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Screening dell’osteoporosi, opportunità mancata per pazienti con ESRD

Un gruppo di ricercatori dell’università della Florida ha effettuato uno studio per verificare se le pazienti con malattia renale allo stadio terminale (ESRD) in emodialisi (MH) vengano sottoposte a screenig per l’osteporosi.
Tale screening sarebbe importante in questa popolazione che è particolarmente esposta al rischio di sviluppare malattie ossee, in quanto i reni hanno un ruolo chiave nell’omeostasi del calcio. Inoltre, in questi casi, le opzioni terapeutiche sono limitate dal fatto che nei pazienti con ESRD i bisfosfonati sono controindicati. Un’azione preventiva sarebbe quindi utile, ma lo studio ha dimostrato che, purtroppo, meno del 20% delle donne con ERSD coinvolte nella sperimentazione veniva sottoposto a screening per l’osteoporosi.

Lo studio è partito dalla considerazione il vantaggio di sopravvivenza che le donne hanno sugli uomini nella popolazione generale è notevolmente diminuito nella popolazione con MH e identifica lo screening dell’osteoporosi come un’opportunità per migliorare le cure preventive per le donne con malattia renale allo stadio terminale trattata con emodialisi.

Metodi

Per verificare la diffusione dello screening per l’osteoporsi, i ricercatori hanno effettuato un sondaggio trasversale di pazienti adulti con ESRD sottoposti a MH in due centri di dialisi ambulatoriale presso l’Università della Florida. Le interviste sono state condotte utilizzando uno strumento di indagine che conteneva domande su informazioni demografiche, tipi di fornitori di assistenza sanitaria e una serie di misure preventive messe eventualmente in atto. Per determinare l’idoneità e il completamento dello screening per i tumori al seno e cervicali e per l’osteoporosi, i ricercatori hanno utilizzato le linee guida della US Task Force (Uspstf) degli Stati Uniti.

Risultati

Dei 132 pazienti che hanno partecipato a questo studio, 66 (50%) erano donne. L’età media delle donne era di 60 anni (intervallo = 22-84). La maggior parte (95,5%, n = 63) ha riferito di avere un fornitore di cure primarie (l’equivalente del nostro medico di base). Dei pazienti eleggibili, l’81,4% (35/43) ha riferito di essere aggiornato sullo screening del cancro al seno, il 75% (33/44) sullo screening del cancro cervicale e il 16,7% (4/24) sullo screening dell’osteoporosi. Avere un fornitore di cure primarie era associato a una tendenza verso una maggiore aderenza con le misure di cura preventiva.

Conclusioni

Lo studio identifica lo “screening dell’osteoporosi” come un’opportunità per migliorare l’assistenza preventiva delle donne con ESRD trattate con MH di mantenimento. In questa coorte, i tassi di screening dell’osteoporosi sono risultati inferiori al 20%: addirittura più bassi di quelli condotti sulla popolazione generale (cioè il 25%). È interessante notare, invece, che rispetto alla popolazione generale le donne coinvolte nello studio hanno riportato tassi più elevati di screening per tumori maligni della mammella e della cervice.

Al di là dell’indicazione che sono necessari ulteriori studi per meglio identificare quali siano gli strumenti più idonei per garantire a queste pazienti cure preventive appropriate e promuovere una maggiore aderenza alle stesse, quello che emerge chiaramente è la necessità di un approccio multidisciplinare, che coinvolga specialisti di aree differenti per la corretta gestione dei pazienti.

Bibliografia

Abstract TH-PO728 “Screening for Osteoporosis Represents a Missed Opportunity in Women with ESRD” (autori A.Kazory, S.Phem, S.Bozorgmehri, T.Ozrazgat-Baslanti, M.Sattari) presentato al Meeting annuale Kidney Week 2019 dell’American Society of Nephrology il 7 novembre 2019

 

 

Secukinumab fornisce sollievo nella spondiloartrite assiale

Lo studio clinico di fase III PREVENT– tuttora in corso – ha soddisfatto il suo endpoint primario di ASAS40 alla settimana 16, con il 42,2% dei pazienti con spondiloartrite assiale non radiografica (nr-axSpA, non-radiographic axial spondyloarthritis) trattati con secukinumab 150 mg che ha mostrato una riduzione clinicamente significativa della progressione della patologia rispetto a placebo (42,2% vs 29,2%: p <0,05) [1]. Sono stati inoltre dimostrati miglioramenti statisticamente significativi degli endpoint secondari, inclusi dolore, mobilità e qualità della vita correlata alla salute [1]. Lo studio ha dimostrato una risposta e un profilo di sicurezza coerenti con i precedenti studi clinici [1-7]. Non sono stati rilevati nuovi segnali di sicurezza [1].

“Lo studio PREVENT ha mostrato, nei pazienti trattati con secukinumab, esiti significativi già a partire dalla settimana 3 e che si protraggono fino a un anno“, ha dichiarato Atul Deodhar, MD, professore di medicina, direttore medico della Rheumatology Clinics presso la Oregon Health & Science University e autore responsabile dello studio clinico. “La spondiloartrite assiale non radiografica può presentare una sintomatologia debilitante e, se sarà formalizzata la domanda di approvazione, questa rappresenterebbe un’ulteriore opzione terapeutica rispetto ai trattamenti disponibili”.

