Gli inibitori della pompa protonica (PPI) sono farmaci molto efficaci del trattamento e nella prevenzione di disturbi gastrointestinali quali ulcere peptiche, reflusso gastroesofageo ed esofagiti erosive. Sono stati introdotti nel mercato farmaceutico all’inizio degli anni 80 e da allora sono una delle classi di farmaci maggiormente prescritte per i disturbi gastrointestinali del tratto superiore, soprattutto tra gli anziani, anche grazie alla disponibilità di biosimilari e al loro acquisto senza ricetta. Purtroppo però questa facile reperibilità del prodotto fa si che tra il 50 e l’80% dei pazienti lo assuma in maniera impropria.
Effetti avversi
Proprio a causa dell’uso consistente dei PPI sono stati evidenziati numerosi effetti collaterali, sviluppati principalmente in chi fa uso cronico del medicinale e negli individui più deboli come gli anziani. In questa popolazione la soppressione cronica dell’acidità indotta dai PPI è stata associata ad un aumento del rischio di polmonite acquisita in comunità, infezioni da C. difficile e malnutrizione inclusa ipomagnesiemia. Inoltre, i PPI condividono vie metaboliche comuni con diverse classi di farmaci come i farmaci antinfiammatori, antiaggreganti non steroidei e i bifosfonati, la cui efficacia potrebbe essere ridotta dall’uso dei PPI.
I cambiamenti legati all’età nella massa ossea, nella densità minerale ossea (BMD), nella geometria e nell’architettura ossea, nello spessore dell’osso corticale e nella porosità trabecolare influiscono negativamente sulla resistenza ossea, uno dei determinanti più importanti delle fratture. Il rimodellamento osseo è più veloce e significativamente più evidente nell’osso trabecolare e, per quanto ne sappiamo, i cambiamenti nell’osso trabecolare si verificano nelle prime fasi del percorso verso l’osteoporosi conclamata. L’uso dei PPI potrebbe esacerbare le modifiche legate all’età nella densità e nella forza ossea.
Nonostante la crescente evidenza di una relazione tra PPI e fratture ossee, pochi studi hanno esplorato l’ipotesi che l’uso dei PPI possa essere associato al deterioramento della densità ossea e della geometria strutturale.
Struttura dello studio
InCHIANTI è uno studio epidemiologico sui fattori di rischio per la disabilità motoria nell’anziano, disegnato dal Laboratorio di Epidemiologia Clinica del Consiglio Italiano delle Ricerche sull’Invecchiamento (Firenze), e condotto su un campione rappresentativo di una popolazione residente in Toscana. La popolazione finale era composta da 1038 partecipanti (452 uomini e 586 donne) con dati completi su scansioni di tomografia computerizzata quantitativa periferica (pQCT), assunzioni di farmaci e altre variabili utilizzate nell’analisi qui presentata. In particolare è stata misurata la pQCT perché questa tecnica è stata dimostrata come una delle più efficaci nella valutazione dell’osteoporosi e nella previsione del rischio di fratture osteoporotiche.
Nell’analisi condotta in questo studio sono stati considerati diversi parametri ossei derivati dalle immagini pQCT. La BMD volumetrica trabecolare (vBMDt) (mg/cm3) è stata definita come la densità media dell’area ossea trabecolare rilevata nel sito del 4% della lunghezza tibiale. La BMD volumetrica corticale (vBMDc) (mg/cm3), una misura selettiva della densità volumetrica apparente dell’osso corticale e un indicatore delle proprietà del materiale osseo, è stata misurata nel sito del 38% della lunghezza tibiale. L’area della sezione trasversale ossea totale (tCSA) (mm2), misura della dimensione dell’osso, è stata definita come area all’interno della circonferenza che delimitava tutti i tessuti ossei corticali con una densità superiore a 180 mg/cm3 e misurata nel sito del 38% della lunghezza tibiale.
Sono state condotte anche delle analisi di laboratorio che sono andate a misurare i livelli nel sangue dei seguenti marcatori: 25(OH)-vitamina D, PTH, IGF-1 totale, testosterone, estradiolo (E2) e interleuchina-6 (IL-6).
Infine è stato preso in considerazione anche lo stato di salute cognitivo; la prestazione cognitiva globale è stata valutata utilizzando il Mini-Mental State Examination (MMSE) eseguito da un geriatra esperto entro una settimana dal prelievo di sangue. Il livello di attività fisica nell’anno precedente all’intervista è stato classificato su una scala ordinale basata sulle risposte ad un questionario standard modificato.
I risultati
Le caratteristiche dei partecipanti sono state presentate per l’intero campione e i partecipanti sono stati classificati in base all’utilizzo dei PPI. La prevalenza dell’uso di PPI tra gli anziani residenti nella comunità dell’InChianti è stata del 3,4%. La maggior parte delle persone assumeva PPI (70%) a causa della gastroprotezione durante il trattamento con FANS o con aspirina cronica; il restante 30% era in terapia con PPI a causa dell’ulcera peptica gastrointestinale. L’età media dell’intera popolazione era di 75,7±7,4 anni. Gli utilizzatori di PPI di sesso maschile erano più anziani rispetto ai non utilizzatori, mentre gli utilizzatori di PPI di sesso femminile erano più giovani rispetto ai non utilizzatori. Dopo l’aggiustamento per età, le utilizzatrici e le non utilizzatrici di PPI non differivano significativamente nei livelli di estradiolo e di testosterone biodisponibile. Allo stesso modo, gli utilizzatori maschi e i non utilizzatori di PPI non hanno mostrato differenze nei livelli di estradiolo e di testosterone biodisponibile.
