mercoledì, Giugno 18, 2025
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Il ruolo della vitamina D e del sole

La vitamina D è un elemento chiave per la salute delle ossa e svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo del calcio. Una sua carenza può compromettere la solidità dello scheletro e aumentare il rischio di osteoporosi.

Vitamina D: a che cosa serve

La vitamina D favorisce l’assorbimento intestinale del calcio e del fosforo, elementi fondamentali per la formazione e il mantenimento delle ossa. Partecipa anche alla regolazione del metabolismo osseo, aiutando a mantenere la densità minerale ossea. In sua assenza, anche una dieta ricca di calcio non è sufficiente per garantire ossa forti.

Come si assume

Il nostro organismo produce vitamina D quando la pelle è esposta alla luce solare, in particolare ai raggi ultravioletti di tipo B (UVB). Tuttavia, l’esposizione solare può essere insufficiente, soprattutto durante i mesi invernali o per chi trascorre molto tempo al chiuso. Per questo motivo, una parte della vitamina D deve essere assunta attraverso l’alimentazione.

Il sole e la vitamina D

Esporsi al sole per 15-30 minuti al giorno, evitando le ore più calde e proteggendo sempre la pelle, stimola la produzione naturale di vitamina D. Le aree più esposte (viso, braccia, gambe) sono quelle più efficaci per la sintesi. Tuttavia, le creme solari e l’età avanzata possono ridurre questa capacità.

Integrare con la dieta

Alimenti come pesce grasso (salmone, sgombro, sardine), tuorlo d’uovo, fegato e alcuni formaggi rappresentano le principali fonti alimentari di vitamina D.

Nei casi di carenza documentata, il medico può consigliare integratori specifici, sempre sotto controllo medico per evitare sovradosaggi.

Conclusioni pratiche

La vitamina D è essenziale per la salute dello scheletro e la prevenzione dell’osteoporosi. Una corretta esposizione al sole, un’alimentazione equilibrata e, se necessario, una supplementazione mirata rappresentano la strategia vincente per garantire ossa forti e prevenire fratture.

Piccoli segnali, grande attenzione

La fragilità ossea è un problema spesso sottovalutato, ma riconoscere in tempo i segnali che il corpo invia è fondamentale per prevenire le complicazioni e intervenire precocemente. Anche piccoli segnali possono indicare la necessità di un approfondimento.

I sintomi più comuni

L’osteoporosi, definita “ladra silenziosa”, spesso non dà sintomi finché non compaiono fratture. Tuttavia, ci sono piccoli segnali da non ignorare: dolori alla schiena persistenti, perdita di statura o postura curva. Questi sintomi possono indicare fratture vertebrali da compressione, frequenti nell’osteoporosi avanzata.

Quando preoccuparsi

La presenza di questi sintomi, soprattutto se associati a fattori di rischio come menopausa precoce, familiarità per fratture o uso prolungato di cortisonici, deve spingere a parlarne con il medico. Anche la comparsa di fratture apparentemente banali (ad esempio, dopo una caduta lieve) può essere un campanello d’allarme importante.

L’importanza dell’ascolto

Ascoltare il proprio corpo e non sottovalutare piccoli cambiamenti è la chiave per una diagnosi tempestiva. Anche un semplice dolore articolare o un senso di debolezza ossea possono meritare attenzione, soprattutto se persistenti o ricorrenti.

Diagnosticare precocemente

La densitometria ossea (MOC) è l’esame principale per valutare la densità minerale dello scheletro e individuare l’osteopenia o l’osteoporosi in fase precoce.

Il medico può inoltre valutare eventuali esami del sangue per capire se ci sono carenze nutrizionali (calcio, vitamina D) o segni di malattie metaboliche.

Proteggi la tua salute

Riconoscere i segnali, parlarne con il medico e seguire un percorso di prevenzione e diagnosi precoce permette di intervenire prima che si verifichino fratture. La salute delle ossa si costruisce giorno dopo giorno, con l’attenzione a questi piccoli segnali e la voglia di prendersi cura di sé.

Terapie spiegate in parole semplici

Le terapie per la salute delle ossa rappresentano un pilastro nella prevenzione e nel trattamento delle fratture e dell’osteoporosi. Conoscere le opzioni disponibili aiuta a sentirsi più sicuri e informati.