“Questi dati rafforzano l’evidenza a favore di secukinumab come opzione terapeutica mirata all’intero spettro della malattia della axSpA“, ha affermato Eric Hughes, Global Development Unit Head, Immunology, Hepatology & Dermatology presso Novartis. “PREVENT – il più vasto studio clinico del suo genere mai condotto nella nr-axSpA – è una testimonianza del nostro impegno nel re-immaginare la medicina, al fine di migliorare gli esiti terapeutici dei pazienti”.

Novartis ha recentemente annunciato di aver presentato all’EMA – e di essere in procinto di presentare anche alla FDA – la domanda di approvazione per secukinumab nella nr-axSpA9. Questa sarebbe la quarta indicazione per secukinumab, un farmaco già supportato da dati di efficacia e sicurezza fino a cinque anni nella spondilite anchilosante, nella psoriasi e nell’artrite psoriasica [3-8].

La spondiloartrite assiale (axSpA)

Il termine spondiloartrite assiale (axSpA, axial spondyloarthritis) raggruppa uno spettro di malattie infiammatorie croniche caratterizzate da mal di schiena infiammatorio persistente [10]. La axSpA comprende la spondilite anchilosante, in cui il danno articolare è visibile alla radiografia, e la spondiloartrite assiale non radiografica (nr-axSpA, non-radiographic axial spondyloarthritis), in cui il danno articolare non è invece visibile alla radiografia [10]. Entrambe le componenti dello spettro della malattia presentano un carico sintomatico simile, che include dolore notturno, affaticamento, rigidità mattutina e disabilità funzionale [10]. Se non viene trattata, la axSpA può compromettere le normali attività quotidiane, causare una perdita di produttività sul lavoro e avere un impatto significativo sulla qualità della vita [10].

In Europa e US circa 1,7 milioni di pazienti soffrono di spondiloatrite assiale non radiografica [2].

La spondiloartrite assiale

Lo studio clinico PREVENT

Tuttora in corso, PREVENT è uno studio di fase III della durata di due anni, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo e dotato di una fase di estensione di due anni, condotto per studiare l’efficacia e la sicurezza di secukinumab nei pazienti con nr-axSpA attiva. Lo studio ha arruolato 555 pazienti adulti maschi e femmine con nr-axSpA attiva (con insorgenza prima dei 45 anni, con dolore spinale valutato come ≥40/100 su una scala analogica visiva [VAS, visual analog scale] e con un BASDAI (Bath Ankylosing Spondylitis Disease Activity Index) ≥4) che avevano assunto almeno due diversi farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) alla massima dose fino a 4 settimane prima dell’avvio dello studio. I pazienti potevano aver assunto in precedenza un inibitore del TNFα (non più di uno), per il quale avevano mostrato una risposta inadeguata. Dei 555 pazienti arruolati nello studio, 501 (90%) erano naïve ai farmaci biologici. I pazienti sono stati assegnati a uno dei tre bracci di trattamento: secukinumab 150 mg per via sottocutanea con dose di carico (induzione: 150 mg di secukinumab per via sottocutanea una volta alla settimana per 4 settimane, quindi mantenimento con 150 mg di secukinumab una volta al mese); secukinumab 150 mg senza dose di carico (150 mg di secukinumab per via sottocutanea una volta al mese) o placebo (induzione per via sottocutanea una volta alla settimana per 4 settimane, seguita da mantenimento con somministrazione una volta al mese) [1].
Gli endpoint primari sono la percentuale di pazienti che hanno ottenuto una risposta ASAS40 con secukinumab 150 mg alle settimane 16 e 52 nel braccio di pazienti naïve all’inibitore del TNFα. Gli endpoint secondari includono la variazione del BASDAI nel corso del tempo e la variazione del punteggio ASDAS-CRP (Ankylosing Spondylitis Disease Activity Score with CRP) [1].
La risposta ASAS40 si ottiene quando esiste una misura di miglioramento pari ad almeno il 40% e un miglioramento di almeno 10 unità su una scala da 0 a 100 in almeno tre dei seguenti domini: valutazione globale del paziente, valutazione del dolore, funzionalità (Bath Ankylosing Spondylitis Functional Index [BASFI]) e infiammazione (gravità e durata della rigidità mattutina). L’indice BASDAI valuta l’attività della malattia di un paziente su sei misure: affaticamento, dolore spinale, dolore/gonfiore articolare, entesite, durata della rigidità mattutina e sua gravità [11].

