L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una bassa densità minerale ossea (BMD) e dal deterioramento dell’architettura ossea, con conseguente riduzione della resistenza delle ossa e, di conseguenza, una maggiore predisposizione alle fratture. La manifestazione clinica dell’osteoporosi è una frattura da fragilità ed è lecito dire che circa l’80% di tutte le fratture sono correlate all’osteoporosi. Poiché le fratture sono associate a una diminuzione della qualità della vita e a un aumento della mortalità prematura, della disabilità e dell’onere finanziario, è importante identificare i soggetti ad alto e altissimo rischio di frattura e fornire loro adeguate opzioni terapeutiche, cosa che purtroppo non sempre avviene nella maniera e nei tempi corretti.
Questo studio affronta il modo migliore per utilizzare le opzioni farmacologiche disponibili per l’osteoporosi postmenopausale al fine di fornire una protezione dalle fratture per tutta la vita nelle pazienti ad alto e altissimo rischio di frattura.
Pazienti ad alto rischio di frattura
Il primo passo consiste nell’identificare i pazienti ad alto o altissimo rischio di frattura. Gli strumenti prognostici, tra i quali il Fracture Risk Assessment Tool (FRAX) è il più utilizzato, sono disponibili per identificare i soggetti ad alto rischio di fratture osteoporotiche e per assistere i medici nelle decisioni sulla procedura da seguire. Esistono diverse linee guida per il trattamento dell’osteoporosi postmenopausale, per esempio la Società Coreana per la ricerca sulle ossa e i minerali raccomanda il trattamento in base a parametri ben definiti basati sull’età e sul livello di BMD; le linee guida nazionali per l’osteoporosi in Gran Bretagna applicano allo stesso modo dei parametri età-specifici, partendo da una soglia di intervento inferiore basata su una donna in menopausa con indice di massa corporea medio, con una precedente frattura da fragilità, nessun fattore di rischio aggiuntivo e senza conoscenza della BMD.
Pazienti ad altissimo rischio di frattura
Alcuni autori hanno suggerito di migliorare la capacità predittiva del FRAX per i pazienti a rischio di frattura molto elevato integrando caratteristiche delle fratture pregresse (numero, sede e tempo dalla precedente frattura). Poiché il numero, la localizzazione e il tempo intercorso dalla frattura precedente sono associati a un aumento del rischio di una seconda frattura, gli aggiustamenti verso l’alto del rischio di frattura in individui con fratture multiple, MOF o fratture pregresse recenti (entro 2 anni) migliorano il FRAX, mantenendo la probabilità a 10 anni come modello migliore. Sempre in Corea esiste un punteggio per identificare le donne ad altissimo rischio di frattura. In uno studio di coorte a livello nazionale con un’ampia popolazione rappresentativa di un una banca dati convalidata, i tre più importanti fattori di rischio di frattura osteoporotica erano l’età avanzata, l’anamnesi di una recente fragilità (entro 2 anni) e l’uso recente di glucocorticoidi orali (>30 giorni nell’ultimo anno). L’algoritmo, tra l’altro, è disponibile per l’autovalutazione in un calcolatore basato sul web (http://www.nhis.or.kr) senza misurazioni della BMD.
Recenti raccomandazioni terapeutiche
La Endocrine Society ha recentemente pubblicato una linea guida di pratica clinica sulla gestione farmacologica dell’osteoporosi nelle donne in postmenopausa, in cui vengono proposte le seguenti raccomandazioni:
- Nelle donne in postmenopausa ad alto rischio di fratture, si consiglia il trattamento iniziale con bifosfonati (alendronato, risedronato, acido zoledronico e ibandronato) o denosumab come trattamento iniziale alternativo, per ridurre il rischio di fratture.
- Nelle donne in postmenopausa con osteoporosi ad altissimo rischio di frattura, come quelle con fratture vertebrali gravi o multiple, si raccomanda la teriparatide per un massimo di 2 anni per la riduzione delle fratture vertebrali e non vertebrali.
- Nelle donne in postmenopausa con osteoporosi ad altissimo rischio di frattura, come quelle con fratture vertebrali gravi o multiple e che presentano un T score molto basso <-2,5 si raccomanda il trattamento con romosozumab per per un periodo massimo di 1 anno per la riduzione delle fratture vertebrali, dell’anca e non vertebrali.
Studi recenti hanno documentato la superiorità degli agenti di formazione ossea (teriparatide [TPTD] o romosozumab) rispetto agli antiriassorbitivi (risedronato o alendronato) per ridurre le fratture nelle donne in postmenopausa ad altissimo rischio di frattura.