Perché le terapie sono importanti

L’osteoporosi e la fragilità ossea non vanno sottovalutate. Le terapie hanno l’obiettivo di ridurre il rischio di fratture, rallentare la perdita di massa ossea e, in alcuni casi, stimolare la formazione di nuovo tessuto osseo. È importante parlarne con il medico per capire quale sia la più adatta alla propria situazione.

Farmaci di base

I farmaci più utilizzati per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi comprendono i bisfosfonati, che rallentano il riassorbimento osseo, e il denosumab, un anticorpo monoclonale che agisce sul metabolismo dell’osso. Questi farmaci aiutano a mantenere la densità ossea e ridurre il rischio di fratture, soprattutto vertebrali e femorali.

Nuove opzioni terapeutiche

Negli ultimi anni, la ricerca ha portato allo sviluppo di farmaci innovativi come il romosozumab, un anticorpo monoclonale che stimola la formazione di nuovo tessuto osseo e contemporaneamente riduce il riassorbimento osseo. Anche i farmaci anabolizzanti, come la teriparatide e l’abaloparatide, hanno mostrato efficacia nel migliorare la densità minerale ossea e ridurre il rischio di fratture.

Parlane con il medico

La scelta della terapia dipende da vari fattori: l’età, la densità ossea misurata dalla MOC, la presenza di fratture pregresse e altri problemi di salute. Il medico potrà spiegare i benefici e i potenziali effetti collaterali dei farmaci, e valutare la necessità di integratori di calcio e vitamina D.

Un percorso personalizzato

Non esiste una terapia “giusta” valida per tutti: ogni persona è diversa e ha bisogni specifici. Seguire le indicazioni del medico, mantenere uno stile di vita sano e fare controlli regolari sono passi fondamentali per proteggere la salute delle ossa.

Conoscere le opzioni di cura, chiederne spiegazione e confrontarsi con uno specialista aiuta a vivere con maggiore consapevolezza e serenità.

Caso TCIRG, una nuova frontiera genetica per l’osteopetrosi dominante

Uno studio clinico e genetico recentemente pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism analizza per la prima volta tre soggetti affetti da osteopetrosi autosomica dominante (ADO) associata a una variante missenso del gene TCIRG1. Storicamente legato alla forma recessiva della malattia, il gene TCIRG1 si dimostra in questo contesto responsabile di fenotipi dominanti con una variabilità espressiva notevole, sia sul piano clinico sia radiologico e funzionale. L’analisi comparativa di tre membri di una stessa famiglia apre nuovi scenari di diagnosi, interpretazione fenotipica e implicazioni terapeutiche per una patologia ancora largamente misconosciuta.

Osteopetrosi autosomica dominante

L’osteopetrosi autosomica dominante (ADO), nota anche come malattia di Albers-Schönberg, è una rara condizione genetica caratterizzata da un difetto del riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti. Le ossa diventano paradossalmente dense ma fragili, predisponendo il soggetto a fratture, osteonecrosi, infezioni ossee e talvolta insufficienza midollare. Il gene principalmente coinvolto è da sempre considerato CLCN7, con mutazioni missenso che agiscono attraverso meccanismi dominanti negativi. Tuttavia, un nuovo studio condotto presso l’Indiana University School of Medicine e pubblicato nel 2024 ha identificato per la prima volta una variante missenso nel gene TCIRG1 come causa di ADO in età adulta.

Il gene TCIRG1 codifica per la subunità a3 della pompa protonica V-ATPasi, essenziale per l’attività di acidificazione degli osteoclasti. Mutazioni bialleliche in TCIRG1 sono ben note nel causare la forma recessiva (ARO) della malattia, spesso severa e a insorgenza infantile. L’osservazione in tre membri di una famiglia di una variante eterozigote c.1735G>A (p.Gly579Arg) ha permesso di ridefinire le potenzialità patogenetiche di questo gene anche in modalità dominante.

Tre volti della stessa mutazione

Il quadro clinico dei soggetti studiati mette in luce un’evidente eterogeneità di espressione. Il paziente II-1, maschio di 45 anni, ha manifestato numerose fratture atraumatiche, inclusi femore e metatarso, oltre a osteonecrosi della mandibola. La sorella, II-2, di 51 anni, ha avuto oltre 20 fratture nella vita, un andamento progressivamente invalidante e presenta attualmente una grave osteomielite della mandibola. In entrambi i soggetti sono stati rilevati livelli elevati dell’isoenzima cerebrale della creatinchinasi (CK-BB), anemia normocitica e densità ossea vertebrale estremamente aumentata (Z-score fino a +31).

