L’approccio diagnostico e terapeutico alle malattie neuromuscolari chiede al clinico di valutare diverse condizioni di malattie che vanno oltre il quadro neuromuscolare specifico che ha portato il paziente all’osservazione del neurologo. Tra gli aspetti extraneurologici sono particolarmente frequenti le alterazioni endocrino-metaboliche, che sono in alcuni casi determinate dalle alterazioni genetiche che causano la malattia neuromuscolare come nelle distrofie miotoniche tipo 1 e tipo 2, in cui frequente e spesso precoce è la comparsa di infertilità e ipogonadismo. Inoltre gli studi più recenti dimostrano che il muscolo è caratterizzato da una funzione endocrina, mediata dal rilascio di miokine, la cui integrità è fondamentale per l’omeostasi di altri metabolismi, come quello osseo e quello glucidico. In questa presentazione si illustrano le acquisizioni più recenti relative a tali aspetti nelle più comuni patologie neuromuscolari.
Ipoparatiroidismo: dalla diagnosi alla terapia
L’ipoparatiroidismo cronico è una condizione caratterizzata da una ridotta o assente secrezione di paratormone, con conseguente ipocalcemia e sintomi ad essa correlati. La terapia si basa sull’assunzione di calcio e forma attiva della vitamina D e, in un prossimo. Futuro, del paratormone umano ricombinante che rappresenta l’ultima terapia sostitutiva delle insufficienze ghiandolari endocrine, in Italia ancora mancante.
Presentiamo una completa disamina della patologia dall’epidemiologia, alla distinzione tra la forma primaria e quella secondaria, per arrivare alla corretta diagnosi. La presentazione di casi clinici aiuta a comprendere come il goal sia quello di mantenere il paziente asintomatico nel tempo con l’impostazione della corretta terapia.
Osso e muscolo: effetti dell’ipovitaminosi D
Approccio multidisciplinare alla gestione del paziente osteoporotico sarcopenico
Oltre la razza
Le differenze razziali ed etniche nella struttura scheletrica, nel rischio di frattura e nei biomarcatori dell’osteodistrofia renale sollevano interrogativi fondamentali sull’adeguatezza degli approcci terapeutici attuali. Alla luce di nuove evidenze, emerge la necessità di superare i parametri tradizionali — tra cui la stessa categoria di “razza” — per abbracciare una medicina davvero personalizzata, capace di rispondere alla complessità biologica dell’individuo.
Un paradigma da rivedere
L’osteodistrofia renale (Renal Osteodystrophy, ROD) è una complicanza centrale della malattia renale cronica (CKD), con impatti clinici importanti: fratture, deformità, disabilità. L’attuale classificazione, fondata su biopsia ossea dell’osso iliaco, distingue quadri a elevato o ridotto rimodellamento osseo, con o senza difetti di mineralizzazione. Ma nella pratica, la limitata accessibilità alla biopsia ha portato a sostituirla con biomarcatori surrogati come il paratormone (PTH) e l’alcalina fosfatasi ossea.
Tuttavia, l’eterogeneità della ROD — amplificata da marcate differenze tra individui — sta mettendo in discussione l’efficacia di questi approcci. Lo studio firmato da Marciana Laster propone un punto di svolta: le differenze razziali ed etniche osservate nella microarchitettura ossea, nel rischio di frattura e nei biomarcatori non sono solo una questione epidemiologica, ma un’occasione per ripensare l’intera strategia terapeutica. In altre parole, la razza non è (solo) una variabile da considerare, ma un sintomo della necessità urgente di una medicina di precisione.
Densità, forza, fratture: cosa dice la biologia
Nella popolazione sana, le differenze razziali sono evidenti già nei bambini: i soggetti neri mostrano un’accresciuta densità ossea vertebrale rispetto ai bianchi, con una maggiore forza ossea in adolescenza e un profilo microarchitetturale favorevole (maggiore spessore corticale e trabecolare, minore porosità). Risultati simili si osservano negli adulti, in particolare nelle donne nere post-menopausali, che presentano un rischio di frattura inferiore rispetto a donne bianche, ispaniche o asiatiche.
Nella CKD, queste differenze si confermano: in uno studio su biopsie ossee iliache, i pazienti neri con insufficienza renale avevano più frequentemente volumi ossei normali o elevati rispetto ai bianchi, nei quali predominava un basso volume osseo. In ambito pediatrico, bambini neri in dialisi presentavano uno spessore corticale superiore del 36% rispetto ai bianchi, pur a parità di età, sesso e livelli di PTH.
Anche i dati sul rischio di frattura parlano chiaro. Il CRIC Study ha rilevato che negli adulti con CKD la razza nera è un fattore protettivo per fratture vertebrali e dell’anca. Nei bambini con CKD pre-dialitica, il rischio di frattura era inferiore del 74% nei soggetti neri e del 66% in quelli ispanici rispetto ai bianchi.
Il paradosso biochimico e i suoi limiti
Sorge però un paradosso: i soggetti neri presentano livelli meno favorevoli di biomarcatori classici — minore vitamina D, PTH più alto — ma mostrano una struttura ossea più robusta e un minor rischio di frattura. Questo fenomeno, noto come “skeletal paradox”, sfida l’attuale paradigma terapeutico che si fonda su target uniformi di PTH e vitamina D per tutti i pazienti CKD, indipendentemente dalla loro biologia individuale.
In passato si è ipotizzato che tali discrepanze derivassero da livelli inferiori di proteina legante la vitamina D (VDBP) nei neri, con conseguente maggiore disponibilità biologica della vitamina. Tuttavia, recenti metodi basati su spettrometria di massa hanno smentito questa ipotesi, mostrando livelli simili di VDBP tra i gruppi etnici. Altri studi hanno evidenziato una maggiore attività dell’enzima CYP27B1 e una minore attività di CYP24A1 nei soggetti neri, con un impatto positivo sull’omeostasi del calcio e sulla produzione della forma attiva della vitamina D (1,25-diidrossivitamina D).
