giovedì, Novembre 7, 2024
SpecialitàoncologiaLocalizzazioni ossee da mieloma multiplo e linfomi non Hodgkin

Localizzazioni ossee da mieloma multiplo e linfomi non Hodgkin

L'importanza delle terapie anti-riassorbitive in pazienti affetti da mieloma multiplo o da linfoma non Hodgkin con metastasi ossee e rischio di eventi scheletrici

Durante il congresso Bone Health “Malattie del metabolismo fosfo-calcico: Update 2023” è stato trattato il delicato argomento degli eventi scheletrici in pazienti con metastasi ossee da carcinoma mammario e prostatico con l’intervento delle dott.sse Criscitiello e Marandino. Successivamente la prevenzione dei SRE è stata analizzata anche dal punto di vista delle metastasi ossee da mieloma multiplo e linfomi non-Hodgkin con una relazione del dott. Guabello.

Ad oggi l’acido zoledronico (nella dose di 4mg ev ogni 28 giorni) rappresenta la terapia standard per ridurre il rischio di SRE in pazienti con metastasi ossee, ma nelle più recenti evidenze cliniche il denosumab (120 mg sc ogni 28 giorni), essendo un anticorpo monoclonale diretto contro RANKL, il principale mediatore della osteoclastogenesi, si è dimostrato essere un ancora più potente inibitore del riassorbimento osseo. I vantaggi del denosumab rispetto al zolendronato riguardano l’efficacia in termini di ritardo dell’insorgenza dei primi eventi scheletrici e una riduzione degli effetti collaterali a livello renale. Sono ancora in fase di studio, invece, i suoi effetti immunomodulatori e antitumorali.

La relazione del dott. Guabello ha posto l’attenzione su due casi clinici, rendendo ulteriormente interessante il momento di studio dando la possibilità di ragionare sulla soluzione dei casi.

Caso clinico 1:

Donna 79 anni con linfoma non-Hodgkin con multiple localizzazioni ossee alla PET total-body (rachide lombare/dorsale, sterno, coste, sacro, ali iliache, femori prossimali). RMN rachide LD/bacino Ott 2022: cedimento L1 L2, non presenta fratture femorali. Da Novembre 2022 CT secondo schema R-COMP per 4 cicli, attualmente ritenuto il trattamento di riferimento per il trattamento dei linfomi non Hodgkin aggressivi dell’anziano. Non sta facendo terapia anti-riassorbitiva e non sta prendendo vitamina D. Nel Marzo 2023 insorgenza di osteoporosi, esami calcio-fosforo: 25OHD3 15 ng/ml e CTX sierico 0,883, ALP 200 VN<150, PTH-calcio-fosforo nella norma. MOC: lombare T-score: -2,9. Si richiede revisione della RMN fatta in precedenza per approfondimento sulle fratture L1 e L2.

Dato questo scenario la domanda da porsi è: la paziente avrebbe già dovuto iniziare la terapia anti-riassorbitiva? In tal caso, al dosaggio per osteoporosi o al dosaggio per le metastasi?

Caso clinico 2:

Donna 43 anni affetta da osteosarcoma osteogenico osteoblastico L4: Febbraio 2019 escissione intralesionale , Marzo-Maggio 2019 CT con metotrexate-adriamicina-cisplatino. Giugno 2019 II intervento di escissione con protesi di sostituzione del soma di L4. Da Luglio 2019 II ciclo di CT accompagnato da Agosto ad Ottobre con trattamento radiante con ioni carbonio su L3-4-5. Ultimo imaging Novembre 2022 (TAC, PET, RMN) negativo per recidiva di malattia. La paziente viene vista nel 2023 per insorgenza di osteoporosi, eumenorroica con assunzione di Decapeptyl in corso di CT. Attualmente in terapia con Dmab 120mg sc ogni 28 giorni, più integrazione di calcio e vitamina D. MOC: FN Z-score -2,9, FT Z-score -0,7. Metabolismo osseo: CTX 0,097, ALP 34 U/L vn 46-170.

Lo scenario è molto diverso dal precedente e anche la domanda che il medico si pone: la terapia anti-riassorbitiva al dosaggio oncologico è corretta? Ed è corretto averla prescritta in relazione alla CT e alla soppressione ovarica?

Numerosi studi, di cui uno particolarmente rilevante del 2018 “Denosumab versus zoledronic acid in bone disease treatment of newly diagnosed multiple myeloma: an international, double-blind, double-dummy, randomised, controlled, phase 3 study”, hanno dimostrato come il denosumab non sia inferiore al zoledronato per quanto riguarda la prevenzione degli eventi scheletrici in in pazienti con metastasi ossee da mieloma multiplo o linfoma non Hodgkin.

Nello studio sopracitato viene fatta una sperimentazione di fase 3, multicentrica, in doppio cieco, randomizzata e controllata di 1.718 pazienti assegnati a denosumab 120 mg per via sottocutanea + placebo per via endovenosa ogni 4 settimane oppure a ZA 4 mg per via endovenosa più placebo per via sottocutanea ogni 4 settimane, portando alle seguenti valutazioni:

  • Denosumab è non inferiore a ZA in termini di tempo al primo SRE
  • migliora la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS)
  • riduce gli eventi avversi (adverse event, AE) associati a tossicità renale.

Considerate dunque queste importanti conclusioni sull’efficacia dell’anticorpo monoclonale rispetto al bisfosfonato, possiamo rispondere alle domande che ci sono state poste sui casi clinici.

Nel caso clinico 1, la paziente anziana con LNH, post-M, localizzazioni ossee multiple, osteoporosi densitometrica, cedimento L1 e L2 e ipovitaminosi D3 avrebbe già dovuto iniziare una terapia anti-riassorbitiva? La risposta è sì, al dosaggio adatto alle metastasi ossee.

Per quanto riguarda il secondo caso clinico, donna giovane con sarcoma L4, pre-M, non localizzazioni ossee, osteoporosi densitometrica, cedimento L3 L5, CTX e ALP soppressi, la terapia in corso ovvero un anti-riassorbitivo al dosaggio oncologico è corretta? No, benché sia comunque necessaria la somministrazione di un anti-riassorbitivo.

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