mercoledì, Ottobre 9, 2024
Linee GuidaLinee guida per il trattamento dell'osteoporosi

Linee guida per il trattamento dell’osteoporosi

le linee guida internazionali per il trattamento dell'osteoporosi indicano che una terapia che ha mostrato di essere efficace sulla riduzione del rischio di fratture sia vertebrali che non vertebrali è da preferire rispetto a un’altra che non ha questa doppia validità.

In questa seconda parte delle Linee Guida Internazionali vedremo quanto riguarda il trattamento dell’osteoporosi.

Farmaci per osteoporosi approvati da FDA

Attualmente le terapie farmacologiche per prevenire o trattare l’osteoporosi postmenopausale includono: bisfosfonati, estrogeni, ormone paratiroideo, RANKL inibitori e anticorpi monoclonali umani per la sclerostina. In linea generale una terapia che ha mostrato di essere efficace sulla riduzione del rischio di fratture sia vertebrali che non vertebrali è da preferire rispetto a un’altra che non ha questa doppia validità.

Bisfosfonati

I bisfosfontati sono una potente classe di agenti anti-riassorbitivi. Tutti i farmaci appartenenti a questa categoria possono avere effetti collaterali sulle funzioni renali e sono controindicati nei pazienti con una filtrazione glomerulare inferiore a 30-35 mL/min.

Di questi fa parte l’alendronato, approvato sia per la prevenzione che per il trattamento dell’osteoporosi postmenopausale. Alendronato riduce l’incidenza di fratture della colonna e del bacino di circa il 50% durante tre anni di trattamento in pazienti che si erano fratturati in precedenza e con T-score del bacino inferiore a -2,5.

Anche l’acido zoledronico è un bisfosfonato, approvato da FDA per la prevenzione e trattamento dell’osteoporosi postmenopausale con una somministrazione una volta all’anno per il trattamento e una volta ogni due anni per la prevenzione. È stato dimostrato che l’acido zoledronico riduce il rischio di fratture vertebrali del 62-70%, di fratture del bacino del 41% e di fratture non vertebrali del 20-25% durante i tre anni di trattamento.

Analoghi dell’ormone paratiroideo

L’ormone paratiroideo (PTH) è noto per regolare l’omeostasi del calcio. La teriparatide è un frammento del PTH umano sintetizzato approvato dall’FDA per il trattamento dell’osteoporosi sia femminile che maschile per soggetti ad alto rischio di fratture. Teriparatide riduce il rischio di fratture vertebrali del 35-53% nei pazienti dopo circa 18 mesi di terapia, e viene somministrata con iniezioni subcutanee giornaliere. Quando il trattamento non è continuativo può verificarsi una rapida perdita di materiale osseo e va considerata una continuazione della terapia per mantenere la corretta BMD.

RANKL inibitori

La citochina RANK-ligando (RANKL) prodotta dagli osteociti è necessaria per la formazione degli osteoclasti. Sopprimere il RANKL blocca la formazione degli osteoclasti, riducendo la quantità di tessuto osseo riassorbito e portando a una maggiore densità ossea.

Il denosumab è un anticorpo monoclonale umano contro RANKL approvato da FDA per il trattamento di uomini e donne con osteoporosi con un alto rischio di fratture. È approvato per il trattamento di pazienti che hanno fallito o che sono intolleranti ad altre terapie disponibili per l’osteoporosi, è adatto a donne in postmenopausa con osteoporosi ad alto rischio di frattura e per aumentare la massa ossea negli uomini con osteoporosi ad alto rischio frattura.

Denosumab è uno dei farmaci anti-riassorbitivi più potenti disponibili per il trattamento dell’osteoporosi perché va a inibire direttamente la formazione degli osteoclasti e causa l’apoptosi degli osteoclasti già maturi. La sua somministrazione avviene tramite iniezione sottocutanea una volta ogni sei mesi. Purtroppo l’interruzione di denosumab è associata a una rapida perdita di materiale osseo che può portare a multiple fratture vertebrali, soprattutto in pazienti con una storia di fratture alle spalle. Per questo motivo non è consigliato fare una “drug holiday” da questo farmaco.

