sabato, Luglio 27, 2024
FarmaciDenosumab: efficacia del trattamento per osteoporosi

Denosumab: efficacia del trattamento per osteoporosi

L'osteoporosi è una malattia che comporta il deterioramento della microarchitettura ossea, una massa ossea ridotta e aumento della fragilità ossea, comportando quindi un maggior rischio di frattura per chi ne è affetto

L’osteoporosi è maggiormente comune nelle donne in postmenopausa, in quanto la mancanza di estrogeni porta ad un aumento del turnover osseo con una perdita di materiale osseo a causa del riassorbimento che supera il processo di formazione. Esistono diversi trattamenti per questa malattia, uno dei più noti è anticorpo monoclonale denosumab; questa review ha lo scopo di riassumere i dati più rilevanti tratti dagli studi su denosumab in donne in postmenopausa.

Proprietà farmacodinamiche

Denosumab lega selettivamente RANKL (receptor activator of NFkB ligand), impedendogli di interagire e attivare RANK (il suo recettore) sulla superficie degli osteoclasti e dei loro precursori. Di conseguenza la formazione, il funzionamento e la sopravvivenza degli osteoclasti è inibita, portando ad una riduzione del riassorbimento osseo.

I livelli nel siero di marker del riassorbimento osseo calano velocemente dopo una dose da 60mg di denosumab sottocutaneo in donne in postmenopausa con osteoporosi o con una bassa densità minerale ossea (BMD). Il trial clinico più grande e maggiormente riconosciuto è il FREEDOM, durante il quale il denosumab nelle condizioni precedentemente menzionate è stato comparato all’effetto placebo dopo 1, 6 e 36 mesi; è stata subito evidente la riduzione rispettivamente del 86, 72 e 72% dei livelli di collagene di tipo 1 C-telopeptide (CTX), uno dei più importanti marker del riassorbimento osseo, e del 18, 50 e 76% dei livelli di procollagene tipo 1 N-terminale (P1NP), marker della rigenerazione ossea.

I marker del turnover osseo (BTM) hanno dimostrato di diminuire per tutta la durata della terapia, che per i pazienti che hanno acconsentito a partecipare all’estensione dello studio clinico FREEDOM è stata di 10 anni. IL BTM tende a incrementare nuovamente verso la fine di ciascun intervallo di tempo che intercorre tra una somministrazione di denosumab e l’altra, probabilmente a causa della sintesi compensatoria di RANKL.

Gli studi sulla farmacodinamica non hanno evidenziato eventi avversi sulla mineralizzazione dell’osso, sulla microarchitettura o sulla formazione di osso lamellare; sul lungo termine è stato osservato che il turnover osseo rimane basso e che la microarchitettura dell’osso viene mantenuta per un periodo di 10 anni nei pazienti che hanno proseguito la terapia sino a questo punto.

Il confronto

Negli studi di confronto analizzati a 1 anno, denosumab sottocutaneo 60 mg è stato generalmente più efficace rispetto ai regimi con bifosfonati nel ridurre le misure di turnover osseo in donne PM con bassa BMD o osteoporosi. Ad esempio, denosumab ha significativamente ridotto i livelli sierici di CTX e P1NP rispetto all’alendronato orale 70 mg una volta alla settimana in tutte o nella maggior parte delle tempistiche valutate (1,2,6,9 e 12 mesi) anche nei pazienti che avevano ricevuto alendronato per più di 6 mesi.

Allo stesso modo, in un altro studio, i pazienti che ricevevano un regime di bifosfonati orali e che passavano a denosumab hanno avuto riduzioni significativamente maggiori dei livelli sierici di CTX (in tutte le tempistiche analizzate dopo il giorno 10) e di P1NP dopo un mese e dal terzo mese in avanti rispetto a coloro che sono passati all’acido zoledronico 5 mg per via endovenosa una volta all’anno.

In particolare, il denosumab (a differenza dei bifosfonati) non viene incorporato nell’osso e, di conseguenza, i suoi effetti sulle BTM, sulla BMD e sulle misure istomorfometriche sono in genere reversibili dopo la sua interruzione.