Bibliografia

1. Deodhar A, et al. Secukinumab 150 mg Significantly Improved Signs and Symptoms of Non-radiographic Axial Spondyloarthritis: Results from a Phase 3 Double-blind, Randomized, Placebo-controlled Study. Presented at ACR/ARP Annual Meeting – American College of Rheumatology; 8-13 November, 2019; Atlanta, Georgia, USA. Abstract number: L21.
2. DRG Epidemiology Database – Axial Spondyloarthritis: Disease Landscape & Forecast. August 2019. Last accessed: November 2019.
3. Data on file. CAIN457F2310 (MEASURE 2): 5 Year Report. Novartis Pharmaceuticals Corp; September 15, 2015.
4. Data on file. CAIN457F2310 and CAIN457F2305 Summary of 5 Year Clinical Safety in (Ankylosing Spondylitis). Novartis Pharmaceuticals Corp; May 2019.
5. Data on file. CAIN457F2310 (MEASURE 1 and 2): Pooled Safety Data. Novartis Pharmaceuticals Corp; July 23, 2018.
6. Data on file. Data Analysis Report: Study CAIN457A2302E1. Novartis Pharmaceuticals Corp; November 30, 2015.
7. Data on file. CAIN457F2312 (FUTURE 2): 5 Year- Interim Report. Novartis Pharmaceuticals Corp; May 2019.
8. Data on file. CAIN457F2312 Data Analysis Report. Novartis Pharmaceuticals Corp; November 2008.
9. Novartis. Novartis positive 52-week PREVENT data confirm Cosentyx® efficacy in addressing entire axSpA spectrum. October 2 2019. Last accessed: November 2019.
10. Strand V and Singh JA. Evaluation and Management of the Patient with Suspected Inflammatory Spine Disease. Mayo Clin Proc 2017; 92:555–564.
11. Mease PJ, et al. Characterization of patients with ankylosing spondylitis and nonradiographic axial spondyloarthritis in the US-based Corrona Registry. Arthritis Care Res (Hoboken). 2018;70(11):1661-1670.
12. Landewe R, et al. Clinical Tools to Assess and Monitor Spondyloarthritis. Curr Rheumatol Rep. 2015; 17(7): 47.

 

Disclaimer di Novartis

Il comunicato stampa diffuso da Novartis e sopra riportato contiene dichiarazioni a carattere previsionale, secondo quanto definito dal Private Securities Litigation Reform Act del 1995 degli Stati Uniti d’America. Le dichiarazioni a carattere previsionale sono caratterizzate da espressioni come “potenziale”, “può”, “sarà”, “si pianifica”, “si prevede”, “si attende”, “impegnato”, “sperimentale”, “pipeline”, “lancio” o termini simili o altre espressioni equivalenti, esplicite o implicite, riguardanti potenziali approvazioni, nuove indicazioni di prodotti sperimentali o approvati descritti nel comunicato oppure riguardanti potenziali futuri ricavi ottenuti da tali prodotti. Non si deve fare affidamento indebito su queste affermazioni. Queste affermazioni riguardanti il futuro riflettono le convinzioni dell’azienda e le aspettative attuali riguardo a eventi futuri e implicano incertezze e rischi noti e imprevisti significativi. Nell’eventualità che si verifichino uno o più di questi rischi e incertezze, o che gli impliciti presupposti si rivelino non corretti, i risultati ottenuti potrebbero variare rispetto a quelli qui descritti nelle dichiarazioni previsionali. Non può esservi alcuna garanzia che per i prodotti sperimentali o approvati descritti nel comunicato sarà inviata una richiesta o che siano approvati per la vendita o per nuove indicazioni in un qualsiasi mercato o in un momento specifico. Non vi è nemmeno alcuna certezza che in futuro tali prodotti saranno commercializzati con successo. In particolare, le aspettative dell’azienda in merito a tali prodotti potrebbero essere influenzate, fra l’altro, dalle incertezze inerenti alla ricerca e allo sviluppo inclusi i risultati di studi clinici e le ulteriori analisi di dati clinici esistenti; da azioni normative, ritardi o regolamenti governativi in generale; dalla nostra capacità di ottenere o mantenere la protezione di proprietà intellettuali; dalle preferenze di prescrizione di medici e pazienti; dalle tendenze globali in direzione di un contenimento dei costi a carico del sistema sanitario, tra cui pressioni su prezzi e rimborsi da parte del governo, dei pagatori e del pubblico generale; dalle condizioni generali economiche e del settore, inclusi gli effetti delle instabili condizioni economiche e finanziare di molti Paesi; da problemi di sicurezza, qualità o produzione o da altri rischi e fattori a cui si fa riferimento nel Modulo 20-F di Novartis AG aggiornato, depositato presso la SEC (Securities and Exchange Commission). Novartis fornisce queste informazioni, per mezzo del comunicato stampa, con validità alla data del 13 novembre 2019 e non si assume l’obbligo di aggiornare alcuna affermazione a carattere previsionale contenuta nel comunicato stampa anche a seguito di nuove informazioni, di eventi futuri o altro.

Posizione di Siot su nota 96 Aifa relativa alla prescrizione di vitamina D

La Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot)  ha realizzato una lettura ragionata e analitica della nota 96 di Aifa che regolamenta la prescrizione a carico del Sistema sanitario nazionale (Ssn), nella popolazione adulta (età > 18 anni), dei medicinali con indicazione “prevenzione e trattamento della carenza di vitamina D” (colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio, calcifediolo).

La Siot ne evidenzia alcuni aspetti positivi e le diverse aree grigie, nonchè la necessità di tempo per poterne valutare il reale impatto sulla pratica clinica.

Un tentativo di razionalizzare l’uso di vitamina D

“La Nota 96 – spiega il Professor Umberto Tarantino, Coordinatore della Commissione Osteoporosi della Siot e direttore Unità operativa complessa di Ortopedia e Traumatologia Fondazione Policlinico Tor Vergata – provvederà a regolamentare la prescrizione nella popolazione adulta (età > 18 anni) di colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio, calcifediolo con il chiaro obiettivo di contenere la spesa a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Questa posizione, comprensibile, deve essere letta, a nostro parere, non come un attacco alla terapia di supplementazione con vitamina D, di cui infatti viene ribadita e precisata l’utilità e l’efficacia, ma come un tentativo di razionalizzarne l’uso da parte dei medici”.