Il terzo soggetto, III-1, figlio della paziente II-2, di 28 anni, ha invece un fenotipo quasi asintomatico: una singola frattura vertebrale in adolescenza, densitometria ossea moderatamente aumentata e funzione fisica normale. Non presentava anemia, alterazioni radiografiche significative né elevazione del CK-BB. Questa ampia variabilità intra-familiare ribadisce quanto già noto per le mutazioni in CLCN7, ma finora mai dimostrato nel contesto TCIRG1.

Radiologia e microarchitettura: tra iperostosi e normalità

La stratificazione fenotipica è stata ulteriormente approfondita mediante DXA, QCT e HR-pQCT. I due soggetti gravemente affetti mostravano aBMD e vBMD eccezionalmente elevati (es. 4,13 g/cm² alla colonna lombare e oltre 1000 mg/cm³ al QCT). Le immagini microarchitetturali evidenziavano un riempimento pressoché completo dello spazio midollare e un pattern sclerotico massivo, con rarefazione trabecolare e ridotta porosità corticale. Invece, il soggetto III-1 presentava immagini HR-pQCT del tutto nella norma, confermando l’assenza di compromissione osteoclastica significativa.

La funzione fisica come parametro clinico complementare

Le differenze si riflettono anche sulla capacità funzionale. Mentre II-1 e II-2 presentavano andatura lenta, scarsa resistenza al cammino e ridotta forza muscolare (valutata con chair stands test e dinamometria), III-1 risultava sostanzialmente nella norma in tutti i parametri. L’autovalutazione con PROMIS-PF confermava un impatto funzionale da moderato a severo nei soggetti più compromessi.

Analisi genetica: verso una nuova classificazione

L’identificazione della variante p.Gly579Arg in tutti e tre i soggetti, in assenza di alterazioni in CLCN7, rappresenta un cambio di paradigma. I test predittivi bioinformatici (PolyPhen-2, SIFT, SNAP2, FATHMM) hanno indicato un impatto potenzialmente deleterio sulla funzione proteica. Il residuo di arginina sostituisce una glicina in una posizione altamente conservata della subunità a3, alterando verosimilmente la struttura e l’attività della pompa protonica osteoclastica.

È interessante notare che la stessa variante è già stata riportata in soggetti con ARO a espressione attenuata, suggerendo che in determinati contesti possa esprimersi in modalità dominante. Questo studio documenta per la prima volta un pattern autosomico dominante associato a questa specifica mutazione.

Implicazioni cliniche e future prospettive

I dati raccolti spingono verso un aggiornamento delle strategie diagnostiche e classificative dell’osteopetrosi. TCIRG1 entra ufficialmente tra i geni da considerare anche in presenza di fenotipi dominanti, specie in casi non spiegati da CLCN7. Inoltre, l’ampia variabilità intra-familiare osservata impone una valutazione individualizzata del rischio clinico, che non può basarsi esclusivamente sul dato genetico.

Sul piano terapeutico, si aprono interrogativi interessanti: in che misura trattamenti antiresorptivi possono aggravare la condizione? La misurazione di biomarcatori come CK-BB potrà avere un valore prognostico? E ancora: l’approccio funzionale integrato – che combina imaging avanzato, test fisici e qualità di vita – potrebbe diventare standard nella valutazione e nel follow-up di questi pazienti?

Lo studio

Wade Jodeh, Amy J Katz, Marian Hart, Stuart J Warden, Paul Niziolek, Imranul Alam, Steven Ing, Lynda E Polgreen, Erik A Imel, Michael J Econs, Autosomal Dominant Osteopetrosis (ADO) Caused by a Missense Variant in the TCIRG1 GeneThe Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 109, Issue 7, July 2024, Pages 1726–1732.

Osteopatia diabetica, massa ossea ridotta interessa tra il 22 e il 37% dei giovani con diabete di tipo1

Sembrano forti, ma possono spezzarsi come vetro. Le ossa delle persone con diabete nascondono una fragilità insidiosa che troppo spesso passa inosservata fino al momento della frattura. Un rischio poco visibile che la SID ha voluto portare all’attenzione con una relazione di Panorama Diabete in corso a Riccione.

