giovedì, Novembre 7, 2024
SpecialitàreumatologiaSindromi da edema midollare dell'osso

Sindromi da edema midollare dell’osso

Durante il convegno di BoneHealth di gennaio 2022 Laura Rotunno ha esaminato il legame tra l'edema osseo e le patologie che lo presentano

L’edema midollare dell’osso, anche noto come edema osseo o bone marrow edema (BME), può essere osservato in diversi disturbi, che si possono anche incontrare nella pratica clinica quotidiana. Saperlo identificare e differenziare a seconda della patologia è fondamentale per un approccio terapeutico corretto.

In occasione del convegno di BoneHealthEdema osseo del ginocchio: strategie terapeutiche“, tenutosi il 22 gennaio 2022, ha introdotto il tema Laura Rotunno, Chirurga Specialista in Reumatologia con larga esperienza nell’ambito dell’artrite reumatoide e delle spondiloartriti, maturata presso l’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano. La Dottoressa, che attualmente collabora come libera professionista con l’ambulatorio di Reumatologia dell’ospedale di Vimercate, ha ripercorso i principali aspetti dell’edema midollare dell’osso e delle patologie che lo presentano.

Cos’è l’edema midollare dell’osso

L’edema midollare dell’osso consiste in un accumulo di liquido all’interno di una struttura ossea, che causa un’elevata pressione intraossea. La fisiopatologia è molto dibattuta, ma è certo che si ha un’aumentata permeabilità capillare, che può dipendere da:

  • trauma meccanico;
  • aumentato flusso sanguigno a livello midollare, perché aumenta la pressione intramidollare e comporta un alterato drenaggio vascolare;
  • infiammazione, a causa del rilascio di citochine proinfiammatorie.

Ne deriva un accumulo di liquidi, che conduce a infiammazione, fibrosi o necrosi. Dal punto di vista radiologico, la presenza di BME comporta un’alterazione del segnale che ha bassa-media intensità nelle sequenze T1 e T2-STIR e più alta nelle sequenze T3. Anche se probabilmente l’alterazione del segnale osservata alla RMN è correlata alla sostituzione del tessuto midollare da parte di una sostanza più ricca d’acqua, nella maggior parte dei campioni istologici non vi è edema dei tessuti. Invece, compaiono:

Patologie caratterizzate da edema osseo

Le patologie con edema midollare dell’osso sono sempre caratterizzate dal dolore, che risulta tanto più forte quanto più è estesa la lesione (diversamente, ad esempio, da sinovite e osteofiti). Tuttavia, presentano differenze significative per quanto riguarda reperti istopatologici, meccanismi causali e prognosi. Includono:

  • traumi;
  • fratture;
  • osteoporosi transitoria dell’anca e osteoporosi regionale migrante;
  • patologie articolari degenerative, quali artrosi, artropatia di Charcot e alcuni tipi di neuropatie croniche;
  • patologie infiammatorie quali artrite reumatoide, artropatia psoriasica e spondiloartriti;
  • patologie vascolari come sindrome dolorosa regionale complessa (CRPS), necrosi avascolare e anemia falciforme;
  • artriti settiche e osteomieliti;
  • gotta e condrocalcinosi;
  • alcune patologie iatrogene (da chirurgia ossea o radioterapia);
  • alcuni tipi di patologie neoplastiche (tumori alle ossa di tipo primario).

Saper differenziare tra le diverse malattie consente di avere l’approccio corretto.

Edema osseo e artrite reumatoide

In caso l’edema midollare dell’osso sia associato ad artrite reumatoide, a livello articolare si osservano lesioni del BME, soprattutto a livello di polso, metacarpo falangeo e metatarso falangeo nei casi precoci: sedi elettive per le erosioni ossee nell’artrite reumatoide. Dagli studi istopatologici risulta che a livello di queste lesioni sono presenti infiltrati infiammatori costituiti da elevata vascolarizzazione, linfociti e osteite attiva. La presenza di BME a livello di osso subcondrale negli stadi precoci di malattia hanno un valore prognostico negativo, verso lo sviluppo di erosioni. Secondo lo studio di Hetland e colleghi pubblicato nel 2009, l’edema del midollo osseo sarebbe il principale predittore radiografico di erosione, come risulta dalle analisi istopatologiche.

Edema osseo e spondiloartrite

In caso di spondiloartrite, i BME a livello spinale e delle articolazioni sacroiliache sono dirette evidenze di infiammazioni, soprattutto negli stadi precoci della malattia; possono comparire anche diversi anni prima del danno strutturale. Le lesioni infiammatorie a livello della colonna vertebrale, tipicamente angolari, visibili alla risonanza magnetica nucleare risultano essere un fattore predittivo per lo sviluppo di sindesmofiti nella spondilite anchilosante. Anche in caso di entesite gli edemi ossei sono indicativi. Per queste ragioni, si tratta di importanti indizi clinici.

