sabato, Marzo 22, 2025
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Aspetti endocrini delle malattie neuromuscolari

L’approccio diagnostico e terapeutico alle malattie neuromuscolari chiede al clinico di valutare diverse condizioni di malattie che vanno oltre il quadro neuromuscolare specifico che ha portato il paziente all’osservazione del neurologo. Tra gli aspetti extraneurologici sono particolarmente frequenti le alterazioni endocrino-metaboliche, che sono in alcuni casi determinate dalle alterazioni genetiche che causano la malattia neuromuscolare come nelle distrofie miotoniche tipo 1 e tipo 2, in cui frequente e spesso precoce è la comparsa di infertilità e ipogonadismo. Inoltre gli studi più recenti dimostrano che il muscolo è caratterizzato da una funzione endocrina, mediata dal rilascio di miokine, la cui integrità è fondamentale per l’omeostasi di altri metabolismi, come quello osseo e quello glucidico. In questa presentazione si illustrano le acquisizioni più recenti relative a tali aspetti nelle più comuni patologie neuromuscolari.



Ipoparatiroidismo: dalla diagnosi alla terapia

L’ipoparatiroidismo cronico è una condizione caratterizzata da una ridotta o assente secrezione di paratormone, con conseguente ipocalcemia e sintomi ad essa correlati. La terapia si basa sull’assunzione di calcio e forma attiva della vitamina D e, in un prossimo. Futuro, del paratormone umano ricombinante che rappresenta l’ultima terapia sostitutiva delle insufficienze ghiandolari endocrine, in Italia ancora mancante.

Presentiamo una completa disamina della patologia dall’epidemiologia, alla distinzione tra la forma primaria e quella secondaria, per arrivare alla corretta diagnosi. La presentazione di casi clinici aiuta a comprendere come il goal sia quello di mantenere il paziente asintomatico nel tempo con l’impostazione della corretta terapia.


Osso e muscolo: effetti dell’ipovitaminosi D

Approccio multidisciplinare alla gestione del paziente osteoporotico sarcopenico


Densità minerale ossea alveolare e tipi di denti, nuove prospettive per la diagnosi dell’osteoporosi?

La diagnosi dell’osteoporosi si basa principalmente sulla densitometria ossea (DXA), che valuta la BMD a livello del femore e della colonna lombare. Tuttavia, diversi studi hanno suggerito che la struttura ossea della mandibola e del mascellare potrebbe fornire informazioni utili sulla salute scheletrica generale.

La densità minerale ossea alveolare (al-BMD) rappresenta un parametro emergente nella valutazione della qualità ossea del distretto orale. L’al-BMD potrebbe essere misurata in modo semplice ed economico attraverso radiografie dentali di routine, rendendola potenzialmente utile per lo screening precoce dell’osteoporosi.

Un recente studio condotto dall’Università di Kumamoto, in Giappone, ha analizzato l’al-BMD in pazienti osteoporotici trattati con bifosfonati, mettendo in evidenza variazioni significative in base alla tipologia dei denti esaminati.

Valutazione della densità ossea alveolare nei pazienti osteoporotici

Lo studio ha coinvolto 54 pazienti di sesso femminile affetti da osteoporosi, in trattamento con bifosfonati, sottoposti a estrazione dentaria. La densità minerale ossea alveolare è stata misurata con il sistema DentalSCOPE®, una tecnologia avanzata per la valutazione quantitativa dell’al-BMD mediante radiografie intraorali. Il campione è stato confrontato con un gruppo di controllo costituito da 12 donne sane senza patologie dentali.

I risultati hanno mostrato che:

  • L’al-BMD varia significativamente a seconda del tipo di dente, con valori più elevati nei molari inferiori rispetto ai premolari e agli incisivi.
  • I molari superiori presentano un’al-BMD più alta rispetto agli altri denti della mascella.
  • Non sono state riscontrate differenze significative tra i pazienti osteoporotici trattati con bifosfonati e il gruppo di controllo sano, suggerendo che il trattamento farmacologico potrebbe avere un effetto positivo sulla densità ossea locale.
  • L’al-BMD è risultata tendenzialmente più bassa nei denti affetti da parodontite, sebbene senza raggiungere una significatività statistica.

Implicazioni cliniche, uno strumento per la valutazione dell’osteoporosi?

I risultati dello studio suggeriscono che la densità minerale ossea alveolare potrebbe rappresentare un indicatore utile per valutare la salute ossea sistemica e monitorare l’efficacia del trattamento con bifosfonati. La possibilità di rilevare alterazioni della BMD attraverso comuni radiografie dentali apre prospettive interessanti per l’integrazione della diagnosi dell’osteoporosi in ambito odontoiatrico.

In particolare, la rilevazione di una bassa al-BMD in pazienti senza diagnosi di osteoporosi potrebbe segnalare la necessità di ulteriori accertamenti diagnostici, come la DXA. Inoltre, il monitoraggio dell’al-BMD potrebbe essere utile per valutare il rischio di osteonecrosi della mandibola nei pazienti in terapia con bifosfonati, permettendo di adottare strategie preventive più mirate.

Limiti dello studio e prospettive future

Nonostante i risultati promettenti, lo studio presenta alcune limitazioni. Il campione analizzato è relativamente ridotto e composto esclusivamente da donne osteoporotiche in terapia con bifosfonati, rendendo necessari studi su gruppi più ampi e diversificati. Inoltre, non è ancora chiaro quale sia il miglior sito di misurazione per l’al-BMD e quali siano i valori soglia per identificare il rischio di osteoporosi.

