Nella giornata del 6 marzo 2021 ha avuto luogo il primo convegno di MakingLife sull’approccio integrato alla salute dell’osso, nel corso del quale sono state affrontate:
- problematiche attuali riguardanti la gestione del paziente affetto da fragilità ossea e
- prospettive future derivanti dall’approccio integrato e multidisciplinare.
Coordinato da Gregorio Guabello, specialista in endocrinologia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, che in qualità di responsabile scientifico ha introdotto l’evento, il congresso ha visto l’alternarsi di importanti esponenti delle varie discipline coinvolte nel trattamento delle malattie dell’osso.
In questo modo, nel corso di quattro sessioni è stato possibile tracciare un quadro aggiornato delle potenzialità che derivano dall’approccio integrato a patologie complesse come l’osteoporosi, l’osteonecrosi mascellare farmaco-relata e altre importanti malattie ossee.
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Prima sessione
La prima sessione del convegno è stata moderata da Gregorio Guabello, Sabina Corbetta, responsabile del servizio di endocrinologia e diabetologia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, e da Fabio Massimo Ulivieri, dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Attori nella regolazione endocrina dell’omeostasi calcio-fosforo
Eller-Vanicher dell’UOC di Endocrinologia della Fondazione IRCCS Ca’ Granda nel corso del suo intervento ha illustrato come le concentrazioni di calcio e di fosforo siano fondamentali nella regolazione del metabolismo osseo. Quando non sono sotto controllo, le fluttuazioni dei valori normali di questi metaboliti porta a condizioni patologiche anche molto severe, motivo per il quale esistono degli appositi sensori che regolano il loro assorbimento e la loro eliminazione.
Mentre nella regolazione del calcio intervengono la vitamina D e il paratormone (PTH), per il fosforo l’attore principale della regolazione risulta essere FGF-23. Questo ormone, prodotto dagli osteoblasti e dagli osteociti, non solo inibisce le concentrazioni di vitamina D ma diminuisce anche l’assorbimento di fosforo a livello intestinale.
Il calcitriolo sembra invece intervenire sia nella regolazione del calcio che in quella del fosforo. Infatti, quando le concentrazioni di queste molecole tendono a diminuire, il calcitriolo aumenta il loro riassorbimento intestinale, aumentandone al contempo le contrazioni ematiche.
Fisiologia dell’osso: modeling e remodeling
Durante il suo contributo, Alessandro Rubinacci del dipartimento di ortopedia del San Raffaele di Milano ha approfondito la funzione del modellamento osseo e del suo rimodellamento (modeling e remodeling). È stato inoltre posto l’accento sulla necessità di differenziare il rimodellamento osseo, processo portato avanti dall’accoppiamento di osteoclasti e osteoblasti, e turnover osseo, che definisce invece la quantità di tessuto osseo rimosso e di nuova formazione.
Molto interessante è stata inoltre la spiegazione del ruolo anabolico che ricoprirebbe l’osteoclasta. In determinate circostanze, questa popolazione cellulare avrebbe la possibilità di stimolare la formazione di un nuovo tessuto osseo. Infine, nuove evidenze scientifiche porterebbero ad ipotizzare un collegamento tra gli osteoclasti e il metabolismo energetico.
Farmaci osteo-metabolitici: anti-riassorbitivi e anabolizzanti
L’intervento di Gherardo Mazziotti del dipartimento di Scienze Biomediche dell’Humanitas ha permesso invece di avere una panoramica sullo stato dell’arte dei farmaci attualmente utilizzati nella pratica clinica per la gestione dei pazienti affetti da osteoporosi, focalizzando l’attenzione su quelli antiriassorbitivi (soprattutto bisfosfonati e denosumab) e anabolici (come, ad esempio, il teriparatide e l’abaloparatide).
La discussione è poi proseguita con un elenco di ottimi spunti di riflessione per identificare il momento migliore per iniziare la terapia farmacologica, analizzando la prevenzione primaria e secondaria, e determinare quale classe di farmaco sia il più adatta a seconda delle condizioni del paziente.