Superare la razza: la sfida della personalizzazione
L’insieme di queste evidenze ci obbliga a una riflessione profonda: la razza e l’etnia, pur essendo utili nel descrivere tendenze a livello di popolazione, sono strumenti troppo grossolani per guidare terapie individuali. Il futuro della cura della ROD risiede nella capacità di identificare biomarcatori predittivi dell’attività ossea e della mineralizzazione che vadano oltre le categorie etniche, riflettendo la vera complessità biologica del paziente.
Anche l’impiego del PTH, ancora centrale nelle linee guida KDIGO, dovrebbe evolversi verso un’interpretazione più dinamica: il valore ottimale di PTH potrebbe variare da individuo a individuo, e solo l’osservazione combinata con l’alcalina fosfatasi — meglio ancora se ossea specifica — può offrire una finestra utile sull’attività ossea reale. Tuttavia, anche questo marker ha dei limiti, specie in età pediatrica, dove le alterazioni della mineralizzazione sono frequenti.
La razza è un campanello d’allarme, non una risposta
La vera lezione che emerge da questi studi è che la razza, più che una variabile da inserire negli algoritmi, è un segnale della nostra ignoranza sulle vere determinanti biologiche dell’osteodistrofia renale. Il passo avanti non consiste nel trattare diversamente i pazienti neri o bianchi, ma nel comprendere cosa rende unico ciascun paziente: il suo assetto genetico, la sua biochimica ossea, il suo metabolismo della vitamina D, la sua risposta al PTH.
Una medicina della precisione, dunque, che parta dalla complessità dell’individuo e non dai confini storici delle categorie razziali.
Lo studio
Laster M. Precision Renal Osteodystrophy: What’s Race Got to do With It? Curr Osteoporos Rep. 2024 Dec 2;23(1):5. doi: 10.1007/s11914-024-00894-y. PMID: 39621165; PMCID: PMC11612005.
BoneHealth | The magazine for bone and joint specialists | Aprile 2025
CONTENUTO RISERVATO AGLI OPERATORI SANITARI
Il nuovo numero di BoneHealth approfondisce i temi più attuali nella gestione delle patologie osteo-metaboliche, confermando l’identità della rivista come spazio di confronto clinico e scientifico di alto profilo.
Al centro dell’edizione di aprile 2025 troviamo l’algodistrofia e l’impatto del neridronato nelle fasi precoci della CRPS-1, le terapie conservative con cellule staminali mesenchimali e la protesizzazione in osso osteoporotico. Uno speciale è dedicato all’ipoparatiroidismo e al confronto tra terapia convenzionale e sostitutiva con palopegteriparatide, mentre un focus emergente esplora il ruolo del microbiota nell’osteoporosi postmenopausale.
Il numero raccoglie anche gli highlights del Congresso “The Bone Identity”, divenuto un punto di riferimento per la comunità scientifica.
Approfondimenti, illustrazioni originali e voci esperte compongono un magazine ricco, pensato per chi vive la salute dell’osso con visione e competenza.
L’era del paratormone sostitutivo
L’ipoparatiroidismo sta finalmente guadagnando visibilità grazie a iniziative di sensibilizzazione, innovazioni terapeutiche e una nuova consapevolezza clinica.
In Italia, secondo le stime più aggiornate, soffrono di questa malattia rara circa 10.500 persone, un numero apparentemente esiguo, ma che cela una quotidianità costellata di sintomi cronici e complicanze sistemiche.
Due recenti appuntamenti promossi da Ascendis Pharma hanno rilanciato il dibattito su questa patologia ancora orfana di una terapia sostitutiva realmente efficace. Il primo destinato ai giornalisti si è tenuto a Milano a fine marzo; il secondo si è svolto a Roma il 10 aprile 2025 alla Camera dei Deputati, riunendo clinici di riferimento e rappresentanti delle istituzioni.
Una patologia invisibile ma impattante
L’ipoparatiroidismo è una disfunzione endocrina causata da un deficit, totale o parziale, di paratormone (PTH), che compromette gravemente l’omeostasi del calcio e del fosforo. I sintomi sono spesso aspecifici e debilitanti: crampi, spasmi, parestesie, affaticamento, confusione mentale, ansia, depressione. Il trattamento convenzionale con calcio e vitamina D attiva, pur alleviando alcuni sintomi, non sostituisce il PTH e può portare a complicanze renali e calcificazioni extrascheletriche.

Secondo la prof.ssa Maria Luisa Brandi, specialista in endocrinologia e presidente della Fondazione FIRMO, “Il paratormone è l’ormone dimenticato. La sua assenza compromette funzioni vitali e rende la malattia estremamente invalidante”.
Le forme cliniche e le cause
Come ha spiegato la prof.ssa Brandi durante il Media Tutorial, l’ipoparatiroidismo può essere congenito (per mutazioni genetiche o malattie autoimmuni rare) o secondario, per lo più a seguito di tiroidectomie o trattamenti oncologici con immunoterapie (es. anti PD-1/PD-L1).
Il dott. Andrea Palermo, endocrinologo presso il Policlinico Universitario Campus Biomedico di Roma, ha evidenziato le complicanze croniche: “La supplementazione non sostitutiva può causare ipercalciuria, nefrolitiasi, nefrocalcinosi e aumentare il rischio di insufficienza renale. Lo scheletro si modifica in modo patologico, diventando più denso ma meno resistente”.
La prof.ssa Valentina Camozzi, endocrinologa all’Università di Padova, ha spiegato: “Il calcio e il calcitriolo sono solo un surrogato. Non replicano le funzioni fisiologiche del PTH e comportano un notevole burden terapeutico. In molti casi, la qualità della vita è gravemente compromessa”.
