerale ossea, rischio di infezioni o altri outcome cronici. Una lieve riduzione della densità ossea dell’anca totale è stata osservata, ma la sua rilevanza clinica è trascurabile. Anche tra i 50 e i 74 anni, non emergono effetti significativi su fratture, mortalità o incidenza di malattie cardiovascolari. Un dato interessante, però, riguarda l’aumento del rischio di nefrolitiasi in soggetti trattati con vitamina D, evidenziato con elevata certezza.
Un effetto protettivo nella terza età
La fascia di età ≥75 anni rappresenta l’unico gruppo per cui la supplementazione empirica mostra benefici potenzialmente rilevanti: l’evidenza, con alta certezza, indica una lieve riduzione della mortalità (RR 0.96; CI 95%: 0.93–1.00) e una riduzione dell’incidenza di cadute (IRR 0.90; CI 95%: 0.81–0.99), soprattutto in soggetti istituzionalizzati o con supplementazione quotidiana e co-somministrazione di calcio. Tuttavia, non si osservano effetti significativi sull’incidenza di fratture o malattie renali.
Supplementazione in gravidanza: beneficio potenziale
Nei 10 studi randomizzati su donne in gravidanza, la supplementazione di vitamina D mostra effetti favorevoli su alcuni esiti materno-fetali – come preeclampsia, mortalità neonatale e parto pretermine – ma con evidenza generalmente bassa o moderata. I risultati, pur non sempre statisticamente significativi, suggeriscono benefici clinicamente rilevanti, giustificando un approccio cauto ma positivo alla supplementazione in gravidanza.
Vitamina D e prediabete: una nuova frontiera
Uno degli ambiti più promettenti riguarda la prevenzione del diabete mellito di tipo 2 in soggetti con prediabete. L’analisi di 24 studi ha mostrato una riduzione del rischio di progressione verso il diabete (RR 0.90; CI 95%: 0.81–1.00), con una riduzione anche della glicemia a digiuno e della glicemia post-carico. Sebbene la riduzione di HbA1c sia minima e non significativa, la coerenza degli effetti sugli altri parametri metabolici rafforza l’ipotesi di un ruolo fisiologico della vitamina D nella regolazione glucidica.
Dosi e modalità di somministrazione: attenzione agli alti dosaggi intermittenti
Un risultato trasversale, emerso in diverse popolazioni, è il rischio aumentato di cadute associato a regimi di somministrazione intermittente ad alte dosi (≥50.000 UI/dose) rispetto a regimi giornalieri a basso dosaggio. Questo dato suggerisce che l’efficacia e la sicurezza della supplementazione dipendano non solo dalla quantità totale assunta, ma anche dalla modalità di somministrazione.
Screening della vitamina D: poche prove a supporto
Non sono stati identificati studi che abbiano valutato direttamente l’impatto clinico di uno screening sistematico dei livelli sierici di 25(OH)D nella popolazione generale o in gruppi selezionati (persone con obesità, fototipo scuro). La mancanza di prove in tal senso suggerisce di riservare lo screening a soggetti a rischio o con condizioni cliniche specifiche.
Conclusioni per il clinico della salute ossea
Questa revisione sistematica supporta alcune raccomandazioni di buon senso già presenti nella pratica clinica, ma ricalibra l’uso della supplementazione su base empirica. Nei soggetti giovani e sani, in assenza di fattori di rischio per ipovitaminosi D, la supplementazione non sembra necessaria. Al contrario, negli anziani ≥75 anni, in gravidanza e nei soggetti con prediabete, vi sono segnali chiari – pur con variabile grado di certezza – a favore dell’utilizzo della vitamina D, idealmente in dosi quotidiane e con monitoraggio clinico attento.
Per i professionisti della salute ossea, questo studio invita a un approccio più selettivo e consapevole alla supplementazione: evitare l’automatismo, valutare il rischio individuale e scegliere con attenzione dosi e modalità di assunzione. L’era della vitamina D “per tutti” sembra ormai alle spalle. Ma quella della vitamina D “per chi ne ha bisogno, nel modo giusto”, è appena iniziata.
Lo studio
Vishal Paresh Shah, Tarek Nayfeh, Yahya Alsawaf, Samer Saadi, Magdoleen Farah, Ye Zhu, Mohammed Firwana, Mohamed Seisa, Zhen Wang, Robert Scragg, Mairead E Kiely, Paul Lips, Deborah M Mitchell, Marie B Demay, Anastassios G Pittas, Mohammad Hassan Murad, A Systematic Review Supporting the Endocrine Society Clinical Practice Guidelines on Vitamin D, The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 109, Issue 8, August 2024, Pages 1961–1974.