Il ruolo della nutrizione nella prevenzione e terapia dell’osteoporosi post menopausale e senile
Nell’ultimo intervento della prima sessione del convegno, Hellas Cena e Valentina Braschi hanno dato il loro prezioso contributo analizzando il ruolo che la scienza della nutrizione può avere nella gestione del paziente caratterizzato da fragilità ossea.
Tesi principale della loro discussione è stata quella di considerare la valutazione dello stato nutrizionale nel suo insieme, comprendendo un’attenta analisi della storia ponderale, dell’esame antropometrico e della distribuzione adiposa. Tuttavia, l’aspetto fondamentale di questo approccio era la personalizzazione dell’approccio terapeutico, in quanto ogni paziente è sicuramente diverso da un altro per via del suo vissuto e delle sue capacità metaboliche.
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Seconda sessione
La seconda sessione del convegno è stata moderata da Fabrizio Giudici, specialista in Ortopedia e Traumatologia, e da Matteo Longhi, responsabile dell’UO di Reumatologia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano.
Fratture ossee da fragilità
Nel primo intervento della seconda sessione del congresso, Federico Valli, specialista in Ortopedia e Traumatologia, ha illustrato e approfondito le complicanze dovute alle fratture che coinvolgono il collo del femore (specialmente quelle sottocapitate e pertrocanterica). In questi contesti, l’approccio chirurgico deve necessariamente tenere conto di molte variabili modificabili (come la scelta dell’impianto) e non modificabili (come il tipo di frattura e la qualità dell’osso del paziente).
Altro importate punto dell’intervento è stato quello di porre l’accento sull’approccio multidisciplinare sia nella fase di prevenzione delle fratture che nella loro gestione post-chirurgica, coinvolgendo attori diversi per tutelare la qualità di vita del paziente.
Il punto di vista del bone specialist (fracture liaison services)
La sessione ha poi visto l’utile intervento di Sara Cassibba, specialista ambulatoriale dell’UO di Endocrinologia e Diabetologia dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che ha posto l’accento sulla frattura del femore e su come questa possa incrinare la qualità della vita del paziente, aumentarne la mortalità e la morbilità e, in ultima analisi, gravare pesantemente sul sistema economico sanitario. I pazienti con frattura del femore sono infatti più esposti ad altri tipi di frattura che, nel 70% dei casi, sono localizzate a livello vertebrale.
Sono stati poi analizzati i dati di questa problematica a livello nazionale, i quali confermano che l’incidenza delle fratture è un tema molto importante le cui conseguenze sono spesso sottovalutate. La figura del Fracture Liaison Service nasce proprio per colmare il gap tra l’importanza di questo problema e la sua diagnosi, cercando di sfruttare le competenze di un team multidisciplinare per prevenire l’insorgenza di fratture secondarie.
Le fratture vertebrali, il punto di vista dell’ortopedico
Grazie all’intervento di Pedro Berjano, direttore della divisione chirurgia vertebrale GSpine endocrinologia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, è stato possibile approfondire il tema delle fratture vertebrali in pazienti affetti da fragilità ossea. Il sospetto della presenza di questo tipo di fratture dovrebbe nasce nel momento in cui è presente un dolore persistente, specialmente nei pazienti anziani.
Una volta diagnosticata la frattura mediante raggi X o risonanza magnetica, il trattamento dovrebbe prevedere l’utilizzo di analgesici per 2 o 6 settimane (per contenere il dolore percepito) insieme all’uso di un busto per limitare la deformità residuale.
Il punto di vista del Bone Specialist
Con Alessandro Rossini, dirigente medico dell’UO di Endocrinologia e Diabetologia dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, si è potuto appurare come il problema delle fratture vertebrali sia non solo molto complesso ma anche molto pesante per il sistema sanitario nazionale, determinando anche una significativa riduzione della qualità della vita del paziente che ne è affetto.
Inoltre, le fratture portano con sé un aumento del rischio di nuove fratture nel periodo temporale subito successivo al primo evento (a un anno dalla frattura il rischio di un secondo evento è molto elevato), cosa che fortunatamente diminuisce con il passare del tempo. Cosa ancora più importante, molto spesso le fratture non vengono gestite nel modo corretto, sia al momento della diagnosi che nel corso del loro trattamento.
