Dopo i primi venti anni di vita, nell’uomo come nella donna, la presenza di estrogeni ed androgeni è essenziale per il raggiungimento di un’omeostasi ossea in cui l’attività degli osteoblasti che formano l’osso e il riassorbimento da parte degli osteoclasti si mantiene in equilibrio, garantendo il mantenimento della massa e della struttura ossea.
Questo equilibrio può essere gravemente alterato in pazienti che presentano un sostanziale cambiamento nella concentrazione degli ormoni sessuali, in primis nelle donne in menopausa o in gravidanza per quanto riguarda eventi non patologici, ma allo stesso modo si verifica un grave squilibrio in pazienti con disordini endocrini o sottoposti a cure che modificano l’assetto ormonale fisiologico. Tutto ciò porta ad una maturazione eccessiva degli osteoclasti e della loro attività riassorbitiva, dove invece la funzione degli osteoblasti rimane invariata, creando una disparità tra le due attività.
Uno studio del 2010 condotto negli Stati Uniti ha stimato che sono 40 milioni le persone che presentano una diminuzione della densità minerale ossea (BMD), e tra le persone affette dal cancro l’incidenza è nettamente più alta. Questo dato prende in considerazione sicuramente l’effetto diretto del cancro sulle cellule delle ossa quando sono sede di metastasi, ma in questo articolo ci interessa maggiormente l’effetto che hanno alcune terapie oncologiche sul metabolismo osseo, dalla chemio-radio terapia alle terapie a soppressione ormonale che hanno un gravissimo effetto sulla densità ossea dei pazienti.
Le donne con tumori ginecologici sono maggiormente colpite da questi effetti collaterali, molto spesso infatti le terapie a cui sono sottoposte portano ad una menopausa precoce, che sappiamo essere un grande fattore di rischio per l’osteoporosi ma la stessa radioterapia, uno dei trattamenti preferenziali per trattare il cancro ginecologico, è nota per avere effetti deleteri sulla densità ossea.
Chemioterapia e radioterapia per tumori ginecologici
Gli effetti della chemio e radioterapia sulla densità ossea sono tra i più studiati per quanto riguarda il metabolismo osseo nelle pazienti oncologiche con tumori ginecologici. Un piccolo studio del 2013 è andato a osservare gli effetti di chemio e radioterapia sulla densità ossea in 35 donne in premenopausa affette da tumori ginecologici (cancro ovarico, endometrico e cervicale), e hanno misurato la densità ossea con lo scanner Dexa (assorbimetria a raggi X a doppia energia) all’inizio e a 12 mesi dalla terapia. Quello che hanno riportato è una significativa diminuzione della BMD tra l’inizio e i 12 mesi di terapia in tutte le pazienti che avevano ricevuto una terapia combinata di chemio e radioterapia. Altri studi hanno dimostrato la correlazione tra la radioterapia nella zona pelvica e la diminuzione del materiale osseo con conseguente frattura delle ossa pelviche nel 12% delle pazienti.
Terapia endocrina sul cancro al seno e alla prostata
Il cancro al seno nella donna e quello alla prostata nell’uomo sono le due forme più comuni di neoplasie maligne, entrambi esprimono recettori ormonali e tendono ad essere particolarmente sensibili alle terapie endocrine. Purtroppo la maggior parte di questi trattamenti si ripercuote sulla salute delle ossa e sulla loro forza. Ci sono molti studi in supporto a queste evidenze per quanto riguarda il cancro al seno, ma pochissimi sono gli studi sugli altri tumori di tipo ginecologico, in cui pure è stata riscontrata una ripercussione sul metabolismo osseo in seguito a queste terapie.
Le donne con cancro al seno vengono sottoposte a terapia endocrina in base alle caratteristiche del tumore ma soprattutto in base al loro stato ormonale, pre o post menopausa. Nelle donne in premenopausa le ovaie sono la sede di produzione della maggior parte degli estrogeni presenti nel corpo; la soppressione delle funzioni ovariche si può ottenere in modo permanente con ovariectomia oppure con una radioterapia localizzata. Un’alternativa reversibile è la somministrazione di un agonista dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) che può interrompere le funzioni ovariche in maniera temporanea riducendo la secrezione di gonadotropina da parte dell’ipofisi e di conseguenza diminuendo la produzione di estrogeni da parte delle ovaie. Nelle donne in post menopausa gli estrogeni circolanti derivano per lo più dalla conversione degli androgeni in estrogeni da parte dell’enzima CYP19AI, un’aromatasi fortemente espressa nel tessuto tumorale della mammella. Gli inibitori delle aromatasi costituiscono una terapia ormonale molto comune come trattamento del cancro al seno positivo ai recettori ormonali, e sono in grado di ridurre significativamente il livello di estrogeni circolanti per un tempo che va da una settimana sino a qualche mese.
