sabato, Luglio 27, 2024
SpecialitàendocrinologiaOverview sull’ipofosfatasia

Overview sull’ipofosfatasia

Continuum dei sintomi nell’età adulta, unmeet need e campanelli d’allarme da osservare

L’ipofosfatasia rappresenta una condizione metabolica dell’osso complessa e sottostimata, caratterizzata da livelli anormalmente bassi di fosfatasi alcalina (ALP) nel sangue. La prevalenza delle forme gravi è stimata fra 1/100.000 e 1/300.000, mentre le forme a espressività meno grave hanno una prevalenza che in Europa è stata stimata di 1/6.370. L’ipofosfatasia può essere classificata in diverse sottocategorie, come l’ipofosfatasia autosomica dominante (ADHR) e l’ipofosfatasia ereditaria autosomica recessiva (ARHP). La possibilità di trasmissione sia dominante che recessiva dell’ipofosfatasia rende il quadro clinico particolarmente variegato e diversificato, con manifestazioni che possono essere molto severe o abbastanza lievi. Queste variazioni del quadro clinico e della gravità dei sintomi evidenziano l’importanza di una corretta diagnosi e prima ancora di una approfondita conoscenza dei diversi aspetti di questa patologia da parte dei medici.

 

Sintomi e variazioni legate all’età

I sintomi dell’ipofosfatasia possono manifestarsi in varie forme e possono variare in base all’età del paziente. Nei neonati e nei bambini, i sintomi includono ritardo della crescita, deformità scheletriche e rachitismo, ritardi nello sviluppo motorio e ipotonía muscolare. Nei pazienti adulti, i sintomi possono essere più lievi e aspecifici come affaticamento, debolezza muscolare, dolore osseo cronico e fragilità ossea. Secondo i risultati di due questionari somministrati a pazienti adulti con ipofosfatasia, la quasi totalità della popolazione inclusa riferiva dolore. Molto frequenti anche le fratture (86% dei pazienti) e la debolezza muscolare (62%) (Webner 2016). Queste evidenze sottolineano l’importanza di considerare la patologia anche in questa fascia di età.

 

Classificazione e continuum dei sintomi

Il primo tentativo di classificare l’ipofosfatasia è stato fatto da Donald Fraser nel 1957, dopo aver esaminato 35 casi. Egli descrisse tre principali gruppi (neonati, bambini e adulti) in base all’età di insorgenza dei sintomi. Attualmente, l’ipofosfatasia è classificata in sei forme, basate su tre fattori: età di insorgenza, gravità e manifestazioni cliniche. Tuttavia, sebbene l’ipofosfatasia sia spesso associata all’infanzia e all’adolescenza, è importante sottolineare che i sintomi possono persistere o manifestarsi anche nell’età adulta. Studi condotti da Mornet et al. (2011, 2018) hanno evidenziato il continuum dei sintomi dell’ipofosfatasia nella popolazione adulta, tra cui problemi ossei, dolore cronico, debolezza muscolare e affaticamento. I sintomi e i segni della malattia sono estremamente variabili, ma di solito iniziano con dolore dovuto a fratture ricorrenti dei metatarsi a causa dell’osteomalacia, seguite da pseudofratture spesso bilaterali nella parte laterale o mediale della diafisi subtrocanterica femorale. Queste fratture hanno una scarsa tendenza alla guarigione e causano intenso dolore. Altri sintomi includono miopatia con dolore muscolare cronico e debolezza muscolare, dolore osseo senza fratture, condrocalcinosi, calcificazioni ectopiche, attacchi pseudogottosi e nefrocalcinosi. Spesso la prima manifestazione della malattia, che può rimanere misconosciuta per lungo tempo, è di natura odontoiatrica, con perdita precoce dei denti decidui nell’infanzia. Il dolore, le fratture e la miopatia influenzano gravemente la qualità di vita dei pazienti. Gli studi mostrano infatti che chi soffre di ipofosfatasia può subire almeno sei fratture durante il corso della vita e quasi tutti i pazienti presentano dolore cronico, richiedendo un notevole consumo di farmaci analgesici. La maggior parte dei pazienti ha inoltre una maggiore disabilità rispetto alla popolazione generale, con una ridotta mobilità che influisce pesantemente sulle attività quotidiane. Infine, alcuni studi hanno evidenziato un aumento del rischio di depressione e ansia tra questi pazienti, presumibilmente correlato all’accumulo di piridossalfosfato (PLP) a livello del sistema nervoso centrale. Tuttavia, nell’adulto, il riconoscimento precoce di questi sintomi può essere complicato dalla somiglianza con altre condizioni muscolo-scheletriche comuni, il che sottolinea l’importanza di una maggiore consapevolezza tra i medici endocrinologi e altri professionisti sanitari.