Futuri studi dovranno esplorare l’uso della radiografia dentale come strumento standardizzato per la diagnosi precoce dell’osteoporosi, valutandone l’efficacia in diversi contesti clinici. L’integrazione tra odontoiatria e medicina specialistica potrebbe rappresentare un passo avanti nella prevenzione delle complicanze legate alla fragilità ossea.

Conclusioni

L’analisi della densità minerale ossea alveolare potrebbe costituire un nuovo strumento per lo screening e il monitoraggio dell’osteoporosi, con implicazioni importanti nella pratica clinica. La radiografia dentale, già ampiamente utilizzata nella routine odontoiatrica, potrebbe assumere un ruolo chiave nella valutazione della salute ossea, favorendo un approccio interdisciplinare nella gestione dell’osteoporosi.

Lo studio

Kubo RYoshida RBaba-Tajiri RNakamura-Yamada HMiyahara TOoyama T, et al. Differences in alveolar bone mineral density by tooth type in female osteoporotic patients treated with bisphosphonatesOral Sci Int202522(1):e1285.

La regolazione ormonale nel rischio di osteoporosi nei pazienti con disfunzioni tiroidee

Le malattie della tiroide, come l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo, sono da tempo riconosciute come fattori di rischio per l’osteoporosi. Tuttavia, la relazione causale tra queste patologie e il deterioramento della salute ossea non è mai stata studiata in modo sistematico.

Fino ad oggi, però, i meccanismi esatti attraverso cui le alterazioni tiroidee influenzano la salute ossea non erano stati chiaramente definiti. Un recente studio di randomizzazione mendeliana ha analizzato il ruolo degli ormoni tiroidei nella relazione tra disfunzioni tiroidee e osteoporosi, offrendo nuove prospettive sulla prevenzione e il trattamento della fragilità ossea nei pazienti affetti da queste condizioni.

Difatti, le disfunzioni tiroidee (TDFDs), tra cui ipotiroidismo, ipertiroidismo e tiroiditi autoimmuni come il morbo di Hashimoto, alterano profondamente il metabolismo osseo. È noto che l’ipertiroidismo accelera il turnover osseo, riducendo la BMD, mentre l’ipotiroidismo inibisce il riassorbimento e la formazione ossea, aumentando il rischio di fragilità.

Nuove evidenze: TSH e FT4 come mediatori del rischio di osteoporosi

Lo studio ha analizzato dati genetici provenienti da popolazioni europee utilizzando la randomizzazione mendeliana, una tecnica che consente di stabilire relazioni causali riducendo i bias osservazionali. I risultati hanno dimostrato che:

  • L’ipertiroidismo aumenta il rischio di osteoporosi del 8% e favorisce le fratture patologiche.
  • L’ipotiroidismo incrementa il rischio di osteoporosi del 18%, con un effetto particolarmente marcato nelle donne in post-menopausa.
  • Il TSH (ormone tireotropo) è un mediatore chiave nella relazione tra ipotiroidismo e osteoporosi, spiegando il 5,3% dell’effetto totale.
  • Il FT4 (tiroxina libera) media il 9,7% dell’associazione tra ipertiroidismo e osteoporosi, suggerendo che un eccesso di FT4 sia direttamente responsabile della perdita di massa ossea.

Questi dati confermano che non è solo la disfunzione tiroidea in sé a danneggiare la salute ossea, ma anche le alterazioni nei livelli di specifici ormoni tiroidei.

Conseguenze cliniche e strategie di prevenzione

I risultati dello studio evidenziano la necessità di un approccio multidisciplinare nella gestione dei pazienti con disfunzioni tiroidee, con un monitoraggio attento della salute ossea. Alcune strategie chiave includono:

  1. Monitoraggio endocrino e osteoporotico integrato

  • Nei pazienti con ipertiroidismo, è fondamentale monitorare i livelli di FT4 per individuare precocemente un rischio aumentato di osteoporosi.
  • Nei pazienti con ipotiroidismo, il controllo del TSH può fornire informazioni cruciali sulla vulnerabilità ossea.
  1. Personalizzazione delle terapie ormonali

  • Nei pazienti con ipotiroidismo, l’uso della levotiroxina dovrebbe essere attentamente dosato per evitare un’eccessiva soppressione del TSH, che potrebbe accelerare la perdita di BMD.
  • Nei pazienti con ipertiroidismo, trattamenti mirati per stabilizzare FT4 potrebbero ridurre il rischio di fratture osteoporotiche.
  1. Strategie di prevenzione della perdita ossea

  • L’integrazione di calcio e vitamina D è essenziale per contrastare gli effetti delle disfunzioni tiroidee sulla struttura ossea.
  • L’esercizio fisico con carico (come il sollevamento pesi o la camminata veloce) è fortemente raccomandato per preservare la densità minerale ossea.

Conclusioni

Questa ricerca fornisce una nuova comprensione dei meccanismi biologici che collegano le disfunzioni tiroidee all’osteoporosi, evidenziando il ruolo cruciale degli ormoni tiroidei FT4 e TSH. I dati suggeriscono che una gestione ottimale della funzione tiroidea potrebbe rappresentare una strategia efficace per ridurre il rischio di osteoporosi e fratture nei pazienti con ipotiroidismo e ipertiroidismo.