La testimonianza dei pazienti: Marta e la quotidianità negata
Nel corso dell’incontro milanese, Marta Cecconi, vicepresidente dell’associazione A.P.P.I., ha raccontato la propria esperienza di ipoparatiroidismo postchirurgico, conseguente all’asportazione della tiroide per morbo di Basedow.
Ha descritto un decorso difficile, caratterizzato da crisi tetaniche, ospedalizzazioni prolungate e necessità di ricorrere frequentemente al pronto soccorso per la somministrazione di calcio endovena. La sua testimonianza ha messo in luce quanto la malattia possa condizionare la quotidianità e la qualità della vita, anche nei gesti più semplici. Tuttavia, durante la gravidanza e l’allattamento, grazie alla produzione naturale di PTH-like peptide, la sua condizione è migliorata. Una parentesi felice che sottolinea il bisogno di terapie più efficaci e continuative.
Una svolta terapeutica all’orizzonte: il palopegteriparatide
L’innovazione terapeutica che potrebbe cambiare il paradigma di trattamento dell’ipoparatiroidismo si chiama palopegteriparatide.
Il farmaco, già approvato da FDA ed EMA, ma non ancora disponibile in Italia, rappresenta una svolta epocale. Si tratta di una molecola a rilascio prolungato che garantisce livelli fisiologici costanti di PTH per 24 ore, ripristinando la regolazione del metabolismo calcio-fosforo.
I dati dello studio di fase 3 PaTHway mostrano che dopo 52 settimane:
- l’81% dei pazienti ha raggiunto normocalcemia e indipendenza da calcio e vitamina D attiva;
- il 95% ha interrotto completamente la terapia convenzionale;
- sono migliorati significativamente i parametri di qualità di vita (HPES e SF-36);
- la calciuria è diminuita, con riduzione del rischio renale.
Il dott. Palermo sottolinea: “Palopegteriparatide è l’unica terapia sostitutiva registrata per questa patologia. Ripristina le funzioni fisiologiche del PTH e può prevenire le complicanze sistemiche”.
La prof.ssa Brandi ha definito la molecola: “Una scoperta paragonabile a quella dell’insulina per il diabete. Il vero problema è che in Italia non è ancora disponibile. È urgente colmare questo paradosso”.
Il confronto politico-istituzionale alla Camera dei Deputati
L’evento romano, promosso dall’On. Ilenia Malavasi, ha permesso un dialogo concreto tra clinici, istituzioni e associazioni.
La parlamentare ha ricordato l’importanza di ascoltare il punto di vista dei pazienti, che spesso sono i primi a cogliere le lacune del sistema. Ha inoltre richiamato la necessità di uniformare l’accesso alle cure su tutto il territorio nazionale, soprattutto per le patologie rare.
Il prof. Andrea Frasoldati, presidente AME (Associazione Medici Endocrinologi), ha ribadito che l’ipoparatiroidismo resta una patologia troppo spesso sottovalutata nella pratica clinica quotidiana e ha auspicato una maggiore consapevolezza tra i professionisti.
Gli ha fatto eco il prof. Gianluca Aimaretti, presidente SIE (Società Italiana di Endocrinologia), sottolineando come oggi la comunità scientifica disponga di strumenti diagnostici e conoscenze avanzate, ma debba ancora colmare il gap terapeutico.
Thomas Carlo Maria Topini, General Manager di Ascendis Pharma Italia, ha dichiarato:
“Per troppo tempo l’ipoparatiroidismo è rimasto nell’ombra. Vogliamo dare voce ai pazienti e accompagnarli verso una quotidianità più serena, con terapie all’altezza delle loro esigenze.”
Una nuova narrazione per una nuova normalità
Parallelamente al dialogo clinico e istituzionale, durante l’evento istituzionale di Roma, Ascendis Pharma ha lanciato la campagna di awarness: “Si può parlare di normalità? Ipoparatiroidismo: conoscerlo e gestirlo per vivere una nuova quotidianità”. Rivolta a medici, pazienti, caregiver e opinione pubblica, l’iniziativa vuole promuovere una maggiore consapevolezza sull’impatto della patologia e sulla necessità di un cambiamento concreto.
Accanto alla campagna principale, Ascendis ha annunciato tre ulteriori progetti:
- Medicina narrativa: un percorso realizzato con la Scuola Holden e Feltrinelli Education per raccogliere e raccontare le storie dei pazienti e dei loro medici. Il progetto culminerà in un e-book e in un evento pubblico a Torino.
- Documentari: una serie di video realizzati con NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, che offriranno uno spaccato autentico della vita quotidiana con l’ipoparatiroidismo.
- Sportello legale: uno spazio di consulenza gratuito, gestito da OMAR (Osservatorio Malattie Rare), per fornire supporto su diritti, lavoro, invalidità e accesso alle cure.
Queste iniziative testimoniano una visione sistemica del problema, in cui il paziente non è più solo un destinatario di cure, ma un protagonista attivo del cambiamento.
L’impegno della comunità endocrinologica, il ruolo attivo delle associazioni e l’apertura del mondo istituzionale indicano una direzione chiara: riconoscere l’ipoparatiroidismo come patologia cronica a elevato impatto e garantire l’accesso alle migliori opzioni terapeutiche disponibili.
Come ha ricordato Marta Cecconi, la normalità per i pazienti affetti da ipoparatiroidismo è ancora un obiettivo da conquistare. E ogni passo verso una terapia più adeguata rappresenta una conquista di dignità.
Il futuro del trattamento dell’ipoparatiroidismo è già cominciato. Ora spetta al Sistema Sanitario Nazionale scegliere se cogliere questa opportunità o continuare a ignorarla.