Tre categorie di pazienti per tre criteri di rimborsabilità

La Nota 96 delinea, per quanto riguarda la prescrizione della vitamina D, tre categorie di pazienti, caratterizzate dalla necessità o meno di provvedere a un preliminare esame della determinazione del livello di vitamina D prima di accedere al trattamento rimborsato da parte del Ssn.

“Per quanto riguarda la prima categoria di pazienti che vede l’identificazione di coorti di popolazioni – continua il Professor Tarantino – che riguardano principalmente le persone anziane istituzionalizzate, le donne in gravidanza o in allattamento e in generale le persone affette da osteoporosi e da patologie ossee non candidate a terapia remineralizzante, il riconoscimento di un automatismo della supplementazione di vitamina D è in pratica una conferma doverosa della sua efficacia e un ottimo segnale. Queste persone infatti sono tutte ad altissimo rischio di patologie da ipovitaminosi D e il razionale scientifico che suggerisce la loro inclusione è davvero robusto e stratificato nella letteratura scientifica. Per fare un esempio riferito anche solo alle prime due popolazioni, è noto che gli anziani istituzionalizzati hanno un problema molto severo di malattia ossea e che le donne in gravidanza o in allattamento possono avere problemi personali o addirittura trasmettere problemi al feto in seguito a frequenti fenomeni di ipovitaminosi D”.

Esiste poi una seconda “sottocategoria” di pazienti specificati nell’allegato della Nota 96 “affetti da: insufficienza renale (eGFR<30 mmol/L), urolitiasi, ipercalcemia, sarcoidosi, neoplasie metastatiche, linfomi” per cui viene garantita la supplementazione rimborsata della vitamina D, indipendentemente dalla valutazione del suo livello, ma la cui gestione della terapia viene demandata alla valutazione dello specialista.

La terza e ultima categoria si propone di chiarire le popolazioni che possono accedere alla terapia rimborsata, previa valutazione del livello di vitamina D, ne definisce il valore di 25-OHD <20ng/mL come soglia minima per accedere al trattamento e suggerisce gli schemi terapeutici da adottare.

“La soglia 25-OHD <20ng/mL è un indicatore di sicura ipovitaminosi D – chiarisce Giovanni Iolascon, professore di Medicina Fisica e Riabilitazione presso la Seconda Università di Napoli e membro della Commissione Osteoporosi Siot. – Quindi, dal nostro punto di vista è più che corretto che tutte le persone che hanno tali bassi valori di dosaggio ematico possano avere accesso alla terapia rimborsata. Va invece sottolineato come nel tentativo di rendere più appropriata e adeguata la prescrizione di vitamina D, la subordinazione dell’accesso alla terapia alla determinazione dei livelli sierici potrebbe potenzialmente, nel medio-lungo periodo, aprire il fronte di un incremento della spesa del Ssn per gli esami di laboratorio necessari a effettuare dosaggio della vitamina D. Per questo motivo riteniamo che sarà molto importante poter valutare nel tempo quale sarà il reale impatto clinico ed economico della Nota 96 anche in considerazione delle precedenti indicazioni fornite dalla Nota 79 che prevedono in pratica l’automatica associazione delle terapie per osteoporosi con supplementazione con vitamina D”.

Malattia parodontale e osteoporosi in pazienti trattati con acido zoledronico

È stato condotto uno studio clinico randomizzato per valutare se l’acido zoledronico combinato con il mantenimento della salute orale possa migliorare la malattia parodontale associata all’osteoporosi, riducendo altresì il rischio di perdita dei denti.

Il processo dinamico di rimodellamento osseo viene mantenuto attraverso un equilibrio controllato tra formazione ossea e riassorbimento osseo, ma in pazienti con osteoporosi il riassorbimento osseo avviene più velocemente della formazione ossea, portando a una maggiore fragilità ossea e a un aumentato rischio di fratture.

Nella malattia parodontale, il riassorbimento dell’osso alveolare è invece indotto da reazioni infiammatorie che si verificano in risposta a un’infezione localizzata causata da scarsa igiene orale.

Numerosi studi condotti in tutto il mondo hanno indicato una stretta associazione tra osteoporosi e malattia parodontale.

L’acido zoledronico è un bisfosfonato di terza generazione (BP); se somministrato una volta all’anno per via endovenosa ha un potente effetto antiriassorbimento. Uno studio multicentrico internazionale (HORIZON-PFT), ha dimostrato che la somministrazione di acido zoledronico per un periodo di tre anni ha ridotto il rischio di nuove fratture vertebrali del 70% e di fratture dell’anca del 41%. Analogamente, lo studio clinico ZONE (ZOledroNate treatment in Efficacy to osteoporosis) ha valutato gli effetti dell’acido zoledronico sul rischio di frattura in pazienti giapponesi: la somministrazione di due anni di questo farmaco ha ridotto l’incidenza di nuove fratture vertebrali del 66%.

Scopo

Per dimostrare l’effetto sinergico dell’uso di bifosfonati e di una corretta igiene orale, sono stati condotti studi clinici randomizzati su piccola scala (Effect of Alendronate on Periodontal Disease in Postmenopausal Women: A Randomized Placebo-Controlled Trial; Bisphosphonate Therapy Improves the Outcome of Conventional Periodontal Treatment: Results of a 12-Month, Randomized, Placebo-Controlled Study) che hanno confermato l’efficacia della combinazione delle due azioni nel miglioramento del disturbo infiammatorio, ma non nel miglioramento della malattia parodontale sintomatica che si manifesta clinicamente con gonfiore, sanguinamento, dolore e/o mobilità dei denti.