Alla luce di queste evidenze, l’approccio clinico ai pazienti con disfunzioni tiroidee dovrebbe essere ripensato in ottica preventiva, con un’integrazione tra endocrinologia e osteologia. Mantenere un equilibrio ormonale stabile e monitorare la salute ossea non solo migliora la qualità della vita, ma può prevenire complicanze gravi legate alla fragilità ossea.

Lo studio

Liu, R., Fan, W., Hu, J. et al. The mediating role of thyroid-related hormones between thyroid dysfunction diseases and osteoporosis: a mediation mendelian randomization studySci Rep 15, 4121 (2025).

Screening dell’osteoporosi, nuove raccomandazioni e implicazioni cliniche

Secondo le ultime linee guida pubblicate dalla US Preventive Services Task Force (USPSTF), la diagnosi precoce attraverso lo screening può ridurre il rischio di fratture, specialmente nelle donne anziane e nelle pazienti in postmenopausa con fattori di rischio elevati. Tuttavia, la raccomandazione non si estende agli uomini, per i quali l’evidenza è ancora insufficiente.

L’importanza dello screening

L’osteoporosi è una patologia caratterizzata da una riduzione della densità minerale ossea (BMD) e da un aumento della fragilità ossea, che predispone a fratture, in particolare all’anca, alla colonna vertebrale e al polso. Le fratture osteoporotiche sono associate a una maggiore morbilità, perdita di indipendenza e aumento del rischio di mortalità. Il riconoscimento precoce della malattia attraverso lo screening permette di intervenire con trattamenti farmacologici e strategie preventive adeguate.

Le nuove raccomandazioni della USPSTF

La USPSTF ha confermato le seguenti raccomandazioni:

  • Screening raccomandato per le donne dai 65 anni in su con densitometria ossea (DXA) per prevenire le fratture osteoporotiche.
  • Screening raccomandato per le donne in postmenopausa sotto i 65 anni con fattori di rischio, utilizzando strumenti di valutazione clinica del rischio per determinare la necessità di una DXA.
  • Evidenza insufficiente per lo screening negli uomini, a causa della mancanza di studi che dimostrino un chiaro beneficio in termini di riduzione del rischio di frattura.

Valutazione del rischio e strategie di screening

La USPSTF suggerisce un approccio in due fasi per identificare le donne sotto i 65 anni a rischio:

  1. Identificare la presenza di fattori di rischio come basso peso corporeo, storia familiare di fratture dell’anca, fumo e consumo eccessivo di alcol.
  2. Utilizzare strumenti di valutazione del rischio come il FRAX (Fracture Risk Assessment Tool) per stimare il rischio di frattura e decidere se sottoporre la paziente a una DXA.

La DXA rimane il test di riferimento per la diagnosi di osteoporosi e la previsione del rischio di fratture. Tuttavia, l’uso combinato di strumenti di valutazione del rischio può migliorare l’efficacia dello screening.

Trattamento e gestione delle pazienti a rischio

Per le donne che ricevono una diagnosi di osteoporosi a seguito dello screening, le linee guida suggeriscono un approccio terapeutico basato su:

  • Bisfosfonati (alendronato, risedronato, zoledronato) come prima linea di trattamento per ridurre il rischio di frattura.
  • Denosumab per le pazienti ad alto rischio di frattura.
  • Terapie osteoanaboliche (romosozumab, teriparatide) in casi selezionati.

Parallelamente, è essenziale adottare misure di prevenzione come un’adeguata assunzione di calcio e vitamina D, esercizi di resistenza e strategie per ridurre il rischio di cadute.

Implicazioni cliniche e sfide aperte

Queste nuove raccomandazioni rafforzano il ruolo dello screening nella prevenzione delle fratture, ma sollevano anche alcune questioni irrisolte:

  • L’assenza di una raccomandazione chiara per gli uomini pone il problema di identificare strategie di screening alternative per questa popolazione.
  • Il miglioramento dei modelli predittivi di rischio potrebbe ottimizzare la selezione delle pazienti da sottoporre a DXA.
  • L’aderenza ai trattamenti rimane una sfida cruciale per ridurre l’incidenza di fratture osteoporotiche.

Conclusioni

Le raccomandazioni aggiornate della USPSTF rafforzano l’importanza dello screening per l’osteoporosi nelle donne ad alto rischio, evidenziando il valore della DXA e degli strumenti di valutazione del rischio clinico. Tuttavia, permangono incertezze riguardo allo screening negli uomini e alla scelta dei criteri ottimali per la stratificazione del rischio. La ricerca futura dovrà colmare queste lacune per migliorare ulteriormente la prevenzione delle fratture e la gestione dell’osteoporosi nella popolazione generale.

Lo studio

US Preventive Services Task Force. Screening for Osteoporosis to Prevent FracturesUS Preventive Services Task Force Recommendation StatementJAMA. 2025;333(6):498–508.

Autogestione dell’osteoporosi, quali esperienze e comportamenti?

Considerata una “malattia silenziosa” poiché spesso asintomatica fino alla comparsa di fratture, l’osteoporosi necessita di un approccio multidimensionale per la gestione da parte dei pazienti stessi. La ricerca suggerisce che la capacità di autogestione possa migliorare significativamente l’aderenza al trattamento, ridurre i rischi di complicanze e aumentare la qualità di vita.