L’importanza dell’esercizio fisico nell’osteoporosi
Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia dell’esercizio fisico nella prevenzione delle fratture e nel miglioramento della densità ossea:
- Riduzione del Rischio di Fratture: Una meta-analisi ha evidenziato che l’esercizio fisico comporta una riduzione del 23% nell’incidenza di fratture osteoporotiche maggiori, sottolineando l’efficacia dell’attività fisica nella prevenzione delle fratture a bassa energia (PMC9813248).
- Attività fisica e riduzione del rischio di fratture: L’allenamento regolare migliora la stabilità posturale e la coordinazione, riducendo così il rischio di cadute, che rappresentano la causa principale delle fratture osteoporotiche. Programmi di esercizio specifici hanno dimostrato di migliorare la velocità dell’andatura, la forza degli arti inferiori e il controllo dell’equilibrio, riducendo l’incidenza di cadute del 25-30%.
Tipologie di esercizi raccomandati
- Esercizi di Impatto: Attività come salti da una piattaforma, jumping chin-ups con atterraggi controllati e salto con la corda, eseguiti con 50 ripetizioni per sessione almeno tre volte a settimana per sei mesi, sono raccomandati per migliorare la densità minerale ossea (PMC10345999).
- Esercizi di Resistenza Muscolare: L’allenamento della forza, incluso l’uso di pesi liberi, macchine isotoniche o elastici, è essenziale per stimolare la rigenerazione ossea e migliorare la densità minerale. Studi hanno dimostrato che esercizi di resistenza progressiva, svolti almeno due volte a settimana, migliorano la forza muscolare e riducono il rischio di cadute del 40%. L’American College of Sports Medicine (ACSM) raccomanda esercizi con carichi progressivi, adattati all’età e alla condizione del paziente, per ottenere i migliori benefici in termini di salute ossea e funzionale.
- Esercizi da Evitare: È consigliabile evitare esercizi ad alto impatto come corsa o salti e movimenti che comportano flessioni o torsioni eccessive del tronco, in quanto possono aumentare il rischio di fratture in soggetti con ossa fragili (Mayo Clinic).
Linee guida internazionali
Le principali organizzazioni internazionali forniscono raccomandazioni chiare sull’attività fisica per la gestione dell’osteoporosi:
- Fondazione Internazionale dell’Osteoporosi (IOF): Raccomanda programmi di attività fisica che includano esercizi di carico, allenamento della forza e miglioramento dell’equilibrio per prevenire le cadute e mantenere la salute ossea (IOF).
- National Osteoporosis Foundation (NOF): Sottolinea l’importanza di esercizi con carico come camminata veloce, jogging, tennis e danza per mantenere la densità ossea (NOF).
Considerazioni cliniche
Per massimizzare i benefici dell’attività fisica e ridurre il rischio di eventi avversi, è fondamentale adottare un approccio personalizzato e supervisionato:
- Personalizzazione dell’Esercizio: L’adattamento dei programmi di esercizio deve considerare fattori individuali come l’età, la severità dell’osteoporosi, la presenza di fratture pregresse e altre comorbidità.
- Monitoraggio e Supervisione: L’implementazione di programmi di esercizio dovrebbe avvenire sotto la supervisione di professionisti qualificati per garantire la sicurezza e l’efficacia, specialmente in pazienti ad alto rischio di frattura.
- Educazione del Paziente: Informare i pazienti sui benefici dell’attività fisica e sulle modalità sicure di esecuzione degli esercizi è cruciale per migliorare l’aderenza e ridurre la paura di cadute o fratture. La formazione dovrebbe includere istruzioni pratiche su come eseguire correttamente gli esercizi, informazioni sui segnali di sovraccarico o dolore e consigli su come integrare l’attività fisica nella vita quotidiana. Inoltre, il supporto di materiali informativi e sessioni educative può aumentare la consapevolezza e la motivazione del paziente a seguire un programma di esercizio costante.
Conclusioni
L’esercizio fisico rappresenta uno strumento essenziale per la prevenzione e la gestione dell’osteoporosi. La scelta degli esercizi deve essere basata su evidenze scientifiche e adattata alle caratteristiche individuali del paziente. Il coinvolgimento di specialisti e l’aderenza a linee guida consolidate sono fondamentali per garantire risultati ottimali nella salute ossea e nella qualità della vita dei pazienti.
The Bone Identity | V congresso BoneHealth
Si è tenuto il 5 aprile, nella suggestiva cornice dell’Enterprise Hotel di Milano, la quinta edizione del Congresso “The bone Identity” organizzato da BoneHealth.
Con oltre 120 presenti, il congresso si è confermato appuntamento fisso per i bone specialist, che hanno potuto confrontarsi su questioni cruciali che riguardano le patologie osteo-metaboliche, le loro implicazioni cliniche e le innovazioni terapeutiche emergenti.
La giornata congressuale
L’organizzazione della giornata e il programma, ricco di temi attuali e innovativi, hanno permesso di consolidare la rete di competenze tra gli specialisti e offrire un contributo significativo per una gestione moderna e integrata delle patologie osteo-metaboliche, sottolineando l’esigenza di un approccio terapeutico avanzato, su misura e multidisciplinare al fine di migliorare il percorso di cura per specifiche condizioni, come l’osteoporosi post-menopausale.
Il programma congressuale ha visto l’alternarsi sul palco di 20 docenti coordinati dai responsabili scientifici, Gregorio Guabello (Ambulatorio di Endocrinologia, IRCCS Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio, Milano) e Matteo Longhi (SC Reumatologia, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano).
Il Congresso è stato aperto con la lettura di Andrea Palermo sul palopegteriparatide nella terapia all’ipoparatirodismo.
La prima sessione, moderata da Sabrina Corbetta e Critina Eller-Vainiker, è stata dedicata alla fisiopatologia del tessuto osseo. Giovanni Adami, Gregorio Guabello e Sara Cassibba hanno presentato relazioni su modeling e remodeling-based bone formation, PTH e PTH, e Citochine e ormoni target delle terapie anti-ospeoporosi.