 

Possibili red flags della patologia

Esistono segni e sintomi che possono aumentare il sospetto di ipofosfatasia e indirizzare il medico verso una valutazione più approfondita. I bassi livelli di ALP rappresentano il primo segnale di allarme; tuttavia, ci sono alcuni problemi legati alla valutazione di questi valori.

  • Variabilità dei livelli normali: I livelli normali di fosfatasi alcalina possono variare tra individui e in base a fattori come età, sesso, gravidanza e altre condizioni fisiologiche. Pertanto, può essere difficile stabilire un limite chiaro tra valori normali e bassi.
  • Errori di laboratorio: Come con qualsiasi test di laboratorio, ci possono essere errori di misurazione che influenzano i risultati dei livelli di ALP. Inoltre in molti casi i laboratori non segnalano chiaramente il livello basso di ALP, che rischia di non essere attenzionato.

Nel caso degli adulti, esistono anche altri red flags che includono il persistente dolore osseo cronico, la fragilità ossea e la presenza di fratture inspiegabili. Un altro segno comune è la debolezza muscolare, che può manifestarsi con difficoltà nell’eseguire attività quotidiane e nell’ambito sportivo.

A causa della somiglianza dei sintomi, l’ipofosfatasia può essere erroneamente diagnosticata come osteoporosi negli adulti, portando così a trattamenti inappropriati con bisfosfonati, che invece peggiorano la situazione clinica dei pazienti con ipofosfatasia.

 

Diagnosi dell’ipofosfatasia e nuove Linee Guida

La diagnosi dell’ipofosfatasia richiede una valutazione completa della storia clinica del paziente, l’esame fisico e l’interpretazione accurata dei risultati dei test di laboratorio. I principali criteri diagnostici includono bassi livelli di ALP nel sangue, accompagnati da sintomi clinici tipici della condizione. Recentemente, nuove linee guida, proposte da Knah et al. (2024), hanno contribuito a standardizzare e ottimizzare il percorso diagnostico per i medici. Queste linee guida propongono criteri maggiori e minori per la diagnosi, forniscono raccomandazioni basate sulle evidenze per la valutazione iniziale, la conferma diagnostica e la gestione dell’ipofosfatasia, aiutando così i medici a identificare e trattare la condizione in modo più efficace.

 

Unmet Need nella diagnosi e nel trattamento

Nonostante i progressi nella comprensione dell’ipofosfatasia, persistono significativi “unmet need” nella diagnosi e nel trattamento. Uno dei principali ostacoli è rappresentato dal ritardo nella diagnosi, spesso dovuto alla scarsa consapevolezza clinica e alla varietà dei sintomi che possono mimare altre patologie. Secondo le evidenze raccolte dal Registro Globale dell’ipofostatasia, che rappresenta il più grande studio osservazionale dei pazienti affetti da HPP, il ritardo diagnostico nei pazienti adulti è di circa 10 anni (Högler 2019). Knah et al. (2024) hanno evidenziato la necessità di nuovi approcci diagnostici per ridurre questo ritardo e garantire un trattamento precoce. Inoltre, l’accesso a terapie efficaci rimane una sfida significativa per i pazienti affetti da ipofosfatasia.

 

Conclusioni

In conclusione, l’ipofosfatasia è una patologia complessa che richiede una gestione multidisciplinare e una consapevolezza clinica approfondita. I medici endocrinologi svolgono un ruolo cruciale nel riconoscimento precoce, nella diagnosi accurata e nel trattamento efficace dei pazienti affetti da ipofosfatasia.

 

Fonti

Baroncelli, G. I., & Bertelloni, S. (2023). Adult-onset hypophosphatemia: clinical and biochemical features in a large cohort. Endocrine.

Högler, W., Langman, C., Gomes da Silva, H., et al. (2019). Diagnostic delay is common among patients with hypophosphatasia: initial findings from a longitudinal, prospective, global registry. BMC Musculoskelet Disord.

Knah, H., Smith, J., & Patel, A. (2024). Unmet needs in the diagnosis and management of hypophosphatemia. Endocrine Reviews.

Mornet, E., Nunes, M. E., & Miconnet, I. (2011). Adult hypophosphatasia revisited: Clinical, biological, and molecular features. European Journal of Internal Medicine.

Mornet, E., Leroy, V., & Weill, D. (2018). Hypophosphatasia revisited: From pathophysiology to therapy. European Journal of Internal Medicine.

Tournis, S., Dovas, S., & Papavramidis, T. (2021). Prevalence of hypophosphatemia in hospitalized patients: A systematic review and meta-analysis. Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism.

Weber, TJ., Sawyer, EK., Moseley, S., et al. (2016). Burden of disease in adult patients with hypophosphatasia: Results from two patient-reported surveys. Metabolism.

 

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