I bifosfonati rappresentano una famiglia farmacologica di molecole a somministrazione orale o endovenosa che trovano impiego nel trattamento di una varietà di severe problematiche osteometaboliche (ipercalcemia paraneoplastica, lesioni osteolitiche primitive o metastatiche e malattia di Paget) e, dall’altra parte, della più comune osteoporosi post-menopausale.
Essi svolgono una potente azione inibitoria a carico del metabolismo osteoclastico, dunque della fase riassorbitiva del fisiologico processo di rimodellamento scheletrico.
In ambito odontoiatrico i paziente – o, più comunemente, le pazienti – in terapia con bifosfonati sono tendenzialmente approcciati con un certo timore, soprattutto nel caso in cui il piano di cure contempli interventi anche routinari nel normale ambito della chirurgia orale, quali estrazioni dentali o posizionamento di impianti osteointegrati.
Questo perché tra le possibili complicanze odontogene del paziente in trattamento con i bifosfonati viene contemplata una problematica severa, detta osteonecrosi dei mascellari. Si tratta di una condizione analoga a una quadro precedentemente descritto a seguito dell’esposizione a terapia radiante. Colpisce indicativamente la mandibola in 2/3 dei casi e il mascellare superiore nel restante terzo.
Bifosfonati e osteonecrosi dei mascellari: i primi casi tra il 2001 e il 2003
I primi 63 casi spontantei in pazienti oncologici non radiotrattati, riconosciuti tra febbraio 2001 e novembre 2003, vennero riportati da Ruggiero e colleghi in un articolo pubblicato nel 2004 sul Journal of Oral and Maxillofacial Surgery.
Il rischio maggiore è correlato alla somministrazione endovenosa nelle patologie oncologiche, per cui si stima un’incidenza cumulativa compresa tra lo 0.8 e il 12%.
La prevalenza risulta molto ridotta in caso di somministrazione orale, dallo 0.01% fino allo 0.06%, corrispondente a un caso ogni 1700 su un campione di 13000 pazienti. Felsenberg riporta una rischio praticamente nullo (prevalenza dello 0.00038%) nel paziente trattato per osteoporosi.
Oggi l’osteonecrosi dei mascellari da bisfofonati (bisphosphonate-related ostenonecrosis of the jaws, BRONJ) viene inclusa in un più ampio contenitore, chiamato medication-related ostenonecrosis of the jaws (MRONJ) proprio perché correlato all’uso di diverse altre molecole farmacologiche: anticorpi monoclonali, inibitori delle tirosin-kinasi e inibitori mTOR.
Il quadro si caratterizza per un’esposizione ossea protratta per più di 8 settimane, associata a infiammazione e necrosi e a sintomi quali tumefazione, sensazione di pesantezza, problematiche dentarie e altro. L’osso esposto va incontro a sovrainfezione microbica (osteomielite), con preponderanza da parte di batteri Gram- ed anaerobi solitamente già presenti come commensali nel cavo orale.
Radiograficamente, è possibile distinguere un’area radiopaca di sequestro osseo. La raccolta di esami tridimensionali come la TC cone beam favorisce il riconoscimento di lesioni precoci. La stessa stadiazione proposta nel 2009 dall’American Association of Oral and Maxillofacial Surgeons (AAOMS) prevede uno stage 0 prenecrotico.
Attualmente, la patogenesi della condizione rimane dibattuta ma vi sono forti indicazioni che ne indicano un’origine multifattoriale, comprendente riduzione del turnover osseo, decremento nella sintesi di matrice extracellulare da parte dei fibroblasti, blocco del processo di neoangiogenesi e tossicità nei confronti dei tessuti molli. Sono finanche stati riconosciuti dei polimorfismi genetici che potrebbero essere associati a maggiore suscettibilità individuale.