La terapia anabolica nell’osteoporosi menopausale è stato argomento della seconda sessione, moderata da Matteo Longhi e Francesca Zucchi, e con le relazioni di Carmen Aresta, che ha confrontato l’utilizzo di Abaloparatide e Teriparatide nel trattamento di donne con osteoporosi; la relazione di Alberto Ghielmetti ha analizzato il Romosozumab, mentre la relazione conclusiva della sessione, di Ombretta Viapiana, ha approfondito la terapia combinata e sequenziale.
Monica Giordano e Gregorio Guabello hanno moderato la sessione dedicata alla deprivazione androgenica nel carcinoma prostatico e suoi correlati endocrino-metabolici, con un confronto interessante tra lo sguardo dell’oncologo e quello dell’endocrinologo, grazie alle relazioni di Marco Stellato e di Walter Vena.
Della fragilità ossea in specifici setting clinici, spesso meno conosciuti, si è discusso durante la quarta sessione, moderata da Alberto Falchetti e Gregorio Guabello. Luisella Cianferotti ha affrontato l’argomento dell’osteoporosi a basso turn-over; di osteosarcopenia ha invece parlato Matteo Longhi; a conclusione della sessione, l’intervento di Chiara Crotti su algodistrofia.
A conclusione della giornata, sono stati analizzati tre studi clinici:
- Frattura vertebrale “sospetta” in corso di terapia di consolidamento dopo Denosumab (a cura di Francesco Orsini)
- Frattura atipica di femore in corso di terapia anti-riassorbitiva (a cura di Claudia Cordini)
- Un caso particolare di osteoporosi gravidica (a cura di Flaminia Carrone)
Evento realizzato grazie al contributo non condizionante di:
CKD-MBD e fragilità scheletrica
CONTENUTO RISERVATO AGLI OPERATORI SANITARI
La CKD-MBD (Chronic Kidney Disease-Mineral and Bone Disorder) è un disordine sistemico del metabolismo minerale del paziente nefropatico cronico.
Leggendo “CKD-MBD e fragilità scheletrica” a cura di Gregorio Guabello potrai conoscere:
- Quali sono le linee guida che forniscono raccomandazioni per la diagnosi, la valutazione, la prevenzione e il trattamento dell’osteodistrofia renale (CKD-MBD);
- Quali sono i fattori di rischio da valutare;
- Quali sono le terapie più opportune dell’osteodistrofia renale nei suoi diversi stadi.
Resistenza agli estrogeni e fragilità ossea
Una rara variante missense del gene ESR1, responsabile della codifica del recettore degli estrogeni α (ERα), è stata identificata in una giovane donna affetta da resistenza agli estrogeni. Lo studio, condotto su un follow-up di 8 anni, offre nuove evidenze cliniche e biologiche sulla correlazione tra difetto recettoriale e grave osteoporosi, nonché alterazioni metaboliche sistemiche. L’analisi degli effetti di etinil-estradiolo e tamoxifene mette in luce i limiti attuali delle opzioni terapeutiche e suggerisce nuovi orizzonti nella comprensione delle vie estrogeno-dipendenti.
Profilo fenotipico e diagnosi molecolare
La paziente, una donna africana di 20 anni, si è presentata con amenorrea primaria, assenza di sviluppo mammario (Tanner B1) e statura molto elevata (+3 SD a 28 anni). L’età ossea risultava gravemente ritardata (13 anni). Le indagini ormonali hanno rivelato ipergonadotropinemia (FSH e LH elevati), iperestrogenemia paradossale e iperandrogenismo, compatibili con una sindrome di resistenza agli estrogeni.
Il sequenziamento del gene ESR1 ha individuato una nuova variante missense (p.M543T) localizzata nel dominio AF-2 del recettore, fondamentale per l’attività trascrizionale estrogeno-dipendente. Studi funzionali in vitro hanno dimostrato una drastica riduzione dell’attività trascrizionale dell’ERα, pur conservando una parziale funzione del dominio AF-1.
Osteoporosi grave e turnover osseo accelerato
Il dato più drammatico è emerso dalla valutazione della densità minerale ossea (BMD): Z-score di −3.9 a livello lombare già a 21 anni, con peggioramento progressivo fino a −5.6 nonostante trattamento. Il femore mostrava osteopenia (−1.8), poi evoluta in osteoporosi severa (−4.4). I marcatori di turnover osseo (ALP ossea, osteocalcina, deossipiridinolina) erano persistentemente elevati, suggerendo un bilancio osteo-remodeling fortemente sbilanciato verso il riassorbimento.
Insulino-resistenza e profilo metabolico alterato
Parallelamente, la paziente presentava un importante quadro di insulino-resistenza (HOMA-IR 11.5), adiposità addominale e iperleptinemia, con adiponectina ridotta. Tuttavia, la funzione epatica, il profilo lipidico e l’assetto cardiovascolare risultavano conservati, con assenza di aterosclerosi precoce.
L’assenza di alterazioni glicemiche rilevanti contrasta con casi precedenti in maschi, ma conferma il ruolo dell’ERα anche nella modulazione della sensibilità insulinica e dell’omeostasi energetica, come osservato nei modelli murini Esr1 knockout.
Prove terapeutiche: etinil-estradiolo e tamoxifene
La somministrazione per os di etinil-estradiolo (EE) ad alte dosi ha prodotto effetti parziali: miglioramento dell’indice di sensibilità insulinica, riduzione dei livelli di leptina e aumento di proteine epatiche estrogeno-dipendenti (SHBG, CBG). Tuttavia, non si è osservata alcuna risposta a livello osseo: la BMD è peggiorata e i marcatori di turnover osseo sono rimasti invariati. Né si sono avuti effetti sull’endometrio o sullo sviluppo mammario.