Inoltre, in pazienti con osteoporosi in terapia con bisfosfonati è dimostrato un aumento del rischio di osteonecrosi della mascella (ONJ) che aumenta considerevolmente in presenza di un dente con sintomi clinici di parodontite (Periodontal disease as a risk factor for bisphosphonate-related osteonecrosis of the jaw, Prevalence, initiating factor, and treatment outcome of medication-related osteonecrosis of the jaw—a 4-year prospective study). Se l’utilizzo di bisfosfonati in combinazione con una corrette gestione dell’igiene orale può migliorare la malattia parodontale sintomatiaca, è quindi anche probalible che il rischio di ONJ possa diminuire, così come il rischio di perdita di denti.

Scopo dello studio in oggetto era determinare se la somministrazione di acido zoledronico una volta all’anno in combinazione con un’adeguata gestione dell’igiene orale possa migliorare la malattia parodontale sintomatica e ridurre il rischio di perdita dei denti rispetto al placebo.

Metodi

I partecipanti erano quelli dello studio ZONE (ZOledroNate treatment in Efficacy to osteoporosis), nel quale tutti i pazienti hanno ricevuto cure professionali per per l’igiene orale e trattamenti dentali prima e durante la sperimentazione. Nessuno dei partecipanti presentava una malattia parodontale sintomatica al basale. I partecipanti hanno ricevuto acido zoledronico (5 mg; n = 333 [maschio 21, femmina 312]) o placebo (n = 332 [maschio 19, femmina 313]) una volta all’anno per due anni e la loro età era di 74,0 ± 5,3 (65- 88) e 74,3 ± 5,4 (65-87) anni, rispettivamente. Per analizzare gli eventi avversi sono stati inclusi tutti i casi. I test di significatività sono stati condotti utilizzando il test esatto di Fisher (P <0,05).

Risultati

L’incidenza di eventi avversi orali è stata significativamente più alta nel gruppo di controllo (67 casi, 20,2%) rispetto al gruppo di pazienti che hanno assunto acido zoledronico (47 casi, 14,1%; P = 0,04). La frequenza della malattia parodontale sintomatica osservata durante lo studio è stata significativamente più alta nel gruppo di controllo (40 casi, 12,0%) rispetto al gruppo trattato con acido zoledronico (18 casi, 5,4%; P = 0,002). La perdita dei denti è stata più frequente nel gruppo di controllo (36 casi, 10,8%) rispetto al gruppo dell’acido zoledronico (24 casi, 7,2%), sebbene la differenza non fosse significativa.

Conclusioni

I risultati dello studio dimostrano che l’acido zoledronico è stato più efficace del placebo nel prevenire la malattia parodontale sintomatica nei pazienti con osteoporosi che hanno mantenuto una buona igiene orale.

Questi risultati hanno anche mostrato che l’acido zoledronico potrebbe essere più efficace del placebo nel prevenire la perdita dei denti. Poiché l’acido zoledronico può prevenire la malattia parodontale sintomatica se combinato con una buona gestione dell’igiene orale, è possibile che le procedure eseguite in questo studio possano sopprimere lo sviluppo di ONJ.

Bibliografia

FGF23, ipofosfatemia e trattamenti emergenti

FGF23 è un importante regolatore ormonale dell’omeostasi del fosfato. Insieme al suo co-recettore Klotho, modula il riassorbimento del fosfato e sia l’1α-idrossilazione sia la 24-idrossilazione nei tubuli prossimali renali.

L’ipofosfatemia mediata da FGF23 più comune è l’ipofosfatemia legata all’X (XLH), causata da mutazioni del gene PHEX. Le forme di ipofosfatemia mediate da FGF23 sono caratterizzate da fosfaturia e da basse concentrazioni di calcitriolo e, a differenza del rachitismo alimentare, queste non possono essere curate con l’integrazione nutrizionale di vitamina D.

Le forme autosomiche dominanti e autosomiche recessive di ipofosfatemia mediata da FGF23 mostrano una patofisiologia simile, nonostante una varietà di diverse cause genetiche sottostanti.

Un eccesso di attività di FGF23 può essere associato anche a una serie di altre condizioni che causano ipofosfatemia, tra cui osteomalacia indotta da tumore, displasia fibrosa dell’osso e CSHS (Cutaneous Skeletal Hypphosphatemia Syndrome).

Per gestire le condizioni di ipfosfatemia è stata tradizionalmente utilizzata integrazione con fosfato e terapie basate su analoghi della vitamina D altamente attivi (per esempio calcitriolo, alfacalcidolo, paricalcitolo, eldecalcitolo). Recentemente, come terapia per il trattamento di disordini FGF23 mediati è stato introdotto l’anticorpo neutralizzante per FGF23 (burosumab).

