mercoledì, Ottobre 9, 2024
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Artropatia dell’articolazione temporo-mandibolare: approccio diagnostico

L’articolazione temporo-mandibolare (ATM), per anatomia (condiloartrosi doppia completa) e in virtù della funzionalità (masticatoria e non solo) rappresenta uno dei sistemi articolari più complessi dell’organismo umano. Analogamente, l’approccio diagnostico e terapeutico alle problematiche interessanti tale struttura sta diventando sempre più articolato e multi-specialistico. Tali condizioni patologiche possono identificate sotto la definizione di sindrome algico-disfunzionale, termine volutamente generico che riunisce quadri a presentazione varia, tendenzialmente caratterizzata dalla presenza di dolore e/o alterazione funzionale.

Dal punto di vista epidemiologico, si tratta di una condizione relativamente comune, forse sottostimata, con un impatto socio-sanitario già considerevole: nonostante un quarto della popolazione riporti sintomi correlati, la quota che effettivamente si auto-indirizza allo specialista rappresenta indicativamente un 3-7%.

Diagnosi di patologie dell’articolazione temporo-mandibolare (ATM)

La diagnostica è un esempio evidente di come l’approccio non possa essere limitato alla sola articolazione. L’imaging dell’ATM deve essere necessariamente abbinata allo studio dell’apparato su cui l’articolazione agisce, quello masticatorio, sia dal punto di vista morfologico (quindi odontoiatrico) che da quello funzionale (kinesiografia), e al mezzo attraverso il quale tale azione viene esercitata, ovvero la muscolatura (in particolare i quattro muscoli masticatori principali), ad esempio tramite la metodica dell’elettromiografia di superficie.

In riferimento all’articolazione propriamente detta, la semplice ortopantomografia è soggetta per definizione a distorsione e non si presta perciò alle misurazioni craniometriche. Oltre che alla valutazione odontoiatrica, in ambito specialistico può essere utile al fine di riconoscere alterazioni di ordine macroscopico a carico del condilo.

L’esame radiografico di secondo livello, ossia la TC cone beam, pur condizionata dalla più elevata esposizione, permette di raccogliere scansioni realistiche, multiplanari, prive di sovrapposizione della struttura ossea condilare, con una maggiore sensibilità e soprattutto specificità nel riconoscere alterazioni dimensionali lievi.

Attualmente la risonanza magnetica rappresenta il gold standard nell’imaging dell’ATM, tanto nella resa del tessuto oseeo – comprese le anomalie della componente midollare – quanto in quella delle strutture non mineralizzate. La RMN, infatti, permette, ad esempio, di riconoscere alterazioni a carico del disco (la dinamicità dell’esame è particolarmente utile in un quadro di incoordinazione condilo-discale) o versamenti articolari. Tali alterazioni morfologiche possono essere correlate con i riscontri clinico-sintomatologici.

Ciò nonostante alcuni studi osservano come la RMN presenti comunque un’accuratezza diagnostica inferiore del 50% rispetto alle metodiche esplorative, che però devono essere soppesate sulla base dei costi biologici. In altre parole, non ha senso confrontare la RMN con una chirurgia open: si tratta di passaggi che possono innestarsi in un approccio clinico sequenziale alla patologia. Un compromesso può essere quello dell’artroscopia, che unisce il basso rischio richiesto da una procedura di tipo diagnostico con una buona predicibilità terapeutica.

Letteratura scientifica sull’artropatia dell’articolazione temporo-mandibolare

https://www.omicsonline.org/open-access/current-management-of-temporomandibular-joint-tmj-disease-2167-7921.1000138.php?aid=28264#7

 

 

 

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