Le malattie genetiche a carico dell’osso, e in particolare quelle monogeniche, sono rare, ma complessivamente risultano molto rilevanti clinicamente, in quanto colpiscono circa 1 bambino su 5mila. Ciononostante, sono ancora poco conosciute e comprese. Quindi, è importante studiarle, per poterle diagnosticare e trattare e per conoscerne gli impatti. Inoltre, queste ricerche possono condurre ad avanzamenti scientifici di cui si potrebbe beneficiare anche in altre patologie ossee, ad esempio nel caso dell’osteoporosi. Il progetto GEMSTONE (GEnomics of MuscoSkeletal traits TranslatiOnal NEtwork) ha unito professionisti di diversi campi per tradurre le scoperte genetiche in applicazioni cliniche. Il gruppo 3 si è occupato di riassumere le displasie genetiche monogeniche ora conosciute e i metodi per identificarne di nuove e sviluppare nuove terapie.
Le displasie scheletriche
Attualmente conosciamo oltre 460 tipi di displasie scheletriche, che aumentano o diminuiscono la massa ossea. La maggior parte di queste patologie è monogenica: deriva da mutazioni nei geni che regolano la composizione e la funzione di proteine essenziali in:
- formazione del collagene;
- formazione degli osteoblasti;
- mineralizzazione ossea;
- riassorbimento dell’osso.
Le displasie scheletriche possono avere diversi effetti, da un rischio di frattura leggermente aumentato fino alla morte neonatale. Per alcuni tipi di questi disturbi ancora non conosciamo la causa, per cui la diagnosi è particolarmente complessa e i trattamenti potrebbero essere migliorati. Inoltre, sembra essere necessario modificare le nostre conoscenze su malattie più note.
La displasia scheletrica più conosciuta è l’osteogenesi imperfetta, caratterizzata da una bassa massa ossea che rende le ossa della persona deformi e più propense alle fratture, e da problemi extrascheletrici (lassità della pelle e delle articolazioni, sclere bluastre, problemi dentali e deficit uditivi). A causarla sono circa 20 diversi tipi di problemi genetici che alterano quantità o qualità del collagene di tipo I, ma i meccanismi che potrebbero influenzare questa proteina risultano essere più di quelli che conosciamo, per cui potrebbero essere necessarie revisioni della classificazione di questa malattia. Inoltre, alcune forme di osteogenesi imperfetta sono poco note e potrebbero essere confuse con osteoporosi primaria
Diagnosticare le displasie genetiche monogeniche: l’anamnesi
È importante prestare molta attenzione al fenotipo a causa dello spettro di patologie della massa ossea. La diagnosi clinica, infatti, restringe molto il campo. Quindi, un’anamnesi dettagliata è essenziale: in presenza di sospette malattie ossee rare, è bene soffermarsi su:
- crescita e sviluppo;
- salute dentale;
- sintomi a carico dello scheletro ed extrascheletrici;
- malattie e trattamenti precedenti;
- storia familiare delle patologie;
- storia delle fratture subite dal soggetto (con età alla frattura, meccanismo, tipo e sito della frattura, trattamento e tempo necessario per la guarigione);
- ridotta mobilità e altri fattori legati allo stile di vita.
È fondamentale anche effettuare visite mediche frequentemente, prestando attenzione a sintomi scheletrici ed extrascheletrici che potrebbero aiutare nella diagnosi di specifici tipi di malattie ossee (come i segni dell’osteogenesi imperfetta) o che potrebbero indicare la presenza di malattie secondarie (come sindrome di Cushing, disturbi tiroidei o malnutrizione).
Diagnosticare le displasie genetiche monogeniche: gli esami di laboratorio
A seconda del caso, gli esami di laboratorio dovrebbero includere analisi utili a indagare l’omeostasi calcio-fosforo ed escludere cause secondarie di osteoporosi. Possono essere utili analisi quali:
- emocromo;
- calcio;
- escrezione urinaria di calcio;
- fosfato;
- fosfatasi alcalina;
- vitamina D;
- prolattina;
- ferritina;
- glucosio;
- proteina C-reattiva;
- tasso di sedimentazione degli eritrociti;
- marker di turnover osseo;
- funzioni tiroidee;
- funzioni epatiche e renali;
- ormoni gonadici;
- test sierologici per la diagnosi di celiachia.
Sono di supporto anche i test di imaging (radiografie, tomografia computerizzata, risonanza magnetica, scintigrafia ossea con radionuclidi) e l’analisi della BMD con densitometria ossea, soprattutto se ripetuta nel tempo. In alcuni casi può essere utile una biopsia ossea transiliaca, ma occorre un istopatologo molto esperto di ossa per una diagnosi corretta.
In seguito a una biopsia ossea (o, dove non sia possibile, dei fibroblasti cutanei) è possibile effettuare:
- esami istologici;
- esami istomorfometrici;
- back-scattering electron imaging;
- microspettroscopia di Raman;
- tecniche di immunoistochimica;
- colture delle cellule mesenchimali e/o degli osteoblasti.
Diagnosticare le displasie genetiche monogeniche: le analisi genetiche
In alcuni casi è applicabile la tecnica di Sanger, altrimenti sono disponibili sempre più numerosi gene panel sequencing tool. Per interpretare correttamente i dati, i ricercatori consigliano di consultare le linee guida dell’ACMG (American College of Medical Genetics and Genomics). Il sequenziamento di tutto il genoma (WES) o di tutto l’esoma (WGS) consente di individuare nuove varianti, ma è necessario filtrarle; a questo scopo sono utili le indicazioni dell’ACMG e strumenti come SIFT e CADD. I dati potranno essere caricati su GeneMatcher. È possibile integrare le informazioni a partire dal Muscoskeletal Knowledge Portal e dall’IMPC.
Un altro metodo utile di indagine è quello dell’RNA-seq.
Diagnosticare le displasie genetiche monogeniche: le analisi in vitro e in vivo
Per ottenere buoni risultati è bene selezionare le giuste colture cellulari: la scelta deve essere individuata a seconda del singolo caso (variante genetica, modello di ereditarietà genetica, livelli di espressione genica, funzione della proteina associata). Tra i migliori modelli animali, i topi rappresentano il gold standard, ma sembra che i pesci zebra (Danio rerio) potrebbero rappresentare un’ottima alternativa. Secondo gli autori dello studio, sfruttare tecniche in vitro e in vivo contemporaneamente e in modo coordinato con altri ricercatori potrebbe accelerare la scoperta di nuovi trattamenti, applicabili non soltanto a displasie genetiche ma anche ad altre patologie più comuni.
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