Il diabete non colpisce solo pancreas, cuore, reni e vasi sanguigni, ma tesse la sua rete di complicanze fino allo scheletro, tanto da aver portato alla definizione di ‘osteopatia diabetica’. Un dato allarmante e non sempre noto: la fragilità ossea non è tipica solo della popolazione anziana con diabete di tipo2 ma interessa anche i giovani adulti con diabete di tipo1.

Diabete di tipo1 – “Il diabete ‘mette il turbo’ a molte patologie dell’invecchiamento” sottolinea la Prof. Raffaella Buzzetti, Presidente SID “e la fragilità ossea è stata ormai rubricata come complicanza del diabete. I pazienti con diabete di tipo uno presentano un rischio 1,5 volte in più di fratture in generale, il rischio aumenta però più di quattro volte (RR 4.35) per le fratture di anca e quasi di due volte per quelle della caviglia (RR 1.97). La prevalenza rispetto ai gruppi di controllo senza diabete e del 24,4% versus il 6,1%, significativamente maggiore anche rispetto alle persone con diabete di tipo 2. Una massa ossea ridotta interessa tra il 22 e il 37% dei giovani con diabete di tipo1. È qui che un buon controllo della malattia e l’utilizzo della terapia infusionale possono agire da fattori protettivi”.

Diabete di tipo2 – Già nello studio prospettico Health, Ageing and  Body Composition Study [1] (condotto su uomini e donne di età compresa tra 70 e 79 anni) era stato rilevato un rischio di frattura superiore del 64% negli individui con diabete di tipo 2. E due ampie metanalisi hanno confermato il rischio sino a tre volte superiore [2]. Nelle donne in particolare, il rischio di fratture vertebrali aumenta di tre volte e mezza rispetto a chi non ha il diabete.

“I motivi sono diversi, si tratta di una osteopatia con basso turnover osseo anche quando la massa risulti normale. In particolare, si assiste ad una maggiore densità dell’osso trabecolare e ad una minore densità di quello corticale che risulta più poroso e con una microarchitettura peggiore. Il risultato sono ossa che hanno minore resistenza in caso di traumi” precisa il Prof. Nicola Napoli Membro del Consiglio Direttivo della SID. Contrastare questi fenomeni non è impossibile: vitamina D, calcio possono contribuire alla prevenzione della massa ossea”.

Ci viene in aiuto la diagnostica: la DXA (Densitometria Ossea a bassa dose) é considerata il gold standard per la diagnosi di osteopenia. Per le persone con diabete esiste l’indicazione alla DXA in quelli con diabete di tipo 1 con più di cinquant’anni o con meno di cinquant’anni in presenza di scarso controllo glicemico, con familiarità per fratture, durata di malattia di almeno 26 anni e celiachia.  La valutazione della massa ossea serve a definire anche la necessità di terapie ad hoc come quelle a base di bifosfonati o denosumab, le soglie di trattamento, stabilite dall’International Osteoporosis Foundation (IOF), sono una storia di fratture di vertebre o anche e un T-score <-2,0 [3].

Mentre l’insulina ha una relazione positiva con la massa ossea, la resistenza all’ormone ha un impatto negativo sia sulla massa che sulla qualità dell’osso. Inoltre, nelle persone con diabete di tipo due si assiste ad un aumento di AGEs (i prodotti della glicazione avanzata) che alterano le molecole di collagene che contribuiscono all’elasticità la forza e la resistenza delle ossa. In questo quadro anche l’obesità può avere un ruolo sia per il maggiore carico meccanico che per la produzione di citochine infiammatorie (IL-6 e TNFa) che provocano fragilità scheletrica: promuovono infatti il riassorbimento osseo stimolando l’attività delle cellule osteoclasti. Contribuiscono negativamente anche alcune complicanze del diabete, come le ipoglicemie, le neuropatie degli arti inferiori e la retinopatia diabetica che determinano instabilità posturale e rischio di cadute aumentato.

Ultima, ma da non sottovalutare, la perdita di massa muscolare, chiamata sarcopenia, che, se non corretta con un adeguato apporto proteico ed esercizi di resistenza, apre la strada alla fragilità, a cadute e fratture. Anche in questo caso le persone con diabete presentano uno svantaggio: il loro rischio di sviluppare sarcopenia è tre volte superiore rispetto ai controlli senza la malattia.

