Il paziente oncologico, a causa dei trattamenti a cui è sottoposto, è molte volte interessato anche da complicanze dovute all’insorgenza di una spiccata fragilità ossea. Durante il convegno di BoneHealth, il responsabile scientifico Gregorio Guabello, specialista in endocrinologia dell’Unità Operativa di Endocrinologia e Diabetologia dell’Ospedale San Raffaele e medico dell’Unità Operativa di Reumatologia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, ha voluto prendere la parola per focalizzare l’attenzione su questo particolare contesto, il quale sta interessando sempre più pazienti oncologici non metastatici.
Osteoporosi nel paziente oncologico: Linee Guida ASCO
Nelle ultime Linee Guida ASCO viene specificato come i pazienti non metastatici abbiano delle problematiche legate all’osteoporosi. È necessario quindi fare attenzione al tipo di cure che vengono somministrate (soprattutto nel caso in cui abbassino i livelli ormonali) in quanto è stato visto come queste accentuino il rischio di insorgenza della patologia.
Dalle analisi fatte in diversi studi, si è notato come i pazienti più a rischio di incorrere in questa complicazione risultino essere:
- Donne (anche giovani) che si sottopongono ad un trattamento per il carcinoma ovarico
- Pazienti trattati con farmaci inibitori dell’aromatasi
- Pazienti che hanno subito un trapianto di midollo osseo
- Pazienti trattati con farmaci che diminuiscono i livelli di ormoni androgenici
- Pazienti trattati con agonisti di GnRH
Nel primo e nell’ultimo caso si è visto che la diminuzione del BMD risulta essere particolarmente marcata, fino ad arrivare a più del 7% entro il primo anno dall’inizio della terapia. Questa condizione si verifica per via di un aumento dell’attività degli osteoclasti, dovuta principalmente all’aumento di RANKL legato alla diminuzione degli estrogeni.
I motivi dietro il peggioramento della densità ossea
La chemioterapia ha un effetto tossico sulle cellule ossee, in quanto farmaci come il metotrexato, la doxorubicina e il cisplatino riducono i livelli dei precursori degli osteoblasti nell’organismo, mentre i farmaci steroidei (come il cortisone) solitamente associati alla chemioterapia aumentano i livelli degli osteoclasti. Inoltre, i farmaci alchilanti (ad es. la ciclofosfamide) spesso inducono una diminuzione della funzionalità ovarica, specialmente nelle pazienti con un’età superiore ai 40 anni.
Gli inibitori dell’aromatasi, invece, contribuiscono ad azzerare la quota fisiologica di estrogeni presenti nelle donne post-menopausa, esponendole ad un rischio maggiore di osteoporosi.
I pazienti che devono subire ad un trapianto non soltanto presentano dei fattori di rischio di insorgenza dell’osteoporosi prima di sottoporsi all’operazione (come ad es. l’età avanzata oppure l’ipogonadismo) ma anche successivamente all’intervento sono presenti delle condizioni che facilitano il verificarsi di fratture dovute a fragilità ossea. Tra queste, va ricordato il rigetto del trapianto, l’insufficienza di vitamina D e calcio (che porta a iperparatiroidismo secondario) e disfunzione renale (dovuta a chemioterapia successiva) con conseguente perdita di magnesio e calcio.
Per contrastare la carenza di densità ossea indotta dalla chemioterapia, l’unico farmaco per il quale sono presenti studi che hanno raggiunto tutti gli end-point previsti (ovvero dati sul BMD, sulle fratture e sulla sopravvivenza libera da malattia) è il denosumab, che ha mostrato un miglioramento delle condizioni dei candidati dello studio e un effetto protettivo nei confronti delle fratture. È inoltre l’unico farmaco attualmente indicato in adiuvante per i pazienti con cancro alla prostata.
Come e quando iniziare la terapia antiriassorbitiva?
Nella scelta dell’approccio terapeutico per la terapia antiriassorbitiva è necessario fare sempre riferimento alle linee guida redatte dall’AIOM, dove recentemente è stata inserita una sezione apposita per la prevenzione e la dell’osteoporosi nel paziente oncologico. È da notare tuttavia che risulta essere fonte di confusione l’inserimento di questa sezione nel capitolo dedicato al paziente con metastasi tumorali.
Le raccomandazioni suggerisco di iniziare un trattamento con denosumab o un bisfosfonato orale, il cui dosaggio si rifaccia a quelle normalmente utilizzate nell’osteoporosi post-menopausa indipendentemente dai livelli di BMD. Fondamentale è la tempistica della somministrazione delle cure, che andrebbero applicate da subito, in quanto si è visto che gli effetti collaterali della chemioterapia si manifestano già entro 6 mesi dalla prima somministrazione.
La terapia farmacologica deve andare di pari passo con la chemioterapia, e quindi se il trattamento farmacologico raggiunge anche i 10 anni nella paziente con carcinoma alla mammella, anche il trattamento di prevenzione della fragilità ossea dovrà prevedere un periodo temporale simile.
Tuttavia, quando la terapia oncologica viene sospesa, è necessario fare una valutazione delle condizioni della donna dal punto di vista della massa ossea prima di procedere con l’abbassamento delle dosi dei farmaci antiriassorbitivi.
Le “insidie” della nota 79
La revisione delle linee guida prevista dalla nota 79 ha consentito di iniziare il trattamento di prevenzione nelle pazienti con più di 50 anni con alto rischio di frattura e sotto trattamento oncologico. C’è da dire però che la stessa nota afferma che ciò può essere fatto in quei pazienti con trattamento in corso per il blocco ormonale adiuvante, indicazione che spesso crea confusione.
Nella pratica clinica, afferma il dottor Guabello, si assiste infatti alla presenza di pazienti in premenopausa con carcinoma negativo per i recettori ormonali la cui menopausa viene indotta dal trattamento chemioterapeutico. Questa tipologia di pazienti, nonostante non rientri nella nota 79, deve ricevere da subito un trattamento antiriassorbitivo (con alendronato o zoledronato), in quanto sono a rischio di frattura dovuta a fragilità ossea.
Fonte
Convegno BoneHealth 6 marzo 2021