Successivamente, la paziente ha ricevuto tamoxifene (SERM), con l’obiettivo di stimolare selettivamente la via AF-1, parzialmente conservata. Anche in questo caso, tuttavia, non si sono riscontrati benefici né sul metabolismo osseo, né sull’apparato riproduttivo o il profilo metabolico.
Considerazioni fisiopatologiche
I risultati clinici suggeriscono che la variante p.M543T abolisce completamente l’attività del dominio AF-2, indispensabile per la trascrizione genomica mediata da ERα. La funzione residua del dominio AF-1 non è sufficiente a garantire l’omeostasi ossea, anche se potrebbe contribuire, assieme agli alti livelli androgenici, alla crescita staturale continua osservata nella paziente.
L’elevata leptinemia potrebbe giocare un ruolo modulante sul turnover osseo, attraverso vie neuroendocrine ancora non del tutto chiarite. L’assenza di effetti del trattamento con tamoxifene potrebbe derivare dalla prevalenza del difetto a livello AF-2, o da una dose insufficiente o durata troppo breve della terapia.
Questo caso clinico fornisce nuove evidenze del ruolo centrale del recettore ERα, e in particolare del dominio AF-2, nella salute scheletrica. La severa osteoporosi in giovane età, non responsiva al trattamento estrogenico, evidenzia l’urgenza di sviluppare strategie terapeutiche alternative, mirate su altri recettori o vie non genomiche (es. GPER).
La descrizione dettagliata di questo caso arricchisce la letteratura sulle patologie rare da resistenza agli estrogeni, sottolineando l’importanza del follow-up a lungo termine, e la necessità di esplorare opzioni terapeutiche basate su una migliore comprensione delle vie di segnalazione estrogeno-dipendenti.
Lo studio
Eva Feigerlova, Novel estrogen receptor-α gene inactivating missense variant in a woman: Therapeutic challenge and long-term follow-up data, Bone, Volume 194, 2025,
117427,ISSN 8756-3282,
Salute muscolo-scheletrica: il mondo si riunisce a Roma per il WCO-IOF-ESCEO 2025
L’edizione 2025 del WCO-IOF-ESCEO, co-organizzata dalla International Osteoporosis Foundation (IOF) e dalla European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis, Osteoarthritis and Musculoskeletal Diseases (ESCEO), si terrà a Roma dal 10 al 13 aprile presso il Rome Convention Center – La Nuvola.
Il congresso rappresenta uno dei principali appuntamenti mondiali dedicati alle patologie dell’apparato muscolo-scheletrico, con particolare attenzione a osteoporosi, osteoartrosi, sarcopenia, fragilità, dolore cronico e disturbi correlati all’invecchiamento.
Come ogni anno, si prevede un’elevata partecipazione da parte della comunità medico-scientifica internazionale, con oltre 4000 delegati attesi, provenienti da tutti i continenti.
Focus scientifico: dalla fisiopatologia alle terapie innovative
Il programma scientifico dell’evento, consultabile nella sua interezza sul sito ufficiale (www.wco-iof-esceo.org), è costruito attorno a un approccio integrato e multidisciplinare alle malattie muscolo-scheletriche, combinando le prospettive della ricerca di base, della clinica, dell’epidemiologia e della valutazione costo-efficacia degli interventi.
Tra i principali filoni tematici dell’edizione 2025:
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Nuove terapie osteoattive: dati clinici su farmaci anabolici e anti-riassorbitivi, incluse molecole di ultima generazione come romosozumab, abaloparatide e analoghi del PTH.
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Biomarcatori e diagnostica avanzata: imaging ad alta risoluzione, strumenti predittivi, tecnologie digitali e modelli di intelligenza artificiale applicati alla stratificazione del rischio.
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Sarcopenia e osteosarcopenia: aggiornamenti su definizione, criteri diagnostici, strumenti di screening e opzioni terapeutiche integrate.
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Trattamento della fragilità e della frattura da fragilità: gestione multidisciplinare, percorsi FLS (Fracture Liaison Services), prevenzione secondaria e long-term care.
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Comorbilità e medicina dell’invecchiamento: focus su pazienti complessi, polipatologici, e gestione del rischio nelle popolazioni geriatriche.
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Approcci nutrizionali e interventi non farmacologici: esercizio fisico, supporto dietetico, integrazione mirata e strategie comportamentali.
Una sezione specifica sarà dedicata alla valutazione clinico-economica delle strategie terapeutiche, con particolare attenzione all’impact modelling e alla sostenibilità dei percorsi di cura in ottica di sanità pubblica.
Un’occasione strategica per la comunità scientifica italiana
L’edizione romana del congresso costituisce un’occasione particolarmente significativa per il mondo accademico e clinico italiano. La presenza sul territorio nazionale faciliterà la partecipazione di numerosi specialisti in endocrinologia, geriatria, reumatologia, ortopedia, medicina interna e riabilitazione, promuovendo il dialogo tra le diverse discipline coinvolte nella gestione delle patologie muscolo-scheletriche.
Inoltre, il WCO-IOF-ESCEO rappresenta da sempre un importante volano per la presentazione di studi multicentrici, esperienze cliniche e trial nazionali, grazie anche a sessioni dedicate alle comunicazioni orali e ai poster scientifici.
BoneHealth.it seguirà i lavori del congresso
Il team editoriale di BoneHealth.it sarà presente a Roma per seguire da vicino i lavori congressuali, offrendo alla comunità dei lettori un aggiornamento puntuale e autorevole sui temi più rilevanti emersi durante l’evento.
Attraverso articoli e approfondimenti, daremo voce ai protagonisti italiani e internazionali del dibattito scientifico, con particolare attenzione alla ricaduta clinica delle nuove evidenze e all’evoluzione delle strategie terapeutiche.