Fonti

[1] Strotmeyer ES et al – Nontraumatic fracture risk with diabetes mellitus and impaired fasting glucose in older white and black adults: the health, aging and body composition study. Arch Intern Med 165(14):1612-7,2005

[2] Janghorbani M, Van Dam RM, Willett WC, Hu FB. Systematic review of type 1 and type 2 diabetes mellitus and risk of fracture. Am J Epidemiol 166(5): 495-505, 2007

[3] Il diabete, vol. 33, n.4, dicembre 2021 – Napoli N, Leanza G, Diabete e osso: fratture, diagnostica e terapia DOI

Comunicato stampa 
SID Società Italiana di Diabetologia 

Terapia con TransCon® PTH negli adulti con ipoparatiroidismo

Ascendis Pharma A/S (Nasdaq: ASND) ha annunciato nuovi dati dello studio clinico di Fase 2 PaTH Forward, che confermano la risposta terapeutica ottenuta con TransCon PTH (palopegteriparatide) negli adulti affetti da ipoparatiroidismo. I risultati, relativi alla Settimana 214, sono stati presentati dal Dott. Andrea Palermo dell’Università Campus Bio-Medico di Roma durante il congresso congiunto ESPE & ESE 2025 (European Society for Paediatric Endocrinology e European Society of Endocrinology).

Lo studio PaTH Forward ha previsto una prima fase di 4 settimane, randomizzata, in doppio cieco e controllata con placebo, seguita da un’estensione in aperto fino alla Settimana 266. La funzione renale è stata monitorata tramite il tasso di filtrazione glomerulare stimato (eGFR), mentre i marker del turnover osseo – CTx (telopeptide C-terminale del collagene di tipo 1) e P1NP (propeptide N-terminale del procollagene di tipo 1) – e la densità minerale ossea (BMD), misurata con DXA, sono stati valutati dal basale fino alla Settimana 214. Le analisi di sicurezza hanno incluso la calciuria nelle 24 ore e gli eventi avversi emergenti dal trattamento (TEAE). Alla Settimana 214, il 95% dei pazienti originariamente arruolati (56 su 59) proseguiva il trattamento nella fase di estensione in aperto.

Principali risultati alla Settimana 214:

  • Il 98% dei pazienti presentava livelli normali di calcio sierico aggiustato per albumina.
  • Il 93% non necessitava più della terapia convenzionale (definita come assunzione di 600 mg/giorno di calcio o meno,  e nessuna vitamina D attiva).
  • I marker ossei CTx e P1NP, inizialmente bassi, sono aumentati fino alla Settimana 26, per poi stabilizzarsi su valori superiori ai livelli basali, mantenendosi stabili fino alla Settimana 214.
  • La densità minerale ossea si è mantenuta nei limiti normali per età e sesso, suggerendo una dinamica scheletrica equilibrata e in miglioramento.
  • Il 67,8% dei pazienti ha registrato un aumento dell’eGFR (≥5 mL/min/1,73 m²) rispetto al basale, con segni di miglioramento già a partire dalla Settimana 4.

Il trattamento con TransCon PTH è risultato generalmente ben tollerato, senza evidenza di nuovi segnali di sicurezza. Gli eventi avversi segnalati sono stati per lo più di entità lieve o moderata e nessun caso grave o interruzione del trattamento è stato attribuito al farmaco.

Confidiamo di poter rendere disponibile questo trattamento anche per i pazienti italiani, raggiungendo in breve tempo un accordo con AIFA. Questo terapia rappresenta un passo importante per migliorare la qualità della vita dei pazienti con ipoparatiroidismo in Italia. Siamo convinti che, grazie alla collaborazione con le autorità sanitarie italiane, i pazienti potranno ottenere un accesso rapido e sicuro a questa terapia innovativa“, ha chiarato Thomas Carlo Maria Topini, Direttore Generale di Ascendis Italia

F-53B e il rischio di osteoporosi nei figli maschi esposti in utero

Un nuovo studio condotto su modelli murini dimostra come l’esposizione materna al contaminante ambientale F-53B durante gravidanza e allattamento causi danni significativi alla crescita ossea dei figli maschi. Il meccanismo identificato coinvolge l’asse IGF-1/OPG/RANKL/CTSK, noto per regolare l’equilibrio tra formazione e riassorbimento osseo. I risultati pongono le basi per ripensare il ruolo dei contaminanti ambientali nello sviluppo di malattie come l’osteoporosi e la bassa statura nei bambini.

