L’omeostasi del fosfato avviene in molti dei nostri organi più importanti come scheletro, intestino, reni e ghiandole paratiroidee, ed è regolata dall’ormone paratiroideo (PTH), dal fibroblast growth factor 23 (FGF-23) e dalla vitamina D. Quando uno di questi organi o regolatori subisce una disfunzione, acquisita o genetica, si può andare incontro a iper- o ipofosfatemia.
Metabolismo del fosfato
Nonostante l’85% del fosfato risieda nelle ossa e nei denti, e solo l’1% del fosfato del nostro corpo sia extracellulare, è proprio questo ad essere quantificabile a livello clinico, ovvero i livelli di fosfato nel siero. I fisiologici livelli di fosfato nel siero si trovano in un range tra 0,8 e 1,45 mmol/L nell’adulto, e possono variare sia durante il giorno che in base alla dieta; circa il 65% del fosfato assunto tramite dieta viene assorbito a livello del piccolo intestino, mentre il re-assorbimento avviene nel tubulo renale prossimale e, in minima parte, nella parte distale del nefrone.
Definizione di Ipofosfatemia
Nel momento in cui i livelli di fosfato nel siero scendono al di sotto del range sopracitato, il soggetto può andare incontro ad una ipofosfatemia debole, moderata o grave in base alla quantità di fosfato misurato, rispettivamente: tra 0.65 e 0.80 mmol/L, tra 0-32 e 0.65 mmol/L e infine la malattia si aggrava quando i livelli scendono al di sotto di 0.32 mmol/L.
Nei bambini questi valori sono proporzionalmente più alti.
I sintomi dell’ipofosfatemia dipendono sia dalla gravità che dalla cronicità con cui si manifesta la malattia: in una fase acuta i sintomi possono manifestarsi come debolezza muscolare, mialgia e fatica per arrivare ad una sintomatologia grave come scompenso cardiaco, anemia emolitica, convulsioni ed encefalopatie.
L’ipofosfatemia cronica invece si manifesta con un dolore cronico alle ossa sino ad arrivare a fratture.
È possibile identificare tre meccanismi che singolarmente, o nella loro combinazione, possono portare a questa malattia: una riduzione dell’assorbimento del fosfato a livello intestinale, una ridistribuzione (shift) tra il fosfato extracellulare e quello intracellulare oppure un aumento della secrezione di fosfato da parte dei reni.
Principali cause dell’Ipofosfatemia
Ipofosfatemia acuta
Questa forma della malattia si presenta dal 30 al 50% dei casi, e può essere dovuta a diversi fattori: alcalosi respiratoria, sepsi, assunzione di alcol, malnutrizione, chetoacidosi diabetica, aumento della secrezione di insulina durante la somministrazione del glucosio o in seguito a traumi come chirurgie a cure aperto o al fegato.
Alcalosi respiratoria acuta: la riduzione di fosfato nel siero è tanto maggiore quanto più alto è il valore raggiunto dal pH del sangue e, di conseguenza, tanto minore è la concentrazione di CO2. L’ipofosfatemia può insorgere anche qualora lo shift intracellulare del fosfato avvenga durante una ventilazione assistita in pazienti con ostruzione polmonare cronica.
Assunzione di alcol: l’ipofosfatemia si manifesta in oltre il 50% di pazienti con un livello di alcol nel sangue superiore alla norma, ed anche in questo caso come sopra può verificarsi una ipofosfatemia da redistribuzione del fosfato intra ed extracellulare.
Inoltre è importante ricordare che molti pazienti alcolizzati hanno una dieta sbilanciata con un basso apporto di fosfato e vitamina D, oltre al fatto che l’assorbimento del fosfato è fortemente ridotto dall’uso di antiacidi, vomito o diarrea.
Ipofosfatemia cronica
Anoressia nervosa: una normale diminuzione di assunzione di fosfato nella dieta non basta a scatenare la malattia, ma l’ipofosfatemia è stata spesso riscontrata in pazienti gravemente malnutriti o con anoressia nervosa, disturbo che molto spesso comporta anche una diminuzione dell’assunzione del calcio e della vitamina D.
Carenza di vitamina D: riferendosi ad una grave deprivazione di questa vitamina, la comunità scientifica è d’accordo nel definire carenza di vitamina D quando questa scende al di sotto di 10 ng/mL, accompagnata da un malassorbimento intestinale di calcio e fosfato o da un iperparatiroidismo secondario.
La carenza di vitamina D può inoltre essere essa stessa un sintomo di malattie come il morbo di Chron, resezione del piccolo intestino o malattia celiaca.
Iperparatiroidismo primario: dal 50 al 70% dei pazienti con questa malattia presentano anche una moderata ipofosfatemia, con valori di fosfato nel siero tra 0.6 e 0-8 nmol/L.
L’iperparatiroidismo è dovuto ad un accrescimento del tessuto paratiroideo che causa una eccessiva secrezione di PTH.
Iperparatiroidismo secondario: anche in questo caso il PTH è secreto in modo eccessivo e sregolato, ma in risposta ad una carenza di calcio e vitamina D; quest’ultima è la causa principale dell’insorgenza di questo disturbo, banalmente a causa di una bassissima esposizione al sole oppure per gravi restrizioni alimentari o malassorbimento intestinale.
Sindrome di Fanconi: si tratta di una rara patologia che coinvolge le funzioni del tubulo prossimale renale, portando ad una eccessiva perdita di glucosio, aminoacidi e sali di fosfato attraverso le urine. L’ipofosfatemia può essere un sintomo associato sia nella sindrome acquisita che in quella genetica.
- Sindrome di Fanconi acquisita: causata principalmente dalla somministrazione di alcuni farmaci come il cisplatino utilizzato contro alcune forme tumorali, avvelenamento da metalli pesanti, gravi ustioni o mielomi.
- Sindrome di Fanconi genetica: la causa più comune è la cistinosi, una malattia metabolica autosomica recessiva che comporta l’accumulo anomalo dell’aminoacido cistina
Sono numerose le altre cause che comportano l’insorgenza dell’ipofosfatemia e che è possibile approfondire in questa review.
Approccio clinico all’ipofosfatemia
Dopo un’accurata anamnesi familiare e del paziente, le prime cause della malattia da ricercare sono la carenza di vitamina D, disordini gastrointestinali, malnutrizione o anoressia nervosa, uso cronico di antiacidi o antiepilettici e disordini renali.
Per quanto riguarda le analisi verteranno sui livelli di calcio, albumina, vitamina D e PTH nel siero. Una volta ripristinata la corretta concentrazione di vitamina D il clinico potrà procedere ad investigare una eventuale disfunzione renale.