Microbiota intestinale e osteoporosi postmenopausale: un nuovo asse patogenetico
L’osteoporosi postmenopausale è una delle condizioni più impattanti sulla salute femminile dopo la menopausa, caratterizzata da una progressiva perdita di massa ossea dovuta al calo estrogenico. Le implicazioni cliniche sono note: aumentato rischio di fratture, riduzione della qualità della vita e incremento della mortalità e dei costi sanitari. Ma la comprensione dei meccanismi alla base della PMOP resta ancora incompleta.
Lo studio cinese ha coinvolto 104 donne in postmenopausa, 45 con diagnosi di osteoporosi e 59 con massa ossea normale. Attraverso un’analisi integrata che ha combinato indicatori metabolici, funzionalità della barriera intestinale e sequenziamento del DNA fecale (16S rRNA), i ricercatori hanno delineato un quadro fisiopatologico sorprendentemente coerente, che mette in relazione alterazioni del microbiota intestinale con la patogenesi dell’osteoporosi.
Microbiota, dieta e metabolismo osseo: un triangolo patologico
Le pazienti affette da PMOP presentavano un’attività fisica inferiore, un’assunzione più elevata di grassi e una minore assunzione di calcio e proteine rispetto al gruppo di controllo. Dal punto di vista biochimico, mostravano livelli significativamente ridotti di vitamina D (25(OH)D), con contestuale incremento del paratormone (PTH) e del marker di riassorbimento osseo β-CTX. Tali parametri sono ben noti nella pratica clinica come indicatori di disequilibrio metabolico osseo.
Ma l’aspetto innovativo dello studio risiede nella correlazione di questi dati con la disbiosi intestinale. L’analisi del microbiota ha rivelato una ridotta diversità α (ACE, Shannon, Simpson) nelle donne con PMOP, e una chiara separazione delle composizioni batteriche (diversità β) rispetto al gruppo di controllo.
Intestino più permeabile, ossa più fragili
Uno degli aspetti più rilevanti emersi dallo studio è la compromissione della barriera intestinale nelle pazienti osteoporotiche. Rispetto alle donne con normale densità ossea, il gruppo PMOP mostrava livelli significativamente più alti di diamina ossidasi (DAO), acido D-lattico e lipopolisaccaridi (LPS) — tutti marker di alterata permeabilità intestinale.
Questa “leaky gut”, favorita anche dal deficit estrogenico, potrebbe favorire l’ingresso sistemico di endotossine batteriche, innescando una risposta infiammatoria cronica di basso grado in grado di influenzare negativamente il metabolismo osseo. Non è un caso che i livelli aumentati di LPS siano associati a un’accelerata attività osteoclastica e a una ridotta formazione ossea.
Roseburia e Bacteroides: nuove sentinelle per la salute dell’osso
L’approccio bioinformatico (modello random forest e curva ROC con AUC di 0,93) ha permesso di identificare alcuni generi batterici discriminanti tra i due gruppi. Tra questi, Roseburia, Bacteroides, Streptococcus e Dorea. In particolare, l’abbondanza di Roseburia ha mostrato una correlazione negativa con il T-score dell’anca, suggerendo che un’elevata presenza di questo genere potrebbe essere predittiva di una bassa densità ossea.
L’interpretazione di questo dato è complessa: Roseburia, generalmente considerato un produttore benefico di acidi grassi a catena corta (SCFA), potrebbe avere un ruolo differente in contesti estrogeno-carenti. La modulazione ormonale, infatti, influisce non solo sull’osso ma anche sulla composizione microbica intestinale.
Verso nuove strategie terapeutiche: prebiotici, probiotici e oltre
I dati dello studio supportano un’ipotesi già in fase di esplorazione in modelli animali: la manipolazione del microbiota intestinale potrebbe rappresentare un approccio terapeutico innovativo per la prevenzione e il trattamento della PMOP. Esperimenti su topi ovariectomizzati hanno mostrato che l’assunzione di Lactobacillus paracasei e L. plantarum è in grado di ridurre significativamente la perdita ossea e migliorare la densità minerale.
L’integrazione mirata con probiotici o simbiotici, l’utilizzo di prebiotici selettivi e la personalizzazione della dieta potrebbero diventare strumenti utili per influenzare positivamente l’asse intestino-osso, soprattutto in soggetti con fattori di rischio noti (sedentarietà, dieta iperlipidica, carenza di vitamina D).
Limiti dello studio e prospettive future
Pur essendo uno studio ben disegnato, il lavoro presenta alcuni limiti: la natura osservazionale e trasversale non consente di stabilire una causalità certa tra disbiosi intestinale e PMOP. Inoltre, le fluttuazioni stagionali della vitamina D e il numero relativamente limitato di pazienti suggeriscono la necessità di ulteriori conferme attraverso studi longitudinali e interventistici.
Tuttavia, il messaggio clinico è forte: la salute dell’osso non può più essere considerata un fatto esclusivamente ormonale o meccanico. L’intestino, con la sua popolazione microbica e la sua funzione barriera, è parte integrante dell’equilibrio osteo-metabolico.
Conclusioni
Lo studio di Zhu et al. rappresenta un’importante tappa nell’identificazione del microbiota intestinale come biomarcatore e possibile bersaglio terapeutico nella gestione dell’osteoporosi postmenopausale. Se confermato da ulteriori ricerche, questo asse intestino-osso potrebbe aprire la strada a strategie preventive non invasive, personalizzate e basate sulla modulazione del microbiota — in perfetta sintonia con i principi della medicina di precisione.
