I pazienti con insufficienza renale cronica (CKD) hanno elevato rischio di frattura. I farmaci a disposizione sono stati sviluppati principalmente per osteoporosi post-menopausale (primaria di tipo I); ma sono efficaci anche nei pazienti con insufficienza renale cronica? Sono sicuri per i pazienti o peggiorano l’insufficienza renale?
In occasione del convegno BoneHealth “Gestione integrata dell’osso in specifici setting clinici”, ha presentato l’argomento Sabrina Corbetta, Professoressa associata di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Milano e Responsabile del Servizio di Endocrinologia e Diabetologia del Laboratorio di Endocrinologia Sperimentale presso l’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi.
Farmaci antiriassorbitivi e anabolizzanti nell’osteoporosi del paziente con CKD
Le persone colpite da insufficienza renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD) presentano un elevato rischio di frattura; il rischio è enormemente superiore nei soggetti in dialisi. Inoltre, se questi hanno fratture vertebrali presentano mortalità superiore rispetto a coloro che non ne hanno. Quindi, le fratture da fragilità vanno considerate per valutare gli outcome dei pazienti.
I farmaci a disposizione per l’osteoporosi nei pazienti con CKD includono antiriassorbitivi e anabolizzanti. I dati relativi all’incremento della densità minerale ossea (Bone Mineral Density, BMD) ed endpoint duro sono da esplorare, mentre sono più ricchi gli studi che ne indagano la sicurezza, soprattutto relativamente ai bifosfonati.
Alendronato e CKD
Lo studio più recente sulla sicurezza dei bisfosfonati, pubblicato su Osteoporosis International nel 2021, ha valutato con follow-up di 22 mesi una casistica che includeva pazienti con filtrato renale inferiore ai 30 ml/minuto, precedentemente poco considerati:
- Gruppo A: 98 pazienti con CrCl <35ml/min sotto trattamento con alendronato 70 mL/settimana;
- Gruppo B: 96 pazienti con CrCl <35ml/min senza trattamento;
- Gruppo C: 96 pazienti con CrCl ≥35ml/min sotto trattamento con alendronato 70 mL/settimana.
La distribuzione dei pazienti ha dimostrato che non c’è differenza tra pazienti trattati e non trattati con alendronato in termini di peggioramento della funzionalità renale. Quindi, il trattamento con alendronato risulta essere un’opzione sicura, anche se la numerosità del campione non consente di valutare l’efficacia in termini di riduzione della frattura.
Denosumab e CKD
Una ricerca pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism nel 2021 ha approfondito i risultati del FREEDOM Extension Study: uno studio retrospettivo, che quindi consente di valutare la prevenzione delle nuove fratture. Ha confrontato gli effetti del denosumab nei pazienti con insufficienza renale di grado crescente (prevalentemente dallo stadio 1 allo stadio 3b, quindi con filtrato superiore ai 30 mL/minuto) con soggetti sani. L’efficacia nella prevenzione delle fratture vertebrali è risultata sovrapponibile; l’effetto del denosumab sulle fratture non vertebrali era meno evidente, sia nei pazienti con insufficienza renale cronica sia nelle persone con reni funzionali. Relativamente alla sicurezza, dal momento che denosumab non è smaltito per via renale non risulta comportare peggioramenti dell’insufficienza renale.
Teriparatide e CKD
Uno studio del 2007 pubblicato su Osteoporosis International ha valutato l’effetto del teriparatide (20 e 40 mg) in pazienti con CrCl superiore a 30 mL/min e inferiore a 80 mL/min, dimostrando un’efficacia di riduzione del rischio di frattura con persone con CrCl anche relativamente a fratture non vertebrali. Lo studio ha osservato che il teriparatide comporterebbe anche un incremento dei livelli di BMD, sia a livello del collo del femore sia a livello della spina lombare.
Romosozumab e CKD
La disponibilità di romosozumab ha suscitato interesse, ma sono presenti solo risultati preliminari che dimostrerebbero efficacia nell’incremento di BMD sia a livello del collo del femore sia dell’anca, indipendentemente dalla funzione renale. Nei pazienti in dialisi, dei risultati preliminari riscontrano che il romosozumab comporterebbe un significativo incremento di BMD a livello lombare ma non a livello femorale.
Gestione del paziente con CKD e osteoporosi
I pochi dati a disposizione per valutare la fragilità ossea nei pazienti con CKD portano a considerare elementi importanti da valutare:
- i fattori di rischio clinici (comuni anche alla popolazione generale);
- i marcatori sierici (in particolare, paratormone, fosfatasi alcalina e CTX);
- imaging dell’osso (MOC e morfometria per le fratture vertebrali, che nel 50% dei casi non danno sintomi).
Si suggerisce che il paziente con PTH superiore alla norma (> 600 pg/mL) presenti una condizione di alto turnover osseo e malattia paratiroidea autonomizzata da trattare. Condizioni intermedie consentono di prescrivere antiriassorbitivi, tenendo presente la funzionalità renale.
Dubbi di osteomalacia (con fosfatasi alcalina elevati o, se associati con osso adinamico, a livello basso) richiedono ulteriore studio e l’astensione da trattamenti (oppure l’uso di teripataratide). L’osteomalacia impone anche una valutazione della morfologia dell’osso, in quanto possono essere presenti pseudofratture (incisure della corticale ossea, spesso a livello del femore).
Conclusioni
L’ultima revisione Cochrane riporta risultati non incoraggianti.
- Stadi III-IV: i farmaci antiosteoporotici possono ridurre il rischio di fratture vertebrali, ma probabilmente comportano una differenza minima o nulla nella loro incidenza.
- Stadi V-VD: i risultati riportano efficacia ancora inferiore.
[In conclusione, sono necessari] grande attenzione, grande monitoraggio, grande collaborazione con il collega nefrologo, che, però, non è sempre presente.
Fonte: congresso BoneHealth 2022