L’osteopatia, intesa come diminuzione della densità minerale ossea (bone mineral denisty, BMD) che comporta un elevato rischio di frattura, dovrebbe essere presa maggiormente in considerazione da parte dei clinici, fino ad includere l’osso come organo bersaglio della patologia. Il convegno di BoneHealth organizzato il 6 marzo è stato un evento importate proprio per approfondire il collegamento tra la fragilità ossea e le altre comorbidità, tra cui il diabete mellito.
Anche l’osso è un bersaglio della patologia del diabete
Maurizio Rondinelli dell’Unità di Diabetologia, Endocrinologia e Malattie Metaboliche del Centro Cardiologico Monzino IRCCS di Milano ha permesso di mettere in luce le difficoltà nella gestione di questo tipo di pazienti e contribuito a definire una corretta procedura diagnostica.
Si è visto infatti come il rischio di frattura ossea aumenta nei pazienti diabetici di tipo 2 in entrambi i sessi (si stima un rischio maggiore del 28% negli uomini e 57% nelle donne). In generale, nei pazienti con diabete mellito di tipo 1 (DMT1) il rischio relativo di frattura ossea aumenta di 6 volte rispetto alla popolazione generale e di circa 2 volte per quanto riguarda i pazienti con diabete mellito di tipo 2 (DMT2).
Il paradosso del diabete
Recenti studi mostrano inoltre come nei pazienti con DMT1 si manifesta un abbassamento della BMD che aumenta il rischio di frattura, mentre nei pazienti con DMT2 la BMD risulta essere leggermente aumentata. Nonostante ciò, i pazienti con DMT2 hanno presentano un rischio maggiore di frattura, dovuto ad una peggiore qualità della densità ossea (ad es. nella microarchitettura) prodotta probabilmente dalla sindrome metabolica innescata dall’insulino-resistenza.
Altre cause potrebbero invece derivare da una prolungata infiammazione tipica del diabete sia di tipo 1 che di tipo 2, un’alterazione del rimodellamento osseo e un aumento dell’escrezione di fosforo e calcio con le urine (spesso presente nei pazienti diabetici).
L’abc dei fattori di rischio di frattura ossea nel diabete
Nel corso dell’intervento sono state riassunte quelli che sono i fattori di rischio che espongono i pazienti diabetici ad un maggior rischio di frattura. Tra queste ricordiamo:
- Età (age): nei pazienti con DMT1 l’età non rappresenta un fattore protettivo nei confronti delle fratture (nemmeno nei bambini). Nei pazienti con DMT2 il rischio aumenta nelle persone più giovani (soprattutto per quanto riguarda le fratture dell’anca).
- BMD: Questo valore sottostima il reale rischio di frattura di un paziente con DMT1 o DMT2. Tuttavia, a parità di T-score ed età, un paziente con DMT2 ha un rischio maggiore di subire una frattura rispetto a quello di un paziente sano.
- Complicazioni: La neuropatia periferica, la retinopatia diabetica e la funzionalità renale alterata sono tra le principali cause di aumentato rischio di cadute e fratture sia nei pazienti DMT1 che DMT2.
- Durata: La durata della terapia è associata ad un maggior rischio da parte del paziente di incorrere in una frattura. Anche il numero di farmaci a cui è sottoposto influisce sul rischio (per via dell’interazione tra di essi) e si è visto come alcuni farmaci ipoglicemizzanti sono associati ad una diminuzione della massa ossea, che può portare ad una frattura da caduta.
- Fratture: La presenza di fratture pregresse nel paziente con DMT2 aumenta del 450% il rischio di una frattura dell’anca e del 390% quello per le fratture maggiori.
- Glicemia: I pazienti con DMT1 e valori di HbA1C > 8% hanno una probabilità di circa 1,4 volte più alta di subire una frattura non vertebrale rispetto a quelli che hanno un maggiore controllo sui livelli glicemici (con valori di HbA1C < 7%). La correlazione tra glicemia e fratture nei pazienti con DMT2 è invece ancora oggetto di dibattito.
Quali sono le attuali raccomandazioni da tener presente?
In generale, le raccomandazioni provenienti dalle più importanti società di diabetologia suggeriscono un controllo dei fattori di rischio di fratture osteoporotiche insieme a quelli specifici del diabete durante ogni visita specialistica (indipendentemente dal tipo di diabete).
Per il DMT1 l’esame densitometrico DXA rimane il gold standard e andrebbe eseguito in tutti i pazienti sopra i 50 anni di età (anche prima, se ci sono fattori di rischio specifici o celiachia) insieme all’esame morfometrico vertebrale.
Per quanto riguarda invece i pazienti con DMT2 va valutata la BMD nei pazienti con più di 50 anni ed eseguito un esame FRAX® (considerando l’alternativa per l’artrite reumatoide) insieme al TBS (trabecular bone score), oltre all’esame morfometrico vertebrale.
Il trattamento dell’osteoporosi nel paziente diabetico: tra sinergie e interferenze
Oltre ad uno stile di vita sano, caratterizzato da una dieta equilibrata studiata ad hoc per i pazienti diabetici e un’attività fisica quotidiana, l’insulina risulta avere una forte azione anabolica sull’osso nei pazienti con DMT1. Sembra infatti che tramite questo trattamento sia possibile ridurre il riassorbimento osseo e aumentare al contempo la BMD. Lo stesso discorso vale anche per la metformina.
Anche gli analoghi del GLP-1, come il liraglutide, sembrano riuscire a contrastare il declino del BMD indotto dal calo ponderale, aiutando a mantenere una buona massa ossea.
Le sulfoniluree sembrano invece provocare un aumento del rischio di fratture nei pazienti diabetici, come anche nel caso di trattamenti del diabete con tiazolinedioni (che inibiscono l’osteoblastogenesi attivando PPARγ). Per quanto riguarda invece gli SGLT-2 inibitori sono necessari ulteriori studi per comprenderne a fondo l’effetto sull’osso nei pazienti con diabete.
Sembrerebbe invece che denosumab abbia la capacità non solo di ridurre i livelli circolanti della proteina DPP4 ma di aumentare allo stesso tempo anche quelli di GLP-1, aiutando a regolare i livelli glicemici dei pazienti trattati. Risultati incoraggianti per i pazienti diabetici si sono avuti anche con il teriparatide.