Tra i marcatori di sintesi, espressione dell’attività osteoblastica, è compresa la fosfatasi alcalina ossea (o specifica dell’osso, BAP). Si tratta di una proteina tetramerica localizzata sulla membrana plasmatica degli osteoblasti.
L’osso è un tessuto sottoposto a un complesso processo di rinnovamento costante, indispensabile al mantenimento dell’efficienza scheletrica. Sussiste un equilibrio tra apposizione, ad opera degli osteoblasti, e riassorbimento, ad opera degli osteoclasti.
Tale equilibrio può essere alterato da una serie di condizioni patologiche. Negli ultimi anni, nell’ambito della medicina di laboratorio, è stato discusso il possibile ruolo di alcuni biomarcatori nella diagnostica e nel follow-up di tali patologie. Per quanto riguarda l’osso, essendo il turnover organizzato nelle due fasi indicate, si possono avere marker di riassorbimento e marcatori di sintesi.
Questa breve trattazione considera le principali indicazioni d’uso attuali della fosfatasi alcalina ossea, biomarcatore altamente specifico, indicativo dell’attività sintetica del tessuto osseo.
Diagnosi precoce e fosfatasi alcalina ossea
In primo luogo si pensi all’utilizzo clinico nel follow-up di pazienti oncologici. Più di uno fra i cosiddetti “big killer”, ovvero le patologie neoplastiche soggette alla più elevata mortalità, mostra un elevato trofismo per il tessuto osseo.
Lo scheletro rappresenta pertanto una sede privilegiata di metastatizzazione per questi tumori. La presenza di metastasi a distanza costituisce un fattore prognostico estremamente sfavorevole, tuttavia, una diagnosi precoce di tali sequele permette un approccio in grado di migliorare la qualità della vita del paziente.
La ricerca di lesioni osteolitiche in corso di follow-up è complessa: indagini come la SPECT (una tecnologia dell’ambito della medicina nucleare, analogamente alla PET), ma anche RMN o semplici radiografie non possono essere indicate in assenza di una sintomatologia associata, tendenzialmente suggestiva di lesione in fase avanzata.
Il carcinoma del polmone è senza dubbio uno dei più importanti tumori osteofili: diversi studi hanno sperimentato il potenziale dei vari marker nel follow-up di questi pazienti. Un interessante lavoro cinese, pubblicato nel 2013 su Clinica Chimica Acta, ha documentato l’efficacia della fosfatasi alcalina ossea (della quale ha anche indicato un cut-off ottimale, pari a 21.8 μg/L), soprattutto quando incrociata con un marker di riassorbimento, come ad esempio l’enzima osteoclastico TRACP 5b.
Tra le diverse patologie ossee, il più deciso innalzamento del marcatore è stato registrato nello studio della malattia di Paget. La fosfatasi alcalina ossea può infatti aumentare da 10 fino a 25 volte rispetto alla norma; per confronto, nel rachitismo si osserva un incremento nell’ordine delle 2-4 volte (con normalizzazione a seguito della terapia, che consiste nella supplementazione di vitamina D), aumento moderato nel caso dell’osteomalacia, infine valori generalmente nella norma nel caso dell’osteoporosi. Ciò indica come, nella malattia di Paget, l’iperresponsività da parte degli osteoclasti induca una imponente risposta osteoblastica, la quale si esprime anche nell’espressione del marcatore sierico.
In ultima analisi, è bene osservare che la fosfatasi alcalina ossea, in quanto marcatore specifico della sintesi, è sottoposta a variazioni anche nel contesto di processi fisiologici o parafisiologici.
Un soggetto pediatrico in fase di crescita presenta un livello sierico superiore di 1.5-2.5 volte quello dell’adulto.
Diversi studi hanno correlato l’andamento del marcatore alla prognosi della fase riparativa delle fratture: il più recente è quello di Angik (Journal of Datta Meghe Institute of Medical Sciences University, 2016), che ha correlato il valore sierico con l’aspetto radiografico di fratture a carico del massiccio facciale.
Letteratura di approfondimento sulla fosfatasi alcalina ossea
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24055775