I disturbi scheletrici comportano una riduzione della qualità di vita delle persone, un incremento del peso economico e riduzione della sopravvivenza. In occasione del congresso BoneHealth 2022 “Gestione integrata della salute dell’osso in specifici setting clinici”, Giulia De Feo (UO Oncologia-Cure di supporto, Istituto Nazionale dei Tumori – Fondazione IRCCS, Milano) ha riassunto le tempistiche e i tipi di farmaci da utilizzare in caso di terapie anti-riassorbitive delle metastasi ossee da tumore solido.
Trattamento anti-riassorbitivo delle metastasi ossee nel tumore della mammella
La maggior parte degli studi per il trattamento delle metastasi ossee da tumore solido ha riguardato il tumore della mammella. Una metanalisi che ha incluso 9 studi clinici randomizzati, considerata anche dalle linee guida AIOM 2021, ha dimostrato l’efficacia dei bisfosfonati somministrati per via endovenosa. Le maggiori evidenze emergono relativamente allo zoledronato, che risulta superiore al pamidronato (riducendo gli eventi scheletrici, SRE, del 20%) e all’ibandronato (sebbene presenti simile tempo al ritardo nel primo SRE) nei pazienti con tumore della mammella.
Tre studi randomizzati hanno dimostrato l’efficacia di una schedula trimestrale di zoledronato rispetto a quella mensile. Lo studio multicentrico ZOOM (Amadori et al., 2013) ha valutato in aperto l’efficacia dopo un periodo di 9-12 mesi di somministrazione mensile, dimostrando efficacia e safety sovrapponibili. Lo studio in doppio cieco OPTIMIZE-2 e un altro studio pubblicato nel 2017 (Himelstein et al.), che ne ha indagato l’efficacia up-front, ne hanno confermato i risultati.
In una ricerca pubblicata nel 2010, il denosumab, sviluppato per inibire il turnover osseo, si è dimostrato superiore a zoledronato, mostrando un ritardo superiore del 18% nel tempo al primo SRE e una maggiore riduzione del rischio cumulativo di SRE del 23%. Overall survival (OS) e overall disease progression risultavano sovrapponibili. Le linee guida ESMO e AIOM concludono che il denosumab potrebbe rappresentare la soluzione migliore in questi pazienti, ma non esprimono un’indicazione netta.
Trattamento anti-riassorbitivo delle metastasi ossee nel tumore della prostata
Nei pazienti con tumore della prostata, e in particolare nel carcinoma della prostata resistente alla castrazione metastatico (m CRPC), lo zoledronato risulta essere l’unico bisfosfonato che abbia dimostrato efficacia sugli SRE. Invece, nella fase di ormonosensibilità gli studi STAMPEDE e CALGB 90202 non hanno mostrato un beneficio di zoledronato in termini di riduzione degli eventi scheletrici o in termini di sopravvivenza. Una ricerca pubblicata nel 2011 che ha confrontato zoledronato e denosumab ha dimostrato che denosumab riduce e ritarda gli eventi scheletrici. Anche in questo caso, le linee guida non raccomandano un farmaco anti-riassorbitivo piuttosto che un altro.
“I tumori della prostata sono sempre bistrattati nel setting terapeutico, sia nel setting adiuvante sia in quello metastatico. Questo in parte è legato alle caratteristiche strumentali delle lesioni secondarie ossee, che solitamente hanno un aspetto osteoaddensante. In realtà, gli studi hanno mostrato che questo aspetto non definisce se il paziente andrà incontro a effetti scheletrici oppure no.”
Altri tumori solidi
Sono carenti gli studi sviluppati ad hoc relativamente al trattamento anti-riassorbitivo delle metastasi in altri tumori solidi, sebbene alcuni di essi comportino una percentuale di metastatizzazione all’osso importante, che nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) raggiunge il 50%. Le maggiori evidenze derivano da studi che includono diversi tumori solidi.
Nel NSCLC, una ricerca di Rosen e colleghi (2004) ha rilevato che lo zoledronato ha un’efficacia statisticamente significativa nella riduzione di eventi scheletrici (30%). Lo studio di Henry e colleghi (2011) ha confrontato denosumab e zoledronato, riscontrando che i due farmaci prevengono SRE in misura analoga ma il denosumab mostra un trend di superiore ritardo al primo SRE.
