venerdì, Novembre 22, 2024
SpecialitàendocrinologiaIpoparatiroidismo: clinica, epidemiologia e terapia

Ipoparatiroidismo: clinica, epidemiologia e terapia

L’ipoparatiroidismo si esprime clinicamente in ragione dell’ipocalcemia che da esso deriva e, in modo particolare, a seconda della modalità di insorgenza. Ad esempio, un paziente che soffre di una forma cronica di ipoparatiroidismo dall’infanzia può essere in grado di adattarsi anche una ipocalcemia inferiore a 7.0 mg/dl (valori di riferimento 8.5 – 10.5 mg/dl), rimanendo in uno stato sostanzialmente subclinico. In altri casi, la clinica può rendersi positiva con una riduzione più modesta rispetto al limite inferiore.

La sintomatologia è pertanto soggetta a differenze in termini di gravità. In uno quadro moderato si potranno trovare intorpidimento e formicolio alle estremità o alla regione periorale, crampi muscolari e affaticamento. Segni neurologici già presenti possono aggravarsi ulteriormente. I segni di Trousseau e di Chvostek sono assai curiosi e, nel contempo, tra i più suggestivi di ipocalcemia. Ad essi è stato dedicato un articolo a carattere monografico. 

La tetania rappresenta la presentazione estrema di una condizione severa, che può manifestarsi anche con alterazioni della coscienza e confusione disturbi del ritmo cardiaco e insufficienza cardiaca congestizia, bronco e laringospasmo.

Epidemiologia ed eziologia dell’iperparatiroidismo

Dal punto di vista dell’epidemiologia, i dati statunitensi riferiscono di un’incidenza di 24-37/100000 soggetti all’anno, con una prevalenza stimata di 60-80000 pazienti nella stessa popolazione. 3/4 dei pazienti sono over-45 e, con le stesse proporzioni, la problematica interessa maggiormente donne.

La causa più comune di ipoparatiroidismo risulta essere quella iatrogena, secondaria a chirurgia del collo (complicanza attendibile nel 7-36% dei casi), soprattutto di ambito oncologico. Le tipologie di intervento, nello specifico, sono tiroidectomie totali (38%), paratiroidectomie (21%), tiroidectomie parziali (9%) e altri interventi di chirurgia cervicali). Un dato clinico a cui prestare particolare attenzione è rappresentato dai livelli di vitamina D, un deficit della quale può condurre a ipoparatiroidismo postoperatorio: alcuni autori suggeriscono di mantenerne un livello preoperatorio adeguato (>20 ng/dl).
Le condizioni ereditarie di ipoparatiroidismo sono molteplici e comprendono, ad esempio, la sindrome autoimmune polighiandolare (APS-1) e la sindrome di Bartter. A queste si aggiunge una serie di altre patologie rare non ereditarie, che portano a distruzione ghiandolare in seguito a irradiazione o malattie infiltrative (emocromatosi e Wilson, granulomi e tumori metastatici). Sono anche contemplati una forma neonatale e uno pseudoipoparatiroismo.

L’approccio terapeutico oggi di riferimento beneficia di diverse evidenze e addirittura di tre linee guida differenti. Il razionale consiste in monitoraggio della calcemia (da riportare a 8.0–9.0 mg/d e controllo i sintomi, se possibile prevenendo complicanze come quelle renali. La terapia di base consente nella supplementazione di calcio, vitamine D3 e 4 e, se necessario, magnesio.

Stanno emergendo nuovi trattamenti, quali l’analogo di sintesi del paratormone (hPTH 1-34 ,teriparatide) e il paratormone ricombinante (hPTH 1-84).

Letteratura di approfondimento sull’ipoparatiroidismo

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5237638/pdf/fendo-07-00172.pdf

 

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