Dimensioni dell’autogestione dell’osteoporosi

Lo studio ha individuato tre principali dimensioni dell’autogestione dell’osteoporosi:

1. Mantenimento

Il mantenimento della salute ossea comprende tutte le strategie che i pazienti adottano per prevenire il peggioramento della patologia. Tra le azioni più diffuse vi sono:

  • Aderenza alla terapia farmacologica: molti pazienti riconoscono l’importanza della terapia, ma alcuni interrompono il trattamento a causa di effetti collaterali o di una percezione errata della malattia.
  • Dieta e integrazione di calcio e vitamina D: sebbene il ruolo di questi nutrienti sia ben noto, persistono dubbi e difficoltà nella loro assunzione corretta.
  • Attività fisica: esercizi di carico e resistenza sono considerati fondamentali per mantenere la densità ossea, ma molti pazienti faticano a integrarli nella loro routine.
  • Relazione con gli operatori sanitari: il supporto medico è determinante per incentivare l’autogestione. Tuttavia, molti pazienti riferiscono di ricevere informazioni frammentarie e non sempre chiare.

2. Monitoraggio

Il monitoraggio riguarda il controllo regolare della malattia attraverso test diagnostici e l’osservazione dei sintomi.

  • Test diagnostici: esami come la densitometria ossea sono strumenti fondamentali per valutare l’andamento della patologia, ma alcuni pazienti faticano a comprenderne i risultati.
  • Percezione dei sintomi: la difficoltà di riconoscere i segnali precoci della malattia può portare a una sottovalutazione del rischio di fratture.
  • Ruolo dei medici: un’interazione più attiva con gli specialisti può favorire un miglior monitoraggio della patologia e prevenire complicanze.

3. Gestione

La gestione dei sintomi e delle complicanze è cruciale per migliorare la qualità della vita dei pazienti con osteoporosi.

  • Controllo del dolore: i pazienti utilizzano analgesici, fisioterapia e terapie complementari per alleviare il dolore.
  • Adattamento dello stile di vita: molti pazienti sviluppano strategie per evitare cadute e gestire le limitazioni fisiche.
  • Barriere e facilitatori della gestione: la mancanza di informazioni adeguate rappresenta un ostacolo significativo, mentre il supporto familiare e l’accesso a risorse educative migliorano l’autogestione.

Implicazioni cliniche e prospettive future

La sintesi delle esperienze di autogestione evidenzia la necessità di interventi personalizzati per supportare i pazienti con osteoporosi. I programmi educativi, la formazione di operatori sanitari specializzati e l’uso di strumenti di autovalutazione possono contribuire a migliorare l’aderenza terapeutica e la qualità di vita. Inoltre, l’implementazione di modelli di assistenza basati sull’autogestione potrebbe ridurre il carico sanitario associato alla malattia.

Conclusioni

L’autogestione dell’osteoporosi è un elemento chiave per il controllo della malattia e la prevenzione delle complicanze. L’adozione di strategie efficaci di mantenimento, monitoraggio e gestione può migliorare la qualità di vita dei pazienti, ridurre il rischio di fratture e favorire un approccio più consapevole alla malattia. È fondamentale che gli operatori sanitari promuovano interventi educativi e strategie di supporto personalizzate per incentivare una gestione attiva e responsabile dell’osteoporosi.

Lo studio

Tedesco C, Bernalte-Martí V, Pucciarelli G, Vellone E, Basilici Zannetti E, Cittadini N, Pennini A, Tarantino U, Alvaro R. Self-care experiences and behaviors in people with osteoporosis: A meta-synthesis. Maturitas. 2025 Feb 5;195:108213. Epub ahead of print. PMID: 39914137.

Osteoporosi negli uomini anziani, nuove strategie per una gestione efficace

L’osteoporosi è tradizionalmente considerata una malattia femminile, ma gli uomini non sono immuni da questa condizione. Dopo i 75 anni, il rischio di fratture da fragilità aumenta significativamente negli uomini, con conseguenze spesso più gravi rispetto alle donne. Studi recenti evidenziano che gli uomini hanno un tasso di mortalità più elevato dopo una frattura dell’anca rispetto alle donne, rendendo essenziale un intervento tempestivo per la diagnosi e il trattamento.

Diagnosi: l’importanza di un approccio combinato

La diagnosi precoce dell’osteoporosi negli uomini è cruciale per prevenire le fratture. L’esame di riferimento è la densitometria ossea con DXA, che consente di valutare la densità minerale ossea (BMD). Tuttavia, la sola misurazione della BMD non è sufficiente: il calcolo del FRAX (Fracture Risk Assessment Tool), che integra fattori clinici di rischio con la densitometria, permette una stima più accurata del rischio di frattura a 10 anni.

Altri strumenti diagnostici emergenti includono la radiofrequenza ecografica multi-spettrale (REMS), una tecnologia innovativa che permette una valutazione non invasiva della qualità ossea senza esposizione a radiazioni ionizzanti.

Terapie farmacologiche: stato dell’arte

Le opzioni terapeutiche per l’osteoporosi maschile comprendono farmaci antiriassorbitivi e anabolici. Tra gli antiriassorbitivi, i bifosfonati come alendronato e zoledronato sono ampiamente utilizzati e hanno dimostrato di ridurre il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali.