Nel carcinoma renale, denosumab e zoledronato hanno dato risultati simili. Inoltre, una ricerca retrospettiva pubblicata nel 2003 ha mostrato che lo zoledronato riduce la frequenza di SRE in modo significativamente maggiore di un placebo (37% contro 74%).
Lo studio di Henry e colleghi del 2011 ha anche valutato 38 pazienti con tumore testa-collo, dimostrando una non inferiorità di denosumab rispetto allo zoledronato. Nel tumore nasofaringeo e altri tipi di cancro è stata riscontrata alta espressione RANK IHC, con associata ridotta sopravvivenza delle cellule neoplastiche.
Una metanalisi pubblicata nel 2021 che includeva diversi tipi di tumore ha mostrato una superiorità di denosumab rispetto a zoledronato nel ridurre frequenza di SRE e tempo al primo SRE, ma senza effetti sull’overall survival o sulla sopravvivenza libera da malattia. Questi risultati potrebbero cambiare in futuro. Infatti, sono in corso trial clinici che associano denosumab alla immunoterapia, derivanti da osservazioni emerse in studi retrospettivi che hanno valutato un beneficio in termini di sopravvivenza in pazienti con tumore del polmone o melanoma trattati con checkpoint inhibitor e successiva aggiunta di pembrolizumab rispetto a pazienti trattati solo con immunoterapia.
Trattamento anti-riassorbitivo delle metastasi ossee da tumore solido: safety
Zoledronato e denosumab comportano effetti collaterali molto diversi. L’ipocalcemia si sviluppa in circa il 30% dei pazienti sotto denosumab contro il 10% nello zoledronato, ma è generalmente di grado lieve o moderato e può essere prevenuta o trattata con supplementazione orale. Denosumab è stato associato anche a un maggior rischio di seconde neoplasie, ma una pooled analysis ha mostrato che la differenza non sarebbe statisticamente significativa. È dimostrato, invece, che la sospensione di denosumab è associata a un aumento da 3 a 5 volte del rischio di fratture, soprattutto vertebrali.
Effetto avverso di interesse è l’osteonecrosi della mandibola, che secondo le linee guida è sovrapponibile fra denosumab e zolendronato, ma dalla letteratura risulta essere preponderante con denosumab. Tuttavia, è una complicanza nota e quindi prevenibile. Infine, occorre considerare che denosumab risulta essere più costoso ma anche generalmente più efficace rispetto a zoledronato, quindi determina meno costi indiretti e maggior compliance. Gli studi sono ancora in corso per approfondire questi aspetti.
Trattamento anti-riassorbitivo delle metastasi ossee da tumore solido: per quanto tempo?
La letteratura ha indagato la possibilità di proseguire la terapia con zoledronato (Van der Wyngaert et al., 2013) o con denosumab (Stopeck et al., 2016) oltre i 24 mesi. Effetti avversi e safety risultano essere sovrapponibili per zoledronato entro e oltre i 24 mesi, mentre il denosumab pare comportare maggiormente eventi di osteonecrosi della mandibola, fratture atipiche, osteolisi, anche se in modo non statisticamente significativo. Quindi, la prosecuzione oltre i 24 mesi è possibile ma occorre tenere conto del performance status del paziente e la sua tollerabilità.
Le linee guida AIOM hanno un atteggiamento prudenziale, mentre le linee guida ESMO e ASCO 2021 indicano di proseguire fino a peggioramento del performance status. A meno che non si abbia una remissione.
“In conclusione, non vi sono attualmente delle evidenze adeguate per poter raccomandare un farmaco antiriassorbitivo rispetto ad un altro nel tumore della mammella e della prostata metastatici all’osso. Negli altri tumori solidi mancano studi ad hoc. Le linee guida concordano sulla necessità di iniziare il trattamento alla prima evidenza radiologica di lesioni ossee indipendentemente dalla sintomatologia. A meno di un’aspettativa di vita inferiore ai 3 mesi. Va tenuto presente che né denosumab né zoledronato modificano la sopravvivenza, anche se gli studi di associazione denosumab+immunoterapia potrebbero dare sorprese in tal senso.”
Fonte: congresso BoneHealth 2022