In pazienti con cancro alla prostata le terapie endocrine sono simili a quelle usate per il cancro al seno nelle donne e consistono in una soppressione della produzione degli androgeni o nella somministrazione di inibitori dei recettori per gli androgeni nel tessuto tumorale. Nell’uomo la maggior parte del testosterone viene prodotta nei testicoli; la castrazione chirurgica tradizionale, grazie alla quale il testosterone circolante viene ridotto sino al 95%, è stata ampiamente sostituita da approcci farmacologici altrettanto efficaci, per esempio gli agonisti di GnRH che riducono le concentrazioni di testosterone ad un livello paragonabile alla castrazione in sole tre settimane ma è un processo reversibile e sicuramente più accettabile. Gli anti-androgeni bloccano i loro recettori prevenendo la cascata di segnale nelle cellule tumorali della prostata, ma non sono in grado di ridurre la quantità di androgeni circolanti per cui sono solitamente abbinati ad una terapia con agonisti di GnRH per ottenere un blocco totale degli ormoni sessuali maschili.
Effetti della terapia endocrina sulle ossa
La perdita di massa ossea generalmente aumenta con l’avanzare dell’età, circa dell’1% all’anno negli uomini a del 2% all’anno nelle donne in menopausa. Durante il trattamento con terapia endocrina è stato osservato un aumento della perdita di massa ossea del 2,6% nelle donne in post menopausa in cura con inibitori delle aromatasi, e del 4,6% negli uomini in cura con GnRH analoghi, per arrivare ad una riduzione della massa ossea del 7% in donne in premenopausa trattate con una combinazione di GnRH analoghi e inibitori delle aromatasi. Alla luce di questi dati, nonostante gli inibitori delle aromatasi siano il trattamento più efficace nel prevenire le recidive tumorali, possono essere somministrati solo alle donne in post menopausa affette da un tumore al seno sensibile al trattamento ormonale.
Tamoxifen è il farmaco più utilizzato tra i modulatori dei recettori degli estrogeni e, se combinato al trattamento con GnRH analoghi, aiuta a ridurre significativamente la perdita di materiale osseo in seguito alla soppressione degli estrogeni durante la cura del cancro al seno. Uno studio di grandi dimensioni con oltre 13000 soggetti ha analizzato gli effetti del tamoxifen nel ridurre il rischio di frattura in donne a rischio tumore al seno; dopo cinque anni di trattamento, il tamoxifen ha ridotto il rischio di insorgenza di un tumore invasivo del 49% e ha anche ridotto il rischio di fratture da osteoporosi del 32%.
Le terapie da deprivazione di androgeni nell’uomo inducono un alto livello di turn over osseo, che porta ad una riduzione della densità ossea, è stata osservata una diminuzione del 4% della BMD nella colonna vertebrale dopo 12 mesi di trattamento. In un grande trial clinico, uomini sottoposti a terapia da deprivazione di androgeni hanno avuto un rischio di fratture ossee del 23% più alto rispetto ai pazienti con cancro alla prostata trattati con diversa terapia.
Ad eccezione del tamoxifen per le donne in post menopausa, è evidente che la terapia endocrina ha effetti collaterali negativi sulla salute delle ossa, benché i suoi benefici a livello di sopravvivenza ne garantiscano ancora l’utilizzo. Detto questo, il metabolismo osseo andrebbe attivamente monitorato prima e durante la terapia endocrina.
Gestione della perdita di massa ossea a causa del trattamento endocrino
L’efficacia dei bisfosfonati per prevenire la perdita ossea in pazienti sottoposti a terapia endocrina per il cancro è stata evidenziata in seguito a diversi clinical trials, in particolare i bisfosfonati hanno mostrato effetti positivi sulla densità minerale ossea nei pazienti che ricevono inibitori delle aromatasi. Nelle donne con osteoporosi l’assunzione di alendronato ha incrementato la BMD del 15% dopo tre anni di assunzione, nelle donne in condizioni di osteopenia (meno debilitante dell’osteoporosi) invece la BMD è salita del 6,3% in più rispetto alle pazienti assegnate al gruppo placebo che hanno visto invece una riduzione della BMD del 5,4%.
I bisfosfonati sono stati oggetto di diversi studi clinici anche sugli uomini in trattamento con terapie endocrine, mostrando un effetto protettivo contro la perdita di BMD nei pazienti trattati rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo. Una miglior alternativa ai bisfosfonati è il denosumab, un anticorpo monoclonale diretto contro RANKL largamente utilizzato per il trattamento dell’osteoporosi e, al doppio del dosaggio, nelle metastasi ossee. Nonostante sia un farmaco decisamente più costoso è risultato essere preferito rispetto a bisfosfonati per la sua somministrazione sottocutanea mensile, invece che quella orale o endovenosa del bisfosfonato.
Ciò che emerge da questi studi è che la sensibilizzazione sugli effetti sulla densità ossea per i pazienti sottoposti a terapia endocrina è essenziale da parte dei professionisti sanitari che hanno in cura uomini e donne con tumori di tipo ormonale come il cancro alla prostata e al seno.