Un’alternativa efficace è denosumab, un anticorpo monoclonale che inibisce il RANKL e riduce il riassorbimento osseo, particolarmente indicato per uomini sottoposti a terapia di deprivazione androgenica per il carcinoma prostatico.

Tra gli anabolici, teriparatide e abaloparatide stimolano la formazione ossea e sono indicati nei pazienti con alto rischio di frattura. Romosozumab, un farmaco con duplice azione anabolica e antiriassorbitiva, ha dimostrato di aumentare significativamente la densità ossea, ma il suo utilizzo è attualmente limitato alle donne postmenopausali a causa di potenziali rischi cardiovascolari.

Strategie non farmacologiche per la prevenzione

Oltre alle terapie farmacologiche, la gestione dell’osteoporosi maschile deve includere interventi sullo stile di vita. Alcuni elementi chiave sono:

  • Assunzione adeguata di calcio e vitamina D: Un apporto di almeno 1000-1200 mg di calcio e 800-1000 UI di vitamina D al giorno è raccomandato.
  • Esercizio fisico regolare: Attività con carico (come camminata veloce, corsa leggera e sollevamento pesi) migliorano la densità ossea e la forza muscolare, riducendo il rischio di cadute.
  • Prevenzione delle cadute: Il miglioramento della mobilità, della visione e dell’ambiente domestico può ridurre significativamente il rischio di fratture.
  • Gestione delle comorbilità: Condizioni come il diabete, le malattie cardiovascolari e l’ipogonadismo possono influenzare negativamente la salute ossea e devono essere monitorate attentamente.

Conclusioni

L’osteoporosi negli uomini è una condizione ancora sottodiagnosticata e sottotrattata, nonostante le sue gravi conseguenze. L’adozione di un approccio multidisciplinare che combini diagnosi precoce, terapia farmacologica adeguata e interventi sullo stile di vita è essenziale per migliorare la qualità di vita e ridurre il rischio di fratture nei pazienti anziani. La ricerca continua a fornire nuove opzioni terapeutiche che, se adeguatamente implementate, possono colmare il gap di trattamento tra uomini e donne e garantire una gestione ottimale della salute ossea maschile.

Lo studio

Ruggiero, C., Caffarelli, C., Calsolaro, V. et al. Osteoporosis in Older Men: Informing Patient Management and Improving Health-Related OutcomesDrugs Aging 42, 21–38 (2025).

Sicurezza cardiovascolare, confronto tra terapie anti-osteoporotiche nelle donne in post-menopausa

Romosozumab, un anticorpo monoclonale diretto contro la sclerostina, è stato al centro di numerosi dibattiti per i possibili rischi cardiovascolari associati al suo utilizzo. Un’analisi sistematica e una meta-analisi di studi randomizzati hanno confrontato la sicurezza cardiovascolare di romosozumab con altre terapie anti-osteoporotiche comunemente utilizzate, come alendronato, denosumab, teriparatide e raloxifene, dimostrando che non vi sono significative differenze nel rischio di eventi cardiovascolari o mortalità. Tuttavia, ulteriori studi nel mondo reale sono necessari per confermare questi risultati.

Metodologia dello studio

Una revisione sistematica e una meta-analisi di 25 studi randomizzati controllati, che hanno coinvolto un totale di 24.942 donne in post-menopausa con osteoporosi, hanno confrontato romosozumab con alendronato, teriparatide, denosumab, raloxifene e placebo. Sono stati analizzati i rischi di mortalità cardiovascolare, eventi cardiovascolari e altri eventi avversi.

Principali risultati

L’analisi ha mostrato che:

  • Non ci sono differenze significative nel rischio di mortalità cardiovascolare tra romosozumab e placebo.
  • Il rischio di eventi cardiovascolari maggiori non è risultato significativamente differente rispetto alle altre terapie anti-osteoporotiche.
  • Il tasso di eventi avversi non ha mostrato variazioni rilevanti tra romosozumab e le altre opzioni terapeutiche considerate.

Considerazioni sul rischio cardiovascolare

Studi precedenti avevano sollevato dubbi circa un possibile aumento del rischio cardiovascolare associato a romosozumab, in particolare lo studio ARCH, che aveva evidenziato un aumento di eventi cardiaci gravi rispetto all’alendronato. Tuttavia, altre ricerche come lo studio FRAME non hanno rilevato un rischio significativo.

Conclusioni e implicazioni cliniche

I risultati suggeriscono che romosozumab potrebbe essere un’opzione terapeutica sicura per le donne in post-menopausa con osteoporosi, senza un aumento significativo del rischio cardiovascolare rispetto ad altre terapie. Tuttavia, a causa delle differenze nei risultati degli studi disponibili, è necessaria cautela nell’uso di romosozumab in pazienti con alto rischio cardiovascolare. Saranno fondamentali ulteriori studi basati su dati real-world per confermare la sicurezza a lungo termine di questa terapia.

Lo studio

Cheng, SH., Chu, W., Chou, WH. et al. Cardiovascular Safety of Romosozumab Compared to Commonly Used Anti-osteoporosis Medications in Postmenopausal Osteoporosis: A Systematic Review and Network Meta-analysis of Randomized Controlled TrialsDrug Saf 48, 7–23 (2025).