 

Edema osseo e sindrome algodistrofica

Nella sindrome algodistrofica il BME non è considerato molto patognomonico perché non possiede requisiti di sensibilità e specificità. La sindrome è caratterizzata da dolore soprattutto a livello di mano e piede, gonfiore, alterazioni sensitive e vasomotorie e deficit funzionale. Nella forma CRPS-II è secondaria a una lesione nota di un ramo nervoso, mentre quella di tipo CRPS-I può derivare da:

  • danni del tessuto periferico (traumi, fratture ossee, chirurgia ortopedica, distorsioni, immobilizzazione, trombosi venosa profonda);
  • lesioni viscerali profonde, anche se con minore frequenza se si ha corretta riabilitazione (infarto del miocardio, lesioni del SNC, patologie addominali, impianto di pacemaker);
  • farmaci quali anticonvulsivanti e isoniazide.

Negli anni sono stati identificati i meccanismi che scatenano o mantengono la flogosi. Risulta importante il ruolo di sostanza P e CGRP, che insieme all’aumento di vasodilatazione, permeabilità capillare e cellule proinfiammatorie comportano gonfiore, eritrosi e calore. Successivamente compaiono ipossia tissutale e acidosi, con aumento di radicali liberi, portando ad allodinia e iperalgesia, tipiche dell’algodistrofia. Nel microcircolo può risultare un danno endoteliale, con aumento di endotelina I e riduzione di ossido nitrico con conseguente vasocostrizione e riduzione del termotatto.

I criteri diagnostici dell’algodistrofia, risalenti al 2007, sono clinici; non menzionano tecniche radiologiche, che però possono essere di aiuto nei casi di difficile interpretazione. Ad esempio, la scintigrafia è utile nella valutazione dell’attività di malattia, soprattutto nelle forme con diagnosi tardiva, dove può indirizzare il trattamento. La risonanza può mostrare alterati segnali a livello osseo solo negli stadi precoci della malattia.

L’unica classe di farmaci che ha mostrato efficacia negli studi sono i bisfosfonati, che non agirebbero tramite l’inibizione degli osteoclasti, non contemplati nella patogenesi dell’algodistrofia. Potrebbero, invece, ridurre la produzione di citochine proinfiammatorie, alterare il metabolismo anaerobio e inibire l’NGF (mediatore che attiva mediatori della patogenesi). A partire dal 1997, sono stati studiati diversi bisfosfonati, ma l’unico approvato è il neridronato endovena, grazie a uno studio randomizzato contro placebo in doppio cieco del 2013 (Varenna et al., 2013). Lo stesso gruppo di ricerca ha indagato l’efficacia della somministrazione per via intramuscolare nel 2021, ottenendo significative riduzioni del dolore e delle caratteristiche cliniche, anche se questa formulazione è ancora off label.

 Sindromi da edema midollare dell’osso

Le bone marrow edema syndromes (BMES) sono condizioni cliniche caratterizzate da BME con decorso autolimitantesi. Nella maggior parte dei casi interessano le gambe. Includono:

  • osteoporosi transitoria dell’anca (TOH), patologia rara a insorgenza spontanea. Caratterizzata da coxalgia invalidante e osteopenia dell’epifisi prossimale del femore, è quasi sempre monolaterale (95% dei casi) e generalmente si risolve in 6-24 mesi. L’eziologia è ignota, anche se talvolta si verifica in seguito a stress meccanici anomali ed eccessivi (5-10%). Colpisce soprattutto uomini tra i 30 e i 50 anni e donne in gravidanza. La risonanza magnetica è utilissima, in quanto, mostrando un BME che interessa la testa del femore (e spesso anche il collo, fino al livello intertrocanterico) consente una diagnosi precoce della malattia.
  • osteoporosi regionale migrante (RMO), che consiste in episodi dolorosi delle articolazioni sottoposte a carichi che si risolvono in 6-12 mesi e, caratteristicamente, dopo qualche tempo ricompaiono in sedi articolari differenti. Colpisce soprattutto anca, ginocchio e caviglia e ha eziologia ignota, anche se in letteratura è suggerito un innesco da microfratture epifisarie (compare generalmente in uomini senza fattori predisponenti). La risonanza è sensibile e nel tempo può mostrare chiaramente la migrazione della RMO.
  • Forme di edema osseo post-traumatiche.

A oggi non esiste un trattamento per le BEMS: si consiglia di tenere l’articolazione in scarico e si prescrivono analgesici. Vi sono studi promettenti che esaminano l’efficacia dei bisfosfonati parenterali (e, talvolta, orali), ma non prevedono gruppi di controllo. È in corso uno studio randomizzato e controllato contro placebo con Neridronato 100 mg EV (4 infusioni) nel trattamento dell’osteoporosi transitoria dell’anca.

 

Il BME è frequentemente presente in diverse condizioni cliniche che s’incontrano nella pratica clinica quotidiana. Questo pattern radiologico, però, può sottendere differenti patologie, con il proprio significato patogenetico e prognostico: saper differenziare le varie malattie caratterizzate dall’edema osseo permette di scegliere l’approccio terapeutico corretto

Fonte: convegno BoneHealth 22 gennaio 2022

 

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