Un nuovo PFAS sotto accusa

Il F-53B, sostituto del perfluoroottano sulfonato (PFOS), appartiene alla famiglia delle sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS), largamente impiegate in campo industriale per le loro proprietà idrorepellenti e chimico-resistenti. Nonostante sia stato adottato come alternativa “più sicura”, recenti evidenze lo identificano come un composto altamente persistente e bioaccumulabile, capace di attraversare placenta e barriera ematoencefalica. Fino ad ora, però, il suo impatto sullo sviluppo osseo non era stato studiato.

Il disegno sperimentale

I ricercatori della Nanchang University hanno somministrato acqua contaminata con F-53B (a concentrazioni di 0,57 e 5,7 mg/L) a femmine di topo C57BL/6J durante gravidanza e allattamento. I nati maschi sono stati valutati al giorno postnatale 21 per misure antropometriche, parametri biochimici, imaging micro-CT e analisi molecolari.

Effetti evidenti sulla crescita

I topi maschi nati da madri esposte a F-53B presentavano riduzioni significative in peso corporeo, lunghezza corporea e lunghezza del femore. A ciò si aggiungeva una morfologia ossea alterata, caratterizzata da ridotta densità minerale ossea (BMD), diminuzione della trabecolatura e assottigliamento corticale. L’esame istologico ha confermato un assottigliamento della cartilagine di accrescimento, con proliferazione osteoclastica documentata tramite colorazione TRAP.

Un’alterazione dell’equilibrio metabolico osseo

Gli autori hanno osservato una disfunzione epatica nei nati maschi esposti, con aumento di ALT, AST e ALP e riduzione dei livelli sierici di IGF-1, ormone chiave per la crescita ossea longitudinale. Le concentrazioni di calcio e fosforo erano elevate, con un rapporto Ca/P ridotto, indicativo di aumentato turnover osseo.

Il ruolo dell’asse IGF-1/OPG/RANKL/CTSK

Il cuore del lavoro sta nell’identificazione del pathway molecolare alterato: la riduzione di IGF-1 porta a una diminuzione dell’espressione di osteoprotegerina (OPG) e a un incremento di RANKL e CTSK, favorendo la proliferazione e l’attività degli osteoclasti a scapito della formazione ossea. Questo squilibrio spinge il sistema verso una condizione simile all’osteoporosi infantile.

Implicazioni cliniche e ambientali

Questo studio apre scenari inediti sulla possibile correlazione tra esposizione ambientale prenatale e patologie ossee nei bambini, come bassa statura e osteoporosi precoce. Considerata l’alta prevalenza di F-53B rilevata nel sangue di donne incinte e neonati in Cina (oltre il 95%), l’allarme lanciato ha portata globale.

In particolare, i risultati suggeriscono che:

  • I maschi sono più vulnerabili all’effetto osteotossico del F-53B, forse per ragioni ormonali legate all’asse estrogenico;

  • L’identificazione dell’asse IGF-1/OPG/RANKL/CTSK come bersaglio del F-53B fornisce nuovi spunti per la diagnosi precoce e l’intervento terapeutico;

  • Le attuali soglie di sicurezza ambientale per il F-53B potrebbero essere da rivedere alla luce dei suoi effetti endocrini e ossei.

Il F-53B, spesso considerato un sostituto “sicuro” del PFOS, si rivela in realtà un potenziale agente tossico per lo sviluppo scheletrico. L’esposizione materna, anche a basse dosi, altera profondamente la crescita ossea nei figli maschi, suggerendo un rischio concreto per la salute pubblica. È urgente approfondire l’impatto del F-53B sull’uomo, in particolare nelle popolazioni pediatriche esposte in utero, e sviluppare strategie di monitoraggio e mitigazione.

Lo studio

Lihua Feng, Yuanyuan Lang, Yueying Feng, Xiaomin Tang, Qingqing Zhang, Hengyi Xu, Yang Liu, Maternal F-53B exposure during pregnancy and lactation affects bone growth and development in male offspring, Ecotoxicology and Environmental Safety,
Volume 279, 2024, 116501, ISSN 0147-6513.

La forza del movimento

L’attività fisica è uno dei pilastri fondamentali per la salute delle ossa e per la prevenzione delle fratture da fragilità. Muoversi in modo regolare e adeguato contribuisce non solo a rinforzare lo scheletro, ma anche a migliorare l’equilibrio e la coordinazione, riducendo il rischio di cadute.