Prebiotici come modulatori dell’assorbimento intestinale di calcio e magnesio

Il calcio (Ca2+) e il magnesio (Mg2+) sono nutrienti essenziali, fondamentali per numerosi processi fisiologici, tra cui la formazione ossea, la trasmissione sinaptica e la contrazione muscolare. La loro carenza è associata a gravi problemi di salute, come l’osteoporosi e il diabete di tipo II. Tuttavia, l’assorbimento intestinale di Ca2+ e Mg2+ è spesso insufficiente, con meno del 30% del calcio e meno del 50% del magnesio ingeriti che entrano effettivamente nel circolo sanguigno.

Tradizionalmente, l’assorbimento di calcio è stato attribuito principalmente a meccanismi attivi nel duodeno e nel digiuno, mentre il magnesio viene assorbito prevalentemente nell’ileo e nel colon. Tuttavia, recenti evidenze suggeriscono che il colon possa avere un ruolo più importante del previsto nell’assorbimento di questi minerali, specialmente in presenza di una dieta ricca di prebiotici.

I prebiotici e il loro ruolo nell’assorbimento di calcio e magnesio

I prebiotici sono carboidrati complessi che resistono alla digestione nell’intestino tenue e raggiungono il colon, dove vengono fermentati dai microbi intestinali. Questo processo di fermentazione porta alla produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), che abbassano il pH luminale e aumentano la solubilizzazione del calcio e del magnesio, rendendoli più disponibili per l’assorbimento.

Studi su modelli animali e su soggetti umani hanno dimostrato che l’assunzione di prebiotici come inulina e fruttoligosaccaridi può aumentare l’assorbimento di Ca2+ e Mg2+ nel colon fino al 30%. Questo aumento è attribuito a vari meccanismi, tra cui:

  1. L’aumento della concentrazione di ioni liberi di calcio e magnesio grazie alla produzione di SCFA.
  2. La stimolazione del trasporto transcellulare mediato da proteine come TRPV6 e TRPM6, che favoriscono l’ingresso di questi minerali nelle cellule epiteliali del colon.
  3. La modulazione della barriera intestinale, che potrebbe facilitare l’assorbimento paracellulare.

Effetti dei prebiotici sulla densità minerale ossea

Numerosi studi hanno evidenziato che una dieta ricca di prebiotici può migliorare la densità minerale ossea e aumentare la forza delle ossa. In modelli animali, l’integrazione con prebiotici ha portato a un aumento della capacità di assorbimento del calcio, a una maggiore ritenzione di magnesio e a un miglioramento della resistenza ossea. Studi condotti su donne in post-menopausa hanno mostrato che l’integrazione con inulina arricchita di oligofruttosio ha migliorato l’assorbimento minerale e marcatori di formazione ossea.

Un meccanismo potenziale è rappresentato dall’attivazione dell’asse entero-osseo, in cui gli SCFA prodotti dalla fermentazione stimolano la produzione di ormoni intestinali come il GLP-2, che contribuisce a migliorare l’assorbimento intestinale e a stimolare la formazione ossea.

Sicurezza e prospettive future

Nonostante i benefici potenziali, l’uso di prebiotici per migliorare l’assorbimento di calcio e magnesio e la salute ossea necessita di ulteriori ricerche cliniche. È importante identificare le dosi ottimali e valutare eventuali effetti collaterali, come l’eccessiva produzione di gas o la tollerabilità intestinale in soggetti sensibili.

In conclusione, i prebiotici rappresentano una promettente strategia non invasiva per migliorare l’assorbimento di calcio e magnesio e per supportare la salute ossea, specialmente in popolazioni a rischio di osteoporosi. L’integrazione di prebiotici nella dieta potrebbe offrire un approccio complementare e sicuro nella prevenzione e nel trattamento delle patologie ossee legate all’età.

Lo studio

Stumpff FManneck DPrebiotics as modulators of colonic calcium and magnesium uptakeActa Physiol2025241:e14262.

Fratture vertebrali da fragilità: consapevolezza, adesione terapeutica e coinvolgimento del paziente

Le fratture vertebrali da fragilità (VFF) sono una delle manifestazioni cliniche più comuni e gravi dell’osteoporosi. Rappresentano un segnale predittivo importante di future fratture e di aumento della morbilità e mortalità. Tuttavia, queste fratture rimangono spesso non diagnosticate, con circa il 70% dei casi non identificati. La diagnosi avviene frequentemente in modo incidentale, in corso di esami radiologici richiesti per altre ragioni. Questo fenomeno ha dato origine alla definizione di fratture vertebrali opportunisticamente identificate (OIVFF).

Uno studio retrospettivo condotto presso il Musgrove Park Hospital, nel Regno Unito, ha analizzato il comportamento dei pazienti con OIVFF all’interno di un servizio di liaison per le fratture (FLS), comparandolo con quello di pazienti con fratture vertebrali acute (AVFF) e fratture da fragilità non a carico dell’anca o della colonna (NHSFF).

Obiettivi dello Studio

L’indagine si è posta i seguenti obiettivi:

  • Valutare il grado di consapevolezza dei pazienti riguardo alla frattura vertebrale diagnosticata;
  • Analizzare il tasso di coinvolgimento dei pazienti nei percorsi di cura post-frattura;
  • Misurare la compliance iniziale (inizio del trattamento) e l’aderenza terapeutica a 12 mesi ai farmaci per l’osteoporosi;
  • Evidenziare eventuali differenze comportamentali tra i tre gruppi di pazienti.