Lo studio
Zhu, C., Zhang, Y., Pan, Y., Zhang, Z., Liu, Y., Lin, X., … Nie, H. (2025). Clinical correlation between intestinal flora profiles and the incidence of postmenopausal osteoporosis. Gynecological Endocrinology, 41(1). https://doi-org.pros1.lib.unimi.it/10.1080/09513590.2025.2465587
Oltre la biomimesi, una nuova generazione di scaffold ceramici per la rigenerazione ossea
Una recente ricerca guidata da Shumin Pang presso la Technische Universität di Berlino ha messo a punto una strategia innovativa per la produzione di scaffold ceramici osteomimetici ad alta fedeltà. Utilizzando una combinazione di stampa 3D rotazionale e tecnica di replica a spugna, i ricercatori hanno ottenuto strutture che replicano sia la componente trabecolare che corticale dell’osso umano, incluse le caratteristiche canalicolari come i canali di Havers. Oltre alla somiglianza morfologica, gli scaffold in Cu-DIO/BCP mostrano resistenze meccaniche compatibili con quelle del tessuto osseo naturale e ottime proprietà osteogeniche e angiogeniche, candidandosi come soluzione per difetti ossei complessi e piattaforme in vitro per la ricerca farmacologica.
Un nuovo standard per gli scaffold biomimetici
Il trattamento dei difetti ossei di grandi dimensioni – derivanti da traumi, neoplasie o patologie degenerative – rappresenta ancora una sfida clinica rilevante. Mentre l’ingegneria tissutale ha fatto progressi significativi negli ultimi decenni, la riproduzione fedele della complessa gerarchia strutturale dell’osso umano in materiali biocompatibili e funzionali resta un obiettivo ambizioso. La recente pubblicazione di Pang et al. sull’International Journal of Extreme Manufacturing propone un sistema avanzato che supera i limiti delle attuali tecnologie: scaffold ceramici basati su una combinazione di rame-diopside (Cu-DIO) e fosfato di calcio bifasico (BCP), stampati con un approccio rotazionale integrato alla tecnica di replica a spugna.
Dalla replica trabecolare alla stampa rotazionale corticale
La chiave dell’innovazione sta nell’accoppiamento tra due tecniche complementari: la struttura trabecolare viene ottenuta impregnando spugne in poliuretano con slurry ceramici e successivamente sinterizzate, mentre la parte corticale viene costruita sovrapponendo filamenti cavi (che simulano gli osteoni) tramite una stampante 3D rotazionale. I filamenti sono estrusi attraverso un ugello quadrato che incorpora un canale centrale – analogo al canale di Havers – e possono essere disposti secondo angolazioni diverse (0°, 15°, 30°, 45°) rispetto all’asse centrale, influenzando così le proprietà meccaniche finali dello scaffold.
Una ceramica ingegnerizzata per forza e bioattività
Il materiale scelto – una miscela al 60% di Cu-DIO e 40% di BCP – è stato selezionato per l’equilibrio tra resistenza meccanica e biocompatibilità. La diopside dopata con rame fornisce robustezza, effetto antibatterico e capacità angiogeniche, mentre il BCP favorisce la degradabilità e l’osteointegrazione. Gli scaffold risultanti mostrano una porosità complessiva del 55% (con un picco del 76% nella zona trabecolare), un’ottima capacità di trasporto fluidico e resistenze a compressione che, nelle configurazioni a 15° e 30°, raggiungono rispettivamente 150 e 125 MPa in direzione assiale – valori comparabili a quelli dell’osso corticale umano.
Validazione in vitro: osteogenesi e angiogenesi dimostrate
L’attività biologica degli scaffold è stata valutata tramite colture cellulari con cellule mesenchimali umane (hBMSCs) e cellule endoteliali (HUVECs), sia in monocultura che in co-coltura. Le prove XTT hanno mostrato una vitalità cellulare significativamente più alta nei campioni trattati con estratti degli scaffold, soprattutto in co-coltura. Le analisi SEM e di microscopia a fluorescenza hanno evidenziato un’adesione e proliferazione efficace in entrambe le porzioni dello scaffold. A livello molecolare, le espressioni geniche e proteiche di BMP2, RUNX2 e VE-caderina sono risultate aumentate, confermando l’effetto osteo- e angioinduttivo della matrice ceramica.
Anche la differenziazione osteoblastica è stata confermata mediante test di attività ALP e mineralizzazione con Alizarina Red, mentre la potenzialità angiogenica è stata dimostrata con saggi di formazione tubulare su Matrigel, dove le HUVECs hanno formato strutture ramificate più complesse e dense rispetto al controllo.
Un passo verso la medicina personalizzata
Un aspetto cruciale dello studio è l’adattabilità del processo a geometrie irregolari. Utilizzando modelli anatomici derivati da difetti ossei femorali, i ricercatori hanno prodotto scaffold personalizzati perfettamente adattati alle sedi lesionali, mantenendo la doppia architettura ossea e le caratteristiche canalicolari. Questo apre alla possibilità di integrare la tecnologia in flussi clinici di stampa personalizzata, basata su imaging paziente-specifico.
Implicazioni cliniche e prospettive future
La capacità di replicare fedelmente l’architettura ossea e di garantire al contempo forza meccanica, permeabilità, osteoconduzione e angiogenesi rende questi scaffold un candidato promettente per affrontare la rigenerazione di difetti ossei critici. Ma non solo: la fedeltà strutturale, unita alla riproducibilità del processo, li rende adatti alla costruzione di modelli in vitro per lo studio di patologie ossee e il testing farmacologico.
In prospettiva, lo sviluppo di scaffold multifunzionali personalizzabili rappresenta un tassello essenziale per la medicina rigenerativa e la chirurgia ortopedica di nuova generazione. L’integrazione con canalicoli accessori (come i canali di Volkmann), la validazione in vivo e l’accoppiamento con biomolecole osteoinduttive potrebbero ulteriormente amplificare il potenziale di questa tecnologia.
Lo studio
Shumin Pang, Dongwei Wu*, Dorian A H Hanaor, Astrid Haibel, Jens Kurreck and Aleksander Gurlo, Osteomimetic bioceramic scaffolds with high-fidelity human-bone features produced by rotational printing, IMMT
, , Published 6 February 2025 • © 202