Capture the fracture, come ha illustrato Rossini, è un progetto che permette di correlare con successo le fratture vertebrali con quelle femorali. In questo contesto il ruolo del fracture liaison service è fondamentale, ma lo è anche quello del chirurgo ortopedico e del medico di medicina generale, in quanto hanno il compito di segnalare i pazienti a rischio.
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Terza sessione
La terza sessione del convegno ha visto come moderatori Monica Giordano, direttore dell’UOC di Oncologia dell’Ospedale Sant’Anna ASST Lariana di Como, e Matteo Longhi, responsabile dell’UO di Reumatologia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano.
Osteoporosi nelle malattie reumatiche
L’importate contributo di Laura Rotunno, dell’UO di Reumatologia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, ha permesso di focalizzare l’attenzione dell’evento sulle cause dell’osteoporosi dovuta a malattie reumatiche e all’utilizzo di glucocorticoidi. Questa classe di farmaci, infatti, influenza la massa ossea e ne riduce la consistenza, portando soprattutto nel primo anno di trattamento ad un rischio molto alto di fratture vertebrali.
Relativamente alle malattie reumatiche, si è visto come nei pazienti con artrite reumatoide l’osteoporosi abbia una prevalenza che arriva fino al 50% dei casi e che il rischio sembra essere correlato al grado di severità della malattia. Il nodo che unisce queste due patologie sembrerebbe essere dovuto all’azione delle citochine proinfiammatorie (TNF-α, IL-1 e IL-6) e gli anticorpi anti-citrullina (ACPA) che stimolano l’azione degli osteoclasti.
Sebbene l’uso di glucocorticoidi, attualmente in uso per il trattamento di questa patologia, possa favorire l’insorgenza dell’osteoporosi, diversi recenti studi suggerisco che un loro basso dosaggio abbia invece opposto, proteggendo il paziente dall’aumento della fragilità ossea. Situazione simile si è vista anche con il trattamento tramite altri farmaci anti-reumatoidi (DMARDs), sia convenzionali (ad esempio il metotrexato) che biologici (anticorpi monoclonali come il rituximab).
Anche nella spondilite anchilosante, prosegue Rotunno, si assiste ad una diminuzione della massa minerale ossea (BMD) la quale, se non trattata adeguatamente, porta a edema del midollo osseo (bone marrow edema, BME) con perdite di massa ossea altamente localizzate. In questi casi, l’utilizzo di neridronato e di anticorpi anti-TNF sembra possa riequilibrare l’omeostasi dell’osso, portando ad un aumento della BMD.
Nel lupus erimatoso sistemico, la marcata infiammazione tipica di questa malattia contribuisce ad aumentare la popolazione degli osteoclasti, peggiorando la BMD. È importate osservare che a questo tipo di pazienti viene spesso consigliato di non esporsi alla luce solare, provocando un abbassamento delle concentrazioni di vitamina D e compromettendo ulteriormente l’omeostasi ossea.
Osteoporosi nella malattia diabetica
L’osso è senza dubbio uno tra degli organi più colpiti dalla malattia del diabete, sia esso di tipo 1 o 2, andando ad aumentare enormemente il rischio di morte dopo una frattura dell’anca.
Come argomentato da Maurizio Rondinelli dell’Unità di Diabetologia, Endocrinologia e Malattie Metaboliche del Centro Cardiologico di Monzino di Milano, recentemente si è visto che pazienti obesi non diabetici hanno un certo grado di rischio di incorrere in fratture che non coinvolgono l’anca o le vertebre. Al contrario, pazienti non obesi ma affetti da diabete presentano un rischio molto alto di subire una frattura vertebrale o dell’anca.
Relativamente alle fratture, esistono diversi fattori di rischio che vanno valutati nel paziente diabetico. Tra questi ritroviamo il BMD, l’uso prolungato di più farmaci contemporaneamente e la durata nel quale la malattia permane senza adeguato trattamento terapeutico e il mancato controllo della concentrazione glicemica.
Una volta valutato il rischio di frattura ed effettuato uno screening mediante metodiche accreditate (come la DXA o la FRAX) la scelta del percorso terapeutico farmacologico dovrebbe ricadere sulla prescrizione di farmaci anti-riassorbitivi come l’alendronato o il denosumab, i quali hanno dimostrato recentemente di essere particolarmente efficaci in questo tipo di pazienti.