Materiali e Metodi

Lo studio ha analizzato i dati raccolti dal servizio FLS locale tra gennaio e dicembre 2022, su 1.403 pazienti di età superiore ai 50 anni. I pazienti sono stati suddivisi in tre coorti:

  1. AVFF: fratture vertebrali acute, sintomatiche e diagnosticate clinicamente;
  2. OIVFF: fratture vertebrali diagnosticate incidentalmente mediante imaging;
  3. NHSFF: fratture da fragilità di altri segmenti scheletrici (esclusi anca e colonna).

Dati raccolti:

  • Questionari inviati ai pazienti per valutare il livello di consapevolezza della frattura e il coinvolgimento;
  • Registrazioni mediche per monitorare la compliance terapeutica a 3 mesi e l’aderenza a 12 mesi.

Risultati

Profilo Demografico

Dei 1.241 pazienti analizzati, il 32,4% degli OIVFF erano uomini, contro il 18,9% degli AVFF e il 14,7% dei NHSFF. L’età mediana era di 77 anni. Questo dato suggerisce che gli uomini siano più frequentemente soggetti a OIVFF, sollevando interrogativi sui fattori di rischio specifici di genere.

Consapevolezza della Frattura

Solo il 18,98% dei pazienti OIVFF era consapevole della frattura vertebrale, contro il 68,75% degli AVFF. Questo risultato evidenzia una carenza comunicativa nel trasferimento dell’informazione diagnostica ai pazienti con frattura incidentale.

Coinvolgimento

Il tasso di restituzione dei questionari è stato del 70,3% nel gruppo OIVFF, simile agli altri gruppi. Questo indica che, nonostante la scarsa consapevolezza della frattura, i pazienti OIVFF mostrano una buona disponibilità a partecipare ai percorsi di monitoraggio della salute ossea.

Compliance e aderenza terapeutica

Dopo 3 mesi, il 87,9% dei pazienti OIVFF aveva iniziato il trattamento osteoporotico, un valore comparabile al 96,2% degli AVFF e al 75,4% dei NHSFF. Dopo 12 mesi, l’aderenza risultava simile nei tre gruppi (AVFF 88%, OIVFF 78,3%, NHSFF 80,7%).

Discussione

Il dato più rilevante riguarda l’elevata proporzione di uomini nel gruppo OIVFF, elemento che richiede ulteriori approfondimenti per comprendere se vi siano differenze nella diagnosi o nella presentazione clinica delle fratture vertebrali tra i sessi.

La scarsa consapevolezza delle fratture tra i pazienti OIVFF sottolinea l’importanza di migliorare la comunicazione tra i radiologi e i medici di base, per garantire che i pazienti ricevano informazioni chiare e comprensibili sul significato della frattura vertebrale e sui rischi futuri.

Nonostante la scarsa consapevolezza, i pazienti OIVFF hanno dimostrato livelli di compliance e aderenza simili agli altri gruppi. Ciò suggerisce che, una volta informati, i pazienti sono disposti a seguire il trattamento raccomandato.

Lo studio evidenzia che i pazienti con fratture vertebrali opportunisticamente identificate non differiscono in modo significativo dagli altri pazienti in termini di coinvolgimento e aderenza terapeutica. Tuttavia, la scarsa consapevolezza delle fratture nel gruppo OIVFF rappresenta un problema cruciale, evidenziando la necessità di migliorare i flussi comunicativi tra radiologi, medici curanti e pazienti.

Raccomandazioni

  • Implementare percorsi di comunicazione chiari per informare tempestivamente i pazienti sulle fratture vertebrali incidentali;
  • Rafforzare la formazione del personale radiologico e medico sul riconoscimento e la gestione delle VFF;
  • Approfondire con studi prospettici il comportamento dei pazienti maschi con OIVFF, per valutare eventuali differenze cliniche e diagnostiche legate al genere.

Lo studio

R. James, R. Meertens, A retrospective service evaluation of patient awareness and engagement, and medication compliance and adherence, in patients with opportunistically identified vertebral fragility fractures in a local fracture liaison service,
Radiography, Volume 31, Issue 1, 2025, Pages 406-414, ISSN 1078-8174.

Fraxin, una nuova speranza per la salute ossea

L’equilibrio tra formazione e riassorbimento osseo è essenziale per la salute dello scheletro. Nell’osteoporosi, il bilancio pende verso il riassorbimento a causa di un’eccessiva attività degli osteoclasti, cellule specializzate nella degradazione della matrice ossea. L’iperattivazione degli osteoclasti è spesso correlata all’aumento delle specie reattive dell’ossigeno (ROS), che amplificano la differenziazione e l’attività di queste cellule. Fraxin, grazie alle sue proprietà antiossidanti, sembra contrastare questi effetti dannosi.

Il ruolo dei ROS nell’osteoporosi e l’azione di Fraxin

Le ROS sono molecole instabili che svolgono un ruolo cruciale nella regolazione della funzione degli osteoclasti. Il legame del ligando RANK (RANKL) con il suo recettore RANK sulle cellule progenitrici degli osteoclasti attiva una cascata di segnali intracellulari, inclusa la via delle MAPK (Mitogen-Activated Protein Kinases) e la via NF-κB, che portano all’aumento della produzione di ROS e all’attivazione del fattore nucleare NFATc1, il regolatore principale della differenziazione osteoclastica. Fraxin contrasta questo processo riducendo i livelli di ROS, ristabilendo l’attività degli enzimi antiossidanti e modulando le vie di segnalazione intracellulari coinvolte nell’osteoclastogenesi.