Efficacia terapeutica

La sperimentazione di fase 3 di tre anni e la sua estensione di 7 anni forniscono i dati più completi a lungo termine per il trattamento con denosumab e per questo è oggetto di questa review.

Rischio di fratture

Il denosumab è risultato efficace nel ridurre il rischio di fratture nelle donne con osteoporosi da PM; nell’arco di 3 anni, denosumab ha significativamente ridotto il rischio di nuove fratture vertebrali del 68% (endpoint primario), di fratture non vertebrali del 20% e di fratture dell’anca del 40% rispetto al placebo.

A lungo termine, il beneficio antifrattura di denosumab si è mantenuto fino a 10 anni di trattamento, secondo i dati ricavati dall’estensione di FREEDOM. Tra i pazienti originariamente randomizzati a denosumab che hanno continuato il trattamento nell’estensione, l’incidenza annuale di nuove fratture vertebrali, non vertebrali e dell’anca è rimasta bassa negli anni da 1 a 7 dell’estensione similmente a quella degli anni 1-3 dello studio principale. I risultati dello studio FREEDOM sono supportati dallo studio DIRECT, sicuramente più piccolo ma ugualmente randomizzato, a doppio cieco e in fase tre, in cui pazienti giapponesi con osteoporosi (il 95% dei quali donne in postmenopausa) hanno avuto una significativa riduzione del rischio di fratture vertebrali (del 66% all’endpoint primario) con il denosumab rispetto al placebo. Il farmaco si è rivelato inoltre più efficace nella riduzione del rischio di frattura rispetto all’alendronato.

Densità minerale ossea

La BMD, misurata con DXA, è significativamente migliorata nei tre anni di FREEDOM, nei pazienti che hanno assunto denosumab rispetto al placebo, in diverse aree dello scheletro, inclusi il bacino, il rachide lombare e il collo del femore. Inoltre, durante l’estensione dello studio, si è continuato ad osservare un progressivo incremento della BMD associato a denosumab per tutti i 10 anni di terapia, con nessuna evidenza di raggiungimento di un plateau.

È emerso che il denosumab sottocutaneo è stato più efficace rispetto ai regimi con bifosfonati nell’aumentare la BMD nelle donne in postmenopausa con bassa BMD o osteoporosi. Il denosumab ha aumentato significativamente la BMD dell’anca totale (endpoint primario), della colonna lombare (anch’esso endpoint primario), del collo del femore e/o di un terzo del radio rispetto all’alendronato orale somministrato una volta alla settimana.

Ulteriori parametri analizzati

Coerentemente con i miglioramenti della BMD osservati con denosumab, la resistenza ossea è aumentata con il farmaco in vari siti nell’arco di 3 anni nelle analisi di FREEDOM. Per esempio, in un’analisi parallela (n = 99 valutati) il farmaco ha aumentato significativamente la forza stimata dell’osso a livello dell’anca e della colonna vertebrale rispetto al placebo a 1, 2 e 3 anni, come misurato dall’analisi degli elementi finiti basata sulla QCT.

Altri parametri ossei valutati in modo simile, tra cui porosità, spessore e massa, sono anch’essi migliorati con denosumab in vari siti negli studi secondari FREEDOM; ad esempio, in 3 anni di trattamento con denosumab è significativamente aumentato lo spessore corticale e la massa del femore prossimale, e si è ridotta significativamente la porosità in tutte le regioni corticali, con quest’ultimo miglioramento correlato a una maggiore resistenza ossea.

Come è tipico delle terapie per l’osteoporosi, la qualità di vita correlata alla salute non è migliorata con denosumab nei tre anni di trattamento durante il trial FREEDOM, con cambiamenti medi rispetto al valore basale nei punteggi delle funzionalità fisiche, dello stato emotivo e del dolore alla schiena secondo il questionario di valutazione dell’osteoporosi, i cui risultati non differiscono significativamente tra i riceventi denosumab e placebo.

