Sabato 11 marzo si è tenuto il convegno targato Bone Health sulla femoro-rotulea, che ha portato all’Ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio di Milano tanti medici e specializzandi. La faculty di specialisti, presieduta dal dottor Federico Valli, ha reso la mattinata molto interessante spaziando dall’inquadramento clinico del dolore anteriore del ginocchio all’inserimento di protesi femoro-rotulea all’avanguardia.
I trattamenti conservativi sono la prima linea per iniziare un percorso di guarigione, quando questi falliscono si rende necessaria la chirurgia. In questa sessione del convegno, sempre relativa al dolore anteriore di ginocchio, il dottor Rossi e il dottor Negrini hanno approfondito i due tipi di trattamenti conservativi: quelli rigenerativi e quelli riabilitativi.
I farmaci ortobiologici utilizzano componenti cellulari autologhe per promuovere la guarigione dei tessuti e ne esistono di quattro categorie:
- Derivati piastrinici (PRP, PRGF, APS)
- Bone marrow aspirate concentrate (BMAC)
- Lipoaspirate (Microfragmented adipose tissue)
- Amniotic Tissue and Umbelical products
Secondo la letteratura scientifica la medicina rigenerativa è fortemente in aumento, e i trattamenti con derivati piastrinici sono usati in larga maggioranza. I trattamenti PRP (platelet rich plasma) sono un concentrato di piastrine e fattori di crescita che stimolano la rigenerazione tissutale. Le loro proprietà sono anti-infiammatorie; rigenerative, inducendo la proliferazione di cellule staminali nel sito di infiltrazione e sostituendo il tessuto danneggiato con la stimolazione della produzione di matrice extracellulare. Sono angiogeniche e analgesiche e infine anti-batteriche, riducendo il rischio di infezione.
L’altra grande categoria di ortobiologici è la terapia con cellule staminali che possono essere mesenchimali o ematopoietiche. Le principali fonti di queste cellule sono nell’adulto il tessuto adiposo e il midollo osseo, mentre a livello fetale sono reperibili nel fluido amniotico o nel cordone ombelicale. La procedura di prelievo è fondamentale per il risultato che si vuole ottenere, sia per quanto riguarda il prelievo da midollo osseo sia da tessuto adiposo; quest’ultimo presenta notevoli pregi, è una procedura poco invasiva, la quantità di cellule staminali mesenchimali nel tessuto adiposo è nettamente superiore a quella presente nel midollo osseo ed hanno una capacità immunomodulatoria superiore. Al contrario, le cellule staminali da tessuto adiposo sembrano avere un minor potenziale osteogenico rispetto a quello del midollo osseo, ma al momento non ci sono evidenze scientifiche a supporto della superiorità di un trattamento rispetto all’altro. È bene ricordare, inoltre, che le infiltrazioni intra-articolari riducono i sintomi e migliorano la qualità della vita dei pazienti ma purtroppo non sono ancora trattamenti definitivi, vanno ripetuti con ciclicità.
Per quanto riguarda la medicina riabilitativa, ci sono prove significative in letteratura che la terapia fisica per la sindrome da dolore patello-femorale possa comportare una riduzione clinicamente importante del dolore e un miglioramento della capacità funzionale, oltre a migliorare il recupero a lungo termine. Tuttavia non ci sono prove sufficienti per determinare la migliore forma di terapia fisica e non è noto se questo risultato si applichi a tutte le persone affette da PFPS. indubbiamente la tipologia di esercizi detta “a catena cinetica chiusa” sono preferibili in quanto prevedono il movimento non solo del ginocchio ma anche dell’anca, rendendo l’esercizio più fattibile. Un altro importate strumento è il taping, che se utilizzato in maniera personalizzata in combinazione con la terapia fisica, può portare ad una immediata riduzione del dolore a livello patellare, e può migliorare i risultati della terapia riabilitativa nel breve tempo. Ulteriori dati sconsigliano l’uso di ginocchiere e di solette plantari a meno che non si verifichino in concomitanza anche problematiche ai piedi.
Un fattore importante per la riabilitazione fisica è l’educazione del paziente e la cura non solo del suo dolore fisico ma attenzionando anche la componente psicologica. Se il paziente cade nella depressione che spesso il dolore cronico porta, e si lascia andare alla kinetofobia, la paura del movimento, sarà molto più difficile e lungo il percorso di riabilitazione.
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