 

Femmina di 14 anni con XLH (PHEX: c. [151C> T]; [=] p. [Gln51 *]) diagnosticata a 7 mesi di età. (A) Radiografia della mano sinistra e del polso alla diagnosi con alterazioni rachitiche del raggio distale e dell'ulna e dell'aspetto livido dell'osso. (B) Radiografia del ginocchio destro a 18 mesi mentre trattata con fosfato e calcitriolo. Vi sono sfilacciamenti e distorsioni alle metafisi e una coppettazione precoce notata al femore distale, nonché alla tibia e al perone prossimale. (C) A 14 anni, è stata gestita con fosfato e calcitriolo. Aveva bassa statura, ALP normale e lieve aumento della PTH. I sintomi includevano dolore alla caviglia persistente e andatura ondeggiante. C'era anche un inchino laterale sia del femore che della tibia con l'allargamento della placca prossimale di crescita tibiale. (D) Radiografia della mano sinistra all'età di 14 anni che mostra un allargamento del raggio prossimale e delle placche di crescita dell'ulna con evidenza di alterazioni rachitiche.
Femmina di 14 anni con XLH (PHEX: c. [151C> T]; [=] p. [Gln51 *]) diagnosticata a 7 mesi di età. (A) Radiografia della mano sinistra e del polso alla diagnosi con alterazioni rachitiche del raggio distale e dell’ulna e dell’aspetto livido dell’osso. (B) Radiografia del ginocchio destro a 18 mesi mentre trattata con fosfato e calcitriolo. Vi sono sfilacciamenti e distorsioni alle metafisi e una coppettazione precoce notata al femore distale, nonché alla tibia e al perone prossimale. (C) A 14 anni, è stata gestita con fosfato e calcitriolo. Aveva bassa statura, ALP normale e lieve aumento della PTH. I sintomi includevano dolore alla caviglia persistente e andatura ondeggiante. C’era anche un inchino laterale sia del femore che della tibia con l’allargamento della placca prossimale di crescita tibiale. (D) Radiografia della mano sinistra all’età di 14 anni che mostra un allargamento del raggio prossimale e delle placche di crescita dell’ulna con evidenza di alterazioni rachitiche.

Potenziale terapeutico di Burosumab, un anticorpo monoclonale umano neutralizzante anti-FGF23

La regolazione omeostatica dei livelli sierici di fosfato implica il coordinamento tra più sistemi di organi, con FGF23 e il suo co-recettore Klotho come fattori regolatori chiave. L’interruzione di questi percorsi provoca malattie sistemiche con conseguenze per tutta la vita che sono difficili da gestire, come esemplificato da XLH.

Dalla revisione degli studi è emerso che la terapia con anticorpi neutralizzanti anti-FGF23 come il burosumab è un trattamento sicuro ed efficace per l’ipofosfatemia legata all’X e può stabilizzare rapidamente i livelli sierici di fosfato e portare a miglioramenti nel rachitismo, nella guarigione scheletrica e nella funzione fisica.

I futuri studi di ricerca clinica e di base dovranno affrontare l’utilità di burosumab nel trattamento di altre condizioni associate alla disregolazione del fosfato, comprese altre forme autosomiche di rachitismo ipofosfatemico e condizioni come TIO, FD e CSHS.

Bibliografia

E Imel, A Biggin, A Schindeler, C Munns. FGF23, Hypophosphatemia, and Emerging Treatments [pubblicato online il 13 maggio 2019] JBMR Plus doi: 10.1002/jbm4.10190

 

Per saperne di più sull’asse FGF23-Klotho

Nuove acquisizioni dell’asse FGF23-Klotho

Tofacitinib, cautele d’uso per pazienti a rischio di sviluppare coaguli di sangue

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Il comitato di sicurezza dell’Ema (Prac) raccomanda di usare Xeljanz con cautela nei pazienti ad alto rischio di sviluppare coaguli di sangue, perché in questi soggetti può aumentare il rischio di sviluppare coaguli di sangue nei polmoni e nelle vene profonde.

Il trattamento di  mantenimento con dosi di 10 mg due volte al giorno non deve essere usato nei pazienti con colite ulcerosa ad alto rischio a meno che manchi la disponibilità di un trattamento alternativo adeguato.

Inoltre, il Prac raccomanda che i pazienti di età superiore ai 65 anni debbano essere trattati con Xeljanz solo quando non sia disponibile un trattamento alternativo.

Per approfondire

Comunicazione Ema su Xeljanz

 

Diagnosi e gestione della malattia di Paget negli adulti, linea guida

Utilizzando il metodo Grade (Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation) un Guideline Development Group (GDG) guidato dalla Paget’s Association (UK) ha sviluppato una linea guida clinica basata sull’evidenza per la diagnosi e la gestione della malattia ossea di Paget.

Radiografia pelvica di un paziente con malattia di Paget che colpisce il femore destro. La radiografia evidenzia aree alternate di osteolisi e osteosclerosi nei trocantere maggiore e minore e nel collo del femore; perdita di distinzione tra corteccia e midollo nel femore superiore; espansione ossea e deformità del femore interessato; e una pseudofrattura sul lato laterale del femore opposta al piccolo trocantere.

Per la stesura della linea guida è stata condotta una revisione sistematica dei test diagnostici e delle opzioni di trattamento farmacologico e non farmacologico, con l’obiettivo di affrontare diverse questioni chiave di rilevanza clinica.