I risultati del questionario di preferenza e soddisfazione ha però sottolineato che la grande maggioranza dei pazienti ha preferito aderire alla terapia con le iniezioni subcutanee rispetto all’ingerimento della capsule orali dell’alendronato. La persistenza e l’aderenza al trattamento con denosumab in due diversi studi è stata dell’82% a 12 mesi e del 59% a 24 mesi,  un risultato notevolmente più favorevole rispetto ai dati di persistenza dei bifosfonati orali ottenuti da una meta-analisi (45 e 30% a 12 e 24 mesi).

Tolleranza al farmaco

Denosumab 60 mg, somministrato ogni 6 mesi tramite iniezione sottocutanea, è stato generalmente ben tollerato per un periodo fino a 10 anni in donne PM con bassa BMD o osteoporosi (incluse quelle ad alto rischio di frattura o con insufficienza renale).

Nell’arco di 3 anni in FREEDOM, denosumab non si è differenziato significativamente rispetto al placebo nella percentuale di pazienti che hanno manifestato eventi avversi (AE) emersi durante il trattamento (93 vs. 93%), eventi gravi con necessità di trattamento (TEAE) (26 vs. 25%), morte (1.8 vs. 2.3%) o interruzione del farmaco in studio a causa di TEAE (4,9 vs. 5,2%).

Tra i TEAE, eczema (3,0 vs. 1,7%) e flatulenza (2,2 vs. 1,4%) si sono verificati in un numero significativamente maggiore in denosumab rispetto al placebo, mentre il contrario per le cadute non correlate alla frattura. La tolleranza al denosumab è rimasta costante per tutta la durata del trattamento, anche quello esteso a 10 anni.

Dettaglio molto importante è la reversibilità del trattamento, ovvero che il turnover osseo e la BMD possono tornare ai livelli basali dopo l’interruzione del farmaco, facendo sorgere legittimi dubbi sul fatto che i pazienti possano incorrere in una maggior fragilità ossea dopo la sospensione, motivo per cui viene consigliata una terapia di mantenimento.

Dosaggio e somministrazione

Per il trattamento di donne PM con osteoporosi che hanno un rischio aumentato o elevato di frattura o che hanno fallito o sono intolleranti ad altre terapie per l’osteoporosi disponibili, il dosaggio raccomandato di denosumab nell’Unione Europea e negli Stati Uniti è di 60 mg somministrati ogni sei mesi attraverso una singola iniezione sottocutanea nell’addome, nella parte superiore del braccio o della coscia. I pazienti devono inoltre ricevere un’adeguata integrazione di calcio e vitamina D, particolarmente importante per i pazienti con grave insufficienza renale o in dialisi, a causa dell’aumento del rischio di ipocalcemia. Inoltre va ricordato che denosumab non va somministrato in concomitanza con altri farmaci contenenti la stessa molecola.

Conclusioni

La scelta di una terapia appropriata richiede la considerazione dell’efficacia antifratturativa, tollerabilità e del costo, anche se l’opzione di prima linea per la maggior parte dei pazienti dovrebbe essere un agente con efficacia antifratturativa ad ampio spettro, tra cui alcuni bifosfonati (alendronato, risedronato e acido zoledronico) e il denosumab. Per i pazienti che non possono assumere bifosfonati orali (per ragioni come la tollerabilità o le controindicazioni) o con il più alto rischio di fratture, la somministrazione di denosumab o acido zoledronico endovenoso sono i trattamenti da preferire.

Il denosumab riduce il turnover osseo inibendo la formazione, la funzione e la sopravvivenza degli osteoclasti prevenendo l’interazione RANKL-RANK. Nel più ampio studio su denosumab in questo contesto (FREEDOM), il farmaco ha ridotto il rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e dell’anca, e ha aumentato la BMD in vari siti anatomici per 3 anni. Inoltre, le donne che hanno continuato il farmaco nell’estensione di ulteriori 7 anni hanno continuato a trarre benefici antifratturativi e (a differenza di altri antiriassorbitivi) hanno continuato a guadagnare in BMD fino a 10 anni di terapia.

Infine nella buona riuscita di questo grande trial FREEDOM ha un merito il metodo di somministrazione, infatti i trattamenti che vengono somministrati meno frequentemente sono generalmente considerati preferibili, dai pazienti e dai medici, rispetto alla somministrazione giornaliera del farmaco.

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