Sclerostina inibitori

Il romosozumab è un anticorpo monoclonale umano contro la sclerostina, approvato dall’FDA per il trattamento dell’osteoporosi postmenopausale in donne ad alto rischio di frattura (è approvato per gli uomini in alcuni paesi ma gli USA non sono tra questi). Per quanto riguarda la sua efficacia, romosozumab riduce il rischio di fratture e incrementa la BMD della colonna lombare e del bacino più dell’alendroato e teriparatide in donne in postmenopausa con una bassa massa ossea. Viene somministrato con una iniezione sottocutanea mensile per un massimo di 12 mesi a causa di un effetto controproducente sulla formazione ossea dopo un anno di assunzione.

Raggiungimento degli obiettivi della terapia

Con la disponibilità di parametri di riferimento misurabili come BMD, incidenza di fratture e marcatori biochimici del turnover osseo, la strategia “treat-to-target” focalizzata sui risultati, il monitoraggio e la rivalutazione possono essere applicati alla gestione dell’osteoporosi.

Per i pazienti idonei che iniziano la terapia, un periodo di 3 anni di trattamento è quello più ragionevole per raggiungere l’obiettivo finale, quello di aumentare il T-score da -2,8 a > -2,5 e non avere fratture. Una BMD stabile e un anno senza nuove fratture potrebbero essere un obiettivo misurabile per qualcuno con un livello basso BMD e precedenti fratture da fragilità.

Tuttavia, fondamentale per il concetto di “treat-to-target” è il principio secondo cui la risposta alla terapia non è necessariamente sufficiente per raggiungere un livello di rischio accettabile. Un paziente può raggiungere la sua BMD “target” ed essere ancora a rischio troppo elevato di frattura. Questo principio ha implicazioni per la scelta della terapia iniziale.

Terapia combinata e sequenziale

Pazienti con fratture recenti e/o BMD molto bassa (T-score < – 3,0) sono a rischio particolarmente elevato di future fratture. La monoterapia con anti-riassorbitivi potrebbe non essere sufficiente a ridurre il rischio a livelli accettabili in tali pazienti. In questi casi quindi è consigliato passare a una terapia più aggressiva con la combinazione oppure può essere giustificato l’uso sequenziale di farmaci antifratturativi.

La combinazione e/o uso sequenziale di anabolizzanti (ad esempio teriparatide) e potenti antiriassorbitivi (ad esempio denosumab) è stato dimostrato che aumenta la densità minerale ossea e migliora la microarchitettura e la resistenza in modo più efficace rispetto alla mono terapia con qualsiasi agente.

Ci sono ormai numerosi studi a supporto del fatto che la densità minerale ossea e le fratture sono significativamente influenzati dall’ordine in cui vengono somministrati agenti antifratturativi. Un agente anabolizzante somministrato in seguito alla terapia anti-riassorbitiva ha dimostrato impatto minore sulla densità minerale ossea rispetto alla somministrazione dell’anabolizzante come primo trattamento, infatti la terapia anabolizzante dopo un potente anti-riassorbitivo può comportare un’attenuazione dell’effetto benefico raggiunto o addirittura perdita ossea. Quando si considera il trattamento sequenziale, iniziare con la terapia anabolizzante e proseguire con quella antiriassorbitiva è sicuramente preferibile.

I farmaci attualmente approvati dalla FDA per il trattamento dell’osteoporosi maschile includono: bifosfonati, alendronato, risedronato e acido zoledronico; teriparatide e l’inibitore del RANKL denosumab.

Durata del trattamento

Come ogni malattia cronica permanente, l’osteoporosi è meglio gestita quando si procede con una terapia continuativa e un frequente monitoraggio. I benefici terapeutici, infatti, possono essere mantenuti solo con il trattamento.

Una volta interrotta la terapia farmacologica, ci si può aspettare che la BMD e il rischio di frattura ritornino ai valori di base o addirittura peggiori; nel caso dell’interruzione di bisfosfonati ciò avviene lentamente, mentre con l’interruzione di non bisfosfonati avviene una rapida ripresa del turnover osseo, perdita di materiale osseo e aumento del rischio di fratture spontanee.