Evidenze sperimentali: Fraxin in vitro e in vivo

Studi in vitro dimostrano che fraxin riduce significativamente la formazione di osteoclasti maturi derivati da precursori di midollo osseo. L’esposizione a fraxin inibisce la formazione dell’anello di F-actina, struttura essenziale per l’attività di riassorbimento osseo, e diminuisce l’espressione di geni chiave dell’osteoclastogenesi come NFATc1, MMP-9 e cathepsina K.

Nei modelli murini di osteoporosi post-ovariectomia (OVX), il trattamento con fraxin ha mostrato una significativa protezione contro la perdita ossea. Le analisi con micro-CT hanno evidenziato un aumento del volume osseo trabecolare, una maggiore densità minerale e una riduzione del numero di osteoclasti attivi nei topi trattati con fraxin rispetto ai controlli.

Prospettive future e potenziale clinico

I risultati ottenuti indicano che fraxin potrebbe rappresentare una strategia terapeutica innovativa per il trattamento dell’osteoporosi e di altre patologie osteolitiche. Tuttavia, è necessario approfondire gli studi per determinare il dosaggio ottimale, la biodisponibilità e la sicurezza del composto negli esseri umani. La ricerca futura dovrebbe inoltre valutare l’efficacia di fraxin in combinazione con altri trattamenti anti-osteoporotici e il suo potenziale effetto sul metabolismo osseo globale.

Conclusione

Fraxin si afferma come un promettente candidato per il trattamento delle malattie ossee degenerative grazie alla sua capacità di inibire l’osteoclastogenesi e ridurre lo stress ossidativo. Sebbene siano necessari ulteriori studi clinici, le evidenze attuali suggeriscono che questa molecola naturale potrebbe rappresentare un nuovo approccio terapeutico per preservare la salute scheletrica.

Lo studio

Han Zhou, Pianpian Chen, Chuanyong Zhao, Siyuan Zou, Hao Wu, Chenhao Huang, Hongwei Hu, Qianmo Wu, ChunWu Zhang, Weidong Weng,
Fraxin inhibits ovariectomized-induced bone loss and osteoclastogenesis by suppressing ROS activity, International Immunopharmacology, Volume 147, 2025, 113871, ISSN 1567-5769.

Indice infiammatorio della dieta e salute ossea negli adolescenti statunitensi

La fase adolescenziale rappresenta un periodo cruciale per lo sviluppo osseo. L’acquisizione di una massa ossea ottimale riduce il rischio di fratture e osteoporosi nell’età adulta. Studi precedenti hanno dimostrato che l’infiammazione cronica a basso grado è un fattore determinante nel metabolismo osseo, influenzando il bilanciamento tra la formazione e il riassorbimento osseo. Citochine pro-infiammatorie come IL-1, IL-6 e TNF-α favoriscono la degradazione ossea attraverso l’attivazione degli osteoclasti e la soppressione dell’attività osteoblastica.

Metodologia dello studio

L’analisi ha coinvolto 8773 adolescenti tra i 12 e i 18 anni. Il DII è stato calcolato in base ai dati di richiamo alimentare, mentre la salute ossea è stata valutata attraverso la densitometria ossea (DXA) per determinare i valori di BMD e BMC a livello della colonna lombare e dello scheletro totale (escludendo il cranio). L’indagine ha suddiviso i partecipanti in quartili di DII, dal più basso (dieta meno infiammatoria) al più alto (dieta più infiammatoria).

Risultati principali

L’analisi di regressione multivariata ha rivelato una correlazione negativa tra il DII e la densità minerale apparente della colonna lombare (BMADa), con un effetto più marcato nei maschi e negli individui non di etnia afroamericana. Gli adolescenti con un DII elevato mostravano una BMADa inferiore rispetto a quelli con un DII basso. Al contrario, non è stata trovata un’associazione statisticamente significativa tra il DII e la BMD dello scheletro totale (TBLH BMD).

Implicazioni dei risultati

Questi dati suggeriscono che una dieta con alto potenziale infiammatorio possa influire negativamente sulla salute ossea, specialmente nella colonna vertebrale. L’associazione più forte nei maschi potrebbe essere dovuta a differenze ormonali e metaboliche, che rendono il metabolismo osseo maschile più sensibile agli effetti dell’infiammazione. Inoltre, il minor impatto del DII negli adolescenti afroamericani potrebbe essere attribuito a fattori genetici e strutturali che conferiscono una maggiore densità ossea rispetto ad altre etnie.

Conclusioni e prospettive future

L’evidenza di una relazione tra alimentazione infiammatoria e salute ossea negli adolescenti sottolinea l’importanza di adottare strategie nutrizionali preventive. Promuovere una dieta ricca di alimenti anti-infiammatori, come frutta, verdura, cereali integrali e grassi salutari, potrebbe contribuire a ottimizzare lo sviluppo scheletrico e ridurre il rischio di patologie ossee future. Studi longitudinali saranno necessari per confermare questi risultati e stabilire un nesso causale tra il DII e la salute ossea in età giovanile.

Lo studio

Yuanyuan Zhang, Xuejing Wang, Shiguang Huo, Li Hong, Feifei Li, The association between dietary inflammatory index and bone health in US adolescents: Analysis of the NHANES data, Bone Reports, Volume 24, 2025, 101823, ISSN 2352-1872.