Principali raccomandazioni per la diagnosi e la gestione della malattia di Paget

Le seguenti raccomandazioni sono state identificate come le più importanti:

  1. Per determinare in modo completo e accurato l’estensione della malattia metabolicamente attiva nei pazienti con morbo d Paget (PDB) sono consigliate, oltre a radiografie mirate, scansioni ossee con radionuclidi;
  2. Come test di screening biochimico di prima linea per determinare la presenza di PDB metabolicamente attivo è raccomandata la determinazione della fosfatasi alcalina totale sierica (ALP) in combinazione con test di funzionalità epatica;
  3. Per il trattamento del dolore osseo associato alla malattia di Paget sono raccomandati i bifosfonati. Tra questi è da preferire l’acido zoledronico, poiché è il bifosfonato che ha maggiori probabilità di dare una risposta favorevole al dolore;
  4. Il trattamento finalizzato al miglioramento dei sintomi è da preferire rispetto a un treat-to-target volto a normalizzare la ALP totale nel PDB;
  5. Per pazienti con PDB che sviluppano osteoartrosi e per i quali la terapia farmacologica è inadeguata, è raccomandata la sostituzione totale dell’anca o del ginocchio. Non ci sono informazioni sufficienti per raccomandare un tipo di approccio chirurgico rispetto a un altro.

La linea guida è stata approvata dalla European Calcified Tissues Society, dalla International Osteoporosis Foundation, dalla American Society of Bone and Mineral Research, dalla Bone Research Society (Regno Unito) e dalla British Geriatric Society.

Diagnosi e monitoraggio della malattia di Paget

Abbreviazioni:

  • ALP – fosfatasi alcalina totale,
  • BALP – fosfatasi alcalina ossea,
  • PINP – propeptide N-terminale del procollagene di tipo 1,
  • uNTX – telopeptide N-terminale reticolato urinario di collagene di tipo I

Gestione della malattia di Paget

Bibliografia

S Ralston, L Corral-Gudino, C Cooper, RFrancis, W Fraser, L  Gennari et al. Diagnosis and Management of Paget’s disease of Bone in Adults: A clinical guideline [pubblicato online il 25 febbraio 2019] J Bone Miner Res doi: 10.1002/jbmr.3657

Per saperne di più sulla malattia di Paget

Malattia di Paget e metabolismo osseo

Relazione tra trattamenti farmacologici per pazienti con osteoporosi e tassi di mortalità

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Le terapie farmacologiche, in particolare quella con bifosfonati, per la prevenzione delle fratture nei pazienti con osteoporosi sono associate a una riduzione dei tassi di mortalità?

Per rispondere a tale domanda, è stata condotta una metanalisi di 38 studi clinici randomizzati di trattamenti farmacologici (in particolare sono stati presi in considerazione trattamenti con bifosfonati) che avevano coinvolto 101.642 pazienti unici con osteoporosi.

I risultati della metanalisi hanno dimostrato che queste terapie non sono associate a una riduzione dei tassi di mortalità complessiva e suggeriscono che i trattamenti farmacologici per l’osteoporosi, inclusa la terapia con bifosfonati, dovrebbero essere raccomandati solo per la prevenzione delle fratture e non per ridurre ulteriormente la mortalità. Ciò contraddice quanto riportato da studi precedenti; ma se fosse vero che il trattamento con bifosfonati, e in particolare con zoledronato, ridurrebbe la mortalità complessiva e non solamente il rischio di fratture, queste terapie dovrebbero essere raccomandate per questo motivo, indipendentemente dal rischio di frattura del paziente.

Gli studi clinici inclusi nella matanalisi avevano queste caratteristiche:

  1. erano clinical trial randomizzati e controllati con placebo;
  2. si riferivano a trattamenti farmacologici con comprovata efficacia antifrattura;
  3. erano relativi a medicinali usati alla dose approvata per il trattamento dell’osteoporosi;
  4. avevano avuto una durata di 1 anno o più.

Associazione di tutti i trattamenti farmacologici, in particolare dei trattamenti con bifosfonati e zoledronato, con mortalità complessiva

Dei 38 studi clinici presi in considerazione e che hanno incluso 101.642 partecipanti unici, 38 sono stati inclusi nelle metanalisi di tutti i trattamenti farmacologici (4.5594 partecipanti randomizzati al placebo; 56.048 al trattamento); 21 studi clinici nelle metanalisi di trattamenti con bifosfonati (20.244 partecipanti randomizzati al placebo; 22.623 al trattamento); e 6 studi clinici nelle metanalisi di trattamenti con zoledronato (6.944 partecipanti randomizzati al placebo; 6.926 al trattamento).

Non è stata trovata alcuna associazione significativa tra tutti i trattamenti farmacologici per l’osteoporosi e il tasso di mortalità generale (rapporto di rischio [RR], 0,98; IC al 95%, 0,91-1,05; I2 = 0%). Gli studi clinici sul trattamento con bifosfonati (RR, 0,95; IC 95%, 0,86-1,04) non hanno mostrato alcuna associazione significativa con la mortalità generale. Inoltre, gli studi clinici sul trattamento con zoledronato (RR, 0,88; IC al 95%, 0,68-1,13) non hanno mostrato alcuna associazione con il tasso di mortalità globale; tuttavia, esistevano prove di eterogeneità dei risultati (I2 = 48,2%).