Rispetto ai non utilizzatori, gli utilizzatori di PPI avevano una BMI significativamente più bassa (25,8±4,1 vs 27,5±4,0), livelli più bassi di testosterone biodisponibile e IGF-1, mentre i livelli di E2 erano simili nei due gruppi. Dopo l’aggiustamento per età e sesso, gli utilizzatori di PPI hanno mostrato un vBMDt significativamente inferiore rispetto ai non utilizzatori (180,2 ± 54,0 vs 207,6 ± 59,4). Non è stata osservata alcuna differenza significativa nel totale di vBMD, vBMDc, misure della dimensione ossea e marcatori di resistenza ossea tra gli utilizzatori e i non utilizzatori di PPI.
Dopo l’adeguamento per molteplici potenziali predittori di vBMDt come apporto calorico, PTH, vitamina D, assunzione di calcio, livelli di E2, IL-6, IGF-1 e Bio-T, la relazione tra uso di PPI e vBMDt è rimasta statisticamente significativa. Per distinguere i bias di indicazione abbiamo anche testato le differenze nelle misure pQCT negli utilizzatori e nei non utilizzatori di anti-H2; 12 partecipanti sono stati identificati come utilizzatori di bloccanti H2 (1,16% dell’intera popolazione). Dopo l’aggiustamento per età e sesso, non è stata riscontrata alcuna relazione significativa tra l’uso di bloccanti H2 e BMD, vBMDc o vBMDt.
Analisi dei dati
Si tratta del primo studio che va a valutare i parametri di massa e geometria ossea in relazione all’utilizzo di PPI nei pazienti anziani.
I risultati dello studio hanno escluso qualsiasi associazione significativa tra l’uso dei PPI e la geometria ossea. Questi dati non sorprendono perché i parametri della geometria ossea sono fortemente correlati alla stimolazione meccanica ossea piuttosto che ad altri modulatori farmacologici. Al contrario, è stata trovata una relazione significativa tra l’uso dei PPI e vBMDt.
È più probabile che l’area trabecolare sia sensibile a diversi fattori metabolici e farmacologici rispetto alla corticale e potrebbe essere considerata la parte “metabolicamente attiva” dell’osso. L’osso trabecolare risponde rapidamente agli stimoli meccanici, ai fattori di crescita circolanti e alle citochine, perché le sue cellule ossee primarie (situate nella superficie) sono nelle loro più strette vicinanze. Al contrario, l’osso corticale è principalmente coinvolto nel conferire resistenza ossea complessiva. Interferendo con il metabolismo minerale, i PPI conferiscono un rischio maggiore di fratture attraverso effetti dannosi sull’osso trabecolare. Questi farmaci agiscono direttamente sull’osso metabolicamente più attivo e possono peggiorarne la qualità e il metabolismo minerale senza influenzare la geometria ossea. Inoltre, i cambiamenti della qualità ossea legati all’età aumentano di per sé il rischio di fratture e morbilità.
Sono state proposte alcune ipotesi per giustificare la relazione tra PPI e fratture ossee; tuttavia, i meccanismi alla base di questa associazione non sono ancora chiari.
Le ipotesi
I PPI potrebbero esercitare un’interferenza farmacologica con i bifosfonati orali, in particolare con l’acido alendronico, il farmaco più utilizzato per l’osteoporosi nella popolazione anziana. Escludendo le persone che assumono farmaci che interferiscono con il metabolismo osseo, si esclude anche la plausibilità di tale meccanismo.
Un’altra ipotesi riguarda la correlazione tra ipocloridria e la riduzione della proteolisi gastrica da parte dei PPI. Come conseguenza dell’ipocloridria si verifica una diminuzione della biodisponibilità o un ridotto assorbimento di importanti micronutrienti e vitamine coinvolti nel metabolismo osseo come calcio, magnesio e vitamina B-12. Nonostante il potenziale legame tra uso di PPI e calcio, non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nei livelli sierici di calcio tra gli utilizzatori e i non utilizzatori di PPI.
Inoltre, la soppressione cronica dell’acido gastrico indotta dai PPI provoca ipergastrinemia. Sia l’ipergastrinemia che la ridotta biodisponibilità del calcio potrebbero influenzare negativamente il metabolismo osseo e minerale, probabilmente attraverso l’induzione di iperplasia e ipertrofia delle ghiandole paratiroidi con conseguente aumento dei livelli di PTH. La secrezione persistentemente elevata di PTH in relazione alla concentrazione sierica di calcio può portare ad un aumento del rischio di fratture a causa della perdita di resistenza e qualità ossea, tuttavia, lo studio non evidenzia alcuna differenza significativa nei livelli di PTH tra gli utilizzatori e i non utilizzatori di PPI. Un’altra interessante ipotesi alla base della relazione negativa tra uso di PPI e fratture è stata legata alla nota interferenza di questa classe di farmaci con l’assorbimento e l’escrezione del magnesio; sono stati infatti segnalati molti casi di ipomagnesiemia sono stati osservati in pazienti in trattamento con PPI a lungo termine. Anche in questo caso però lo studio non ha evidenziato una differenza significativa nei livelli di magnesio tra gli utilizzatori di PPI e i non utilizzatori.