Meccanismo d’azione dei farmaci
I bisfosfonati (BP) riducono la funzionalità degli osteoclasti inibendo la farnesil pirofosfato sintasi (FPPS) impedendo così la prenilazione delle piccole proteine GTPasi. Ciò comporta l’interruzione dell’organizzazione citoscheletrica, perdita del bordo di membrana frastagliato e alterazione del traffico vescicolare. Inoltre, nonostante gli osteoclasti vadano naturalmente incontro ad apoptosi, questo processo è notevolmente accelerato negli osteoclasti esposti ai BP. I BP si legano ai minerali ossei e vengono internalizzati dagli osteoclasti maturi nei siti di riassorbimento osseo; i BP possono rimanere legati al minerale osseo anche per molti anni dopo l’interruzione della terapia, per questo motivo continuano per un certo periodo a mantenere l’azione farmacologica nonostante non vengano più somministrati. Nonostante gli osteoblasti non siano generalmente considerati un bersaglio dell’inibizione dei BP, gli esperimenti in vitro hanno dimostrato che l’inibizione di FPPS negli osteoblasti può spiegare la risposta anabolizzante dell’osso all’ormone paratiroideo (PTH), osservata dopo l’esposizione cronica all’ormone ai BP nei ratti.
Per quanto riguarda denosumab (DMAB), si tratta di un anticorpo monoclonale umano che inibisce il riassorbimento osseo neutralizzando con una forte affinità e specificità l’attivatore del recettore del ligando kB del fattore nucleare (RANKL), un mediatore chiave nella differenziazione, funzione e sopravvivenza degli osteoclasti. A differenza dei BP, il DMAb inibisce l’attività degli osteoclasti in tutti gli stadi di sviluppo (prefusione, multinucleazione e riassorbimento), facilitando l’accesso al rimodellamento osseo. Il DMAb non viene incorporato nell’osso, di conseguenza, il suo effetto sul riassorbimento osseo cessa rapidamente dopo l’interruzione del trattamento.
La durata appropriata della terapia antiriassorbitiva (BPs o DMAb) è diventata un argomento di discussione, a causa delle preoccupazioni circa il rischio di interruzione del trattamento per osteonecrosi della mascella (ONJ) e frattura atipica del femore (AFF); si è infatti cominciato a parlare di “vacanze farmacologiche” (interruzione del trattamento).
Rischi e benefici
Studi osservazionali basati su registri e rapporti post-marketing basati su milioni di pazienti sottoposti alla somministrazione clinica a lungo termine, hanno associato alcuni eventi avversi rari, precedentemente sconosciuti, all’uso di antiriassorbitivi; questi rischi rari dovrebbero sempre essere integrati in una prospettiva globale tenendo conto dei benefici della terapia farmacologica a lungo termine dell’osteoporosi. In donne in postmenopausa con osteoporosi precedentemente trattata con BP orali (alendronato per una durata media di 6-2-6,4 anni), fratture atipiche del femore (AFF) si sono verificate in una su 321 pazienti in transizione verso l’acido zoledronico (5 mg, per via endovenosa) e in due pazienti su 322 che sono passate a DMAB nell’arco di 1 anno. La transizione a un antiriassorbitivo più potente in pazienti precedentemente trattati con BP a lungo termine potrebbe impedire la clearance dei BP accumulati dalla matrice ossea e aumentare il rischio di AFF; questa possibilità dovrebbe essere valutata in una popolazione molto più ampia che passa dai BP orali all’acido zoledronico o al DMAb per via endovenosa.
Gli esperti propongono quindi una strategia “treat-to-target” in cui viene definito un obiettivo specifico per raggiungere una totale prevenzione di fratture nel lungo termine, personalizzando la terapia andando eventualmente a cambiarne le condizioni adattandosi alla risposta del paziente.
Le linee guida della Endocrine Society raccomandano che le donne in postmenopausa ad alto rischio di fratture continuino la terapia BP senza interruzione, pur rimanendo ad alto rischio di frattura dopo 3-5 anni di terapia. È stato infatti visto in diversi casi clinici che pazienti sottoposti a interruzione dei BP hanno avuto un incremento dal 20 al 40% di rischio di fratture, e raddoppiato il rischio di fratture vertebrali, indicando che queste drug holidays potrebbero non essere sicure per tutti pazienti.
Nonostante la mancanza di prove a lungo termine, bisognerebbe approcciare l’osteoporosi in modo simile alle condizioni croniche come l’ipertensione e il diabete, di cui c’è la sicurezza per un trattamento a lungo termine.