Ossa e movimento: un legame essenziale

Le ossa rispondono agli stimoli meccanici generati dall’attività fisica, adattandosi e diventando più forti. È il principio della “osteogenesi meccanica”: i carichi moderati e ripetuti favoriscono la formazione di nuovo tessuto osseo, migliorando la densità e la resistenza dello scheletro.

Attività fisiche consigliate

Camminare a passo sostenuto, praticare ginnastica dolce, nuotare e fare esercizi di resistenza leggera sono tutte attività che aiutano a stimolare la salute delle ossa. Anche discipline come il tai chi e il pilates sono preziose perché combinano forza, equilibrio e consapevolezza corporea.

Equilibrio e prevenzione delle cadute

L’attività fisica regolare migliora l’equilibrio e la stabilità. Questo è particolarmente importante con l’avanzare dell’età, quando il rischio di cadute aumenta. Esercizi mirati, come quelli per il potenziamento dei muscoli delle gambe e per la mobilità delle anche, riducono la probabilità di incidenti domestici.

Muoversi in sicurezza

È importante scegliere esercizi adatti alla propria età e condizione fisica, preferendo attività che non comportino impatti eccessivi. Il consiglio di un fisioterapista o di un medico può aiutare a definire un programma personalizzato, evitando sovraccarichi e microtraumi che potrebbero danneggiare le articolazioni.

Vivere meglio, più a lungo

La forza del movimento si traduce in una migliore qualità della vita. Chi pratica attività fisica regolare si sente più energico, più autonomo e più sicuro nei propri movimenti. Anche il tono dell’umore e la salute cardiovascolare beneficiano dell’esercizio, creando un circolo virtuoso che sostiene il benessere generale.

In conclusione, non è mai troppo tardi per iniziare a muoversi. Anche piccole modifiche alle abitudini quotidiane – come una passeggiata in più o qualche esercizio di stretching – possono fare la differenza per la salute delle ossa e per la vitalità complessiva.

Miti e verità sull’osteoporosi

L’osteoporosi è una delle patologie più discusse e, purtroppo, anche circondata da numerosi falsi miti. Chiarezza e corretta informazione sono fondamentali per proteggere la salute delle ossa e affrontare la malattia senza paure ingiustificate.

I luoghi comuni più diffusi

Uno dei miti più radicati è che l’osteoporosi sia una condizione che riguarda solo le donne. In realtà, anche gli uomini possono esserne colpiti, soprattutto dopo i 65 anni.

Un altro falso mito è che la malattia colpisca solo in età avanzata: in realtà, la perdita di massa ossea può iniziare anche intorno ai 40 anni.

Le vere cause dell’osteoporosi

Spesso si tende a pensare che l’osteoporosi sia causata solo dalla carenza di calcio. In realtà, è una condizione multifattoriale: intervengono fattori genetici, ormonali e legati allo stile di vita.

L’alimentazione povera di calcio e vitamina D è un fattore di rischio importante, ma non l’unico. Anche la sedentarietà, il fumo, l’alcol e alcune terapie farmacologiche possono aumentare la perdita di massa ossea.

Prevenzione: che cosa funziona davvero

Molti credono che basti assumere integratori di calcio per “blindare” le ossa. Gli integratori sono utili solo in presenza di carenze documentate e sempre sotto controllo medico. Una dieta equilibrata, ricca di calcio e vitamina D, insieme a una regolare attività fisica, rappresentano la vera strategia di prevenzione. Anche la diagnosi precoce, attraverso la MOC, è fondamentale per individuare i segni iniziali della malattia.

Il ruolo del medico

Il medico resta la figura centrale per chiarire dubbi e paure. Parlare apertamente delle proprie abitudini e dei fattori di rischio permette di ricevere consigli personalizzati. È importante evitare il “fai da te”: solo lo specialista può indicare la terapia più adatta e le eventuali modifiche nello stile di vita.

Verità e buone pratiche

La verità è che l’osteoporosi si può prevenire e gestire, ma richiede impegno e attenzione. Alimentazione corretta, esercizio fisico regolare e controlli medici sono la chiave per ridurre il rischio di fratture e vivere una vita attiva e serena. Conoscere e smontare i falsi miti è il primo passo verso la salute delle ossa.