Un trattamento efficace può aumentare la densità minerale ossea e ridurre le fratture, migliorando il T-score per la bassa massa ossea o addirittura portarlo a un livello fisiologico. Tuttavia, in una persona con una storia di osteoporosi, un T-score nell’intervallo osteopenico o normale non cambia la diagnosi: il paziente ha ancora l’osteoporosi.

La BMD può essere migliorata e il rischio di frattura ridotto; tuttavia, permane il deterioramento della microarchitettura, così come i processi patologici responsabili di tale deterioramento.

“Drug Holiday”

Per i pazienti in terapia con bifosfonati che sembrano avere un livello modesto di rischio di frattura (ad esempio un T-score > – 2,5 e nessuna frattura recente) l’interruzione temporanea (“vacanza”) può essere presa in considerazione dopo 3 anni con terapia endovenosa o 5 anni con terapia orale.

Una vacanza da bifosfonati è definita come una sospensione temporanea della terapia con bifosfonati (fino a 5 anni).

Per i pazienti che continuano a dimostrare un elevato rischio di frattura (ad es. T-score ≤ − 2,5 e/o frattura recente), la continuazione del trattamento con un bifosfonato o una terapia alternativa è la soluzione migliore, e si può portare avanti fino a 10 anni con un bifosfonato orale e fino a 6 anni con acido zoledronico via endovena annuale.

Per i pazienti trattati con un farmaco non bifosfonato, l’effetto terapeutico si dissipa rapidamente con la sospensione. Gli studi indicano che la sospensione di denosumab determina un aumento dei marker del turnover osseo, la riduzione della densità minerale ossea e aumento del rischio di multiple fratture vertebrali, soprattutto in pazienti con una precedente frattura vertebrale.

Riabilitazione e gestione del dolore

La cura del paziente dopo una frattura da fragilità è un processo complesso che coinvolge tre componenti: minimizzare il dolore, ridurre il rischio di fratture secondarie e migliorare la funzionalità. Una cura così sfaccettata si realizza nel modo più efficace quando c’è un vero gruppo sanitario coordinato da professionisti. Una leggera ma costante attività fisica seguita da un professionista è un grade supporto alla riabilitazione del paziente.

Poiché il dolore è una barriera fisica ed emotiva al movimento e all’attività, un’efficace gestione del dolore è una parte fondamentale per la riabilitazione delle fratture, conservazione del tessuto osseo e prevenzione di fratture secondarie.

Il dolore acuto si risolve tipicamente in 6-8 settimane dopo la frattura vertebrale. Tuttavia, alcune persone avvertono dolore per mesi o anni dopo che una completa guarigione della frattura. Un dolore persistente come questo può rendere difficile dormire, camminare e mangiare; può rendere una persona irritabile o depressa privandola dell’indipendenza e pertanto è un fattore da non sottovalutare per la qualità di vita del paziente.

Prevenzione delle fratture secondarie

Idealmente, tutti gli individui a rischio potrebbero essere identificati e gestiti per prevenire la loro prima frattura (prevenzione primaria). Negli ultimi anni sono stati apportati miglioramenti al rilevamento e alla gestione dell’osteoporosi nelle donne di età pari o superiore a 65 anni, ma ancora non sufficienti. Secondo i dati Medicare, in seguito a riparazione della frattura dell’anca, meno di 1 donna su 5 ha ricevuto la raccomandazione di ulteriori interventi, nonostante siano ad altissimo rischio per future fratture secondarie.

Altri studi hanno mostrato tassi ancora peggiori, fino al 95% di pazienti dimessi in seguito alla riparazione della frattura dell’anca senza la prescrizione di un trattamento anti-fratturativo.

Purtroppo la maggior parte dei pazienti non riconosce una frattura come sintomo di una malattia. I medici riscontrano una certa difficoltà nel convincere un paziente che inciampare e rompersi un osso non è sempre attribuibile alla sfortuna o una caduta particolarmente dura, ma può trattarsi di osteoporosi e, sono riconosciuta, porterò a ulteriori fratture, in particolare nel breve termine.

Capire il legame tra trattamento e frattura è fondamentale per motivare i pazienti a intraprendere le molteplici attività individuali necessarie per ridurre il rischio.

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