Nell’articolo precedente, relativo alle terapie per osteoporosi post-menopausale combinate e sequenziali, abbiamo parlato del paziente che deve consolidare il trattamento anti-riassorbitivo dopo due anni di trattamento.
In questo articolo affrontiamo il trattamento del paziente NON responder, per il quale bisogna innanzitutto dimostrare che aderisce ad una compliance ottimale della terapia anti-riassorbitiva e che, nonostante ciò, presenta almeno due fratture da fragilità oppure una perdita di massa ossea superiore al 5%.
Approccio clinico
La nota 79 è in un certo senso molto più permissiva perché già con una sola frattura permette già di fare il passaggio dalla terapia anti-riassorbitiva ad una terapia anabolizzante, anche se bisogna ricordare che i farmaci riducono il rischio di fratture ma non lo azzerano mai completamente.
Uno studio della dottoressa Felicia Cosman, di cui è importante tenere conto nella pratica clinica, ha evidenziato che se si passa da una terapia anti-riassorbitiva a teriparatide, nei primi sei mesi si riscontra un transitorio calo della BMD femorale dello 0,8-1,9% con recupero a 24 mesi (fatto invece non verificatosi per la BMD lombare). È importante tenerne conto perché la teriparatide a differenza di romosozumab induce un aumento della porosità corticale, quindi è necessario valutare bene il passaggio di terapia quando, per esempio, il paziente ha avuto una recente fattura di femore. Lo stesso studio ha dimostrato che se invece di fare un passaggio netto da aledronato a teriparatide, manteniamo il primo farmaco in aggiunta al secondo proseguendo dunque per un certo periodo con una terapia combinata, allora questo switch è vantaggioso non portando ad un calo della BMD femorale, anzi ne aumenta il valore del 3,2% in 18 mesi.
Se si passa da un aminobisfosfonato meno potente ad un anti-riassorbitivo più potente è possibile risolevere il problema del calo della BMD femorale che si verifica passando da aledronato a teriparatide. Dipende sempre da quale sia l’obiettivo finale, se è necessario salvaguardare maggiormente la porosità corticale, per esempio in un paziente con frattura al femore, è più vantaggioso invece che passare ad un anabolizzante, passare a denosumab rilanciando quindi una terapia con anti-riassorbitivo.
Lo studio “Structure” prende in analisi donne con pregresso bisfosfonato orale per almeno tre anni, di cui l’ultimo anno con aledronato, e che successivamente passano a romosozumab, essendo parzialmente anti-riassorbitivo, vanno incontro ad un significativo aumento della BMD lombare e anche femorale. Anche gli studi più approfonditi sulla microarchitettura dell’osso confermano che il passaggio a romosozumab porta ad un incremento della BMD volumetrica trabecolare. Nel caso in cui si passasse a teriparatide, gli effetti sono diversi per quanto riguarda la BMD volumetrica corticale, che si riduce del 3,6% nelle donne che si sottopongono a questo trattamento piuttosto che a romosozumab.
Uno studio del 2021 ha riportato gli effetti sullo scheletro in risposta al trattamento con romosozumab dopo 12 mesi di denosumab. Il marcato effetto rebound fa si che sia necessario consolidare la terapia con un anti-riassorbitivo, cosa che parzialmente è romosozumab pur essendo prima di tutto un anabolizzante, ed è risultato un passaggio vantaggioso per il paziente che ha ottenuto un incremento ulteriore della BMD lombare e il mantenimento di quella che era la BMD femorale. Lo studio è però limitato in quanto si basa su pazienti che hanno assunto denosumab solo per 12 mesi, non sappiamo quindi quale sia l’effetto della sospensione del farmaco dopo diversi anni.
Infine possiamo dire che se una paziente in corso di terapia anti-riassorbitiva ha un fallimento terapeutico, lo switch ad un anabolizzante è sempre vantaggioso, indipendentemente dalla durata della pregressa terapia.