I risultati di questa metanalisi suggeriscono che il trattamento con bifosfonati potrebbe non essere associato a una riduzione dei tassi di mortalità globali oltre a una riduzione del rischio di fratture e dovrebbe essere raccomandato solo per ridurre il rischio di fratture. Per chiarire se la terapia con zoledronato riduce i tassi di mortalità sono invece necessari ulteriori approfondimenti

Bibliografia

Steven R. Cummings, Li-Yung Lui, Richard Eastell, et al. Association Between Drug Treatments for Patients With Osteoporosis and Overall Mortality Rates. A Meta-analysis. [pubblicato online 19 agosto 2019] JAMA Intern Med. doi:10.1001/jamainternmed.2019.2779

Vitamina D, da Aifa scheda per operatori sanitari

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A seguito della pubblicazione della Nota 96 con cui Aifa ha istituito i nuovi criteri regolatori per la prescrivibilità della vitamina D a carico del Ssn, l’Agenzia ha pubblicato una Scheda sulla vitamina D indirizzata agli operatori sanitari.

SCHEDA VITAMINA D

Il documento chiarisce quali sono le indicazioni dei farmaci contenenti vitamina D, quali sono le molecole più impiegate, quando è opportuno eseguire la misurazione dei livelli di vitamina D e quali i valori di 25(OH)D considerati normali, la sintesi delle evidenze scientifiche dei più recenti studi e le novità per il prescrittore,

Precisazioni relative alla Nota 96

Aifa precisa che la Nota 96 ha modificato le modalità di prescrivibilità a carico del SSN dei farmaci classificati in fascia A a base di colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio e calcifediolo per la prevenzione e il trattamento della carenza di vitamina D nella popolazione adulta (>18 anni) e che restano confermate le condizioni di rimborsabilità a carico del SSN di tali farmaci per i pazienti pediatrici, in attesa di un analogo processo di rivalutazione.

In virtù del principio della semplificazione, l’Agenzia ha stabilito di emanare un unico provvedimento di carattere generale (Determinazione 1533/2019) senza rilevare la necessità di procedere con ulteriori provvedimenti di riclassificazione, ritenendo che non si tratterebbe di una vera e propria riclassificazione dei farmaci, in quanto le limitazioni introdotte attraverso la nota si riferiscono esclusivamente alla prevenzione e al trattamento della carenza di Vitamina D nella popolazione adulta.

Aifa precisa inoltre che è in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale un’integrazione alla Determinazione n. 1533/2019, prevista per la data del 4 novembre 2019, attraverso cui verrà più esplicitamente indicato che i farmaci in classe A a base dei principi attivi colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio e calcifediolo nella formulazione in capsule, richiamati all’allegato 1 della citata determinazione, per la prevenzione e il trattamento della carenza di Vitamina D, sono prescrivibili a carico del Ssn secondo le limitazioni previste dalla Nota nella popolazione adulta “età > 18 anni” (classe A – Nota 96), con conferma delle modalità prescrittive a carico del Servizio Sanitario Nazionale per la popolazione pediatrica, cui non si applica la Nota.

Viene, infine, superata la criticità rilevata in merito alla mancata corrispondenza tra le indicazioni terapeutiche previste dalla Nota 96 e quelle dei farmaci coinvolti, chiarendo che le limitazioni previste si riferiscono alla prevenzione e al trattamento della carenza di vitamina D, prescindendo, quindi, dall’indicazione terapeutica puntuale riportata nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto.

Tale integrazione chiarisce espressamente la modifica della prescrivibilità a carico del Ssn, tramite Nota 96, con parziale valenza di riclassificazione dei suddetti farmaci limitatamente alla popolazione adulta nella prevenzione e nel trattamento della carenza di vitamina D, e avrà efficacia a partire dal giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale.

Vitamina D, nuovi criteri regolatori Aifa per la prescrivibilità a carico del Ssn

Burosumab in regime di rimborsabilità per il trattamento dell’ipofosfatemia X-linked nei bambini

Con Determina n. 1283/2019 del 27 agosto 2019 “Regime di rimborsabilità e prezzo del medicinale per uso umano Crysvita”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 5 settembre scorso (GU n.208 del 5-9-2019), l’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato l’impiego, in regime di rimborsabilità (classe H) dell’anticorpo monoclonale ricombinante umano burosumab (Crysvita® – titolare A.I.C.: Kyowa Kirin Holdings B.V. – Paesi Bassi).

La specialità medicinale è indicata per il trattamento dell’ipofosfatemia X-linked (XLH) con evidenza radiografica di malattia ossea, nei bambini di età pari o superiore a un anno e negli adolescenti con sistema scheletrico in crescita.

A burosumab è attribuito il requisito dell’innovazione terapeutica condizionata da cui consegue unicamente l’inserimento nei prontuari terapeutici regionali nei termini previsti dalla normativa vigente (art. 10, comma 2, decreto-legge n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012).

Ai fini delle prescrizioni a carico del Ssn, burosumab i centri utilizzatori specificatamente individuati dalle regioni, dovranno compilare la scheda raccolta dati informatizzata di arruolamento che indica i pazienti eleggibili e la scheda di follow-up, applicando le condizioni negoziali secondo le indicazioni pubblicate sul sito dell’agenzia.

Ai fini della fornitura, la classificazione di burosumab è quella di medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti – centri di riferimento autorizzati alla diagnosi e al trattamento dell’ipofosfatemia X-linked (XLH) individuati dalle regioni e province autonome (RRL).

Ipofosfatemia X-linked (XLH)

L’ipofosfatemia legata all’X è la forma più comune di rachitismo genetico ed è caratterizzata da basse concentrazioni circolanti di fosforo che compromettono la mineralizzazione scheletrica e provocano rachitismo