Osteoporosi nel paziente oncologico
Nel corso del convegno ha quindi preso la parola il responsabile scientifico Gregorio Guabello, che ha illustrato innanzitutto come la problematica del paziente oncologico non metastatico e affetto da osteoporosi sia molto sentita, essendo citato anche nelle linee guida ASCO 2019.
In questo documento, infatti, si raccomanda di effettuare screening accurati per questa categoria di pazienti mediante valutazione della BMD e cercare, dove possibile, di ottimizzare il quadro clinico del paziente con trattamenti non farmacologici (ad esempio, l’integrazione di calcio mediante assunzione con la dieta). Quando il trattamento farmacologico è inevitabile, si suggerisce di utilizzare bisfosfonati o denosumab.
La chemioterapia ha infatti un impatto molto pesante sull’organismo, specialmente sul metabolismo osseo (il metotrexato, ad esempio, è tossico per i precursori degli osteoblasti) e spesso la chemioterapia porta ad una diminuzione complessiva degli osteoblasti in favore degli osteoclasti.
Nella scelta della strategia di prevenzione o di adeguato trattamento terapeutico arrivano in aiuto le linee guida AIOM del 2019, nelle quali viene definita la soglia terapeutica e la prevenzione delle metastasi ossee.
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Quarta sessione
L’ultima sessione del convegno ha avuto come moderatori Antonio Carassi, direttore SC Odontostomatologia II dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano e Tiziano Testori, responsabile del reparto di Implantologia e Riabilitazione Orale della Clinica Odontoiatrica dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano.
Gestione clinica e trattamento dell’osteonecrosi dei mascellari farmaco-relata
Nel corso del primo intervento dell’ultima sessione dell’evento, Francesco Grecchi, responsabile dell’UO di Chirurgia Maxillofacciale dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, ha permesso di approfondire il tema dell’osteonecrosi mascellare correlata all’uso dei bisfosfonati (biphosphonate related osteonecrosis of the jaw, BRONJ), analizzando le motivazioni alla base della particolare localizzazione di queste lesioni e la stadiazione che scandisce la sua progressione.
La presentazione ha incluso un’analisi delle procedure diagnostiche per identificare la patologia, tra le quali ricordiamo la TC senza mezzo di contrasto, la RMN dell’osso e la scintigrafia ossea, oltre alle tecniche di laboratorio volte a ricercare la presenza del telopeptide c-terminale e ovviamente a un’anamnesi attenta e approfondita.
Relativamente alla terapia da seguire, Grecchi ha spiegato che è sempre preferibile un approccio di tipo conservativo, caratterizzato dall’utilizzo di antibiotici, ozonoterapia locale, teriparatide e fattori rigenerativi. Tali trattamenti, infatti, risultano essere fondamentali per prevenire il progredire della malattia che altrimenti risulterebbe estremamente più difficile da risolvere (anche con interventi chirurgici molto più invasivi).
Gestione clinica della terapia anti-riassorbitiva: il punto di vista del Bone Specialist
Durante l’ultimo intervento della sessione, condotto da Francesco Bertoldo, responsabile U.S. delle Malattie del Metabolismo e Osteoncologia del Dipartimento di Medicina del Policlinico G.B. Rossi di Verona, sono state approfondite le dinamiche che portano alla formazione e all’aggravamento dell’osteonecrosi mascellare, suggerendo che esistano anche cause diverse dall’utilizzo dei bisfosfonati, come ad esempio la terapia con bevacizumab e sunitinib.
L’intervento è poi continuato definendo quelle che sono le raccomandazioni per gli specialisti quando hanno in cura un paziente con rischio di sviluppare osteonecrosi mascellare dovuta a farmaci, suddividendoli in due categorie di rischio e sottoponendoli a profilassi antibiotica in caso di interventi invasivi.
Per la gestione del rischio di frattura del paziente con osteoporosi e con osteonecrosi mascellare, è emerso che il trattamento con teriparatide potrebbe essere utile nel riparo delle lesioni provocate dalla malattia, come anche la successiva somministrazione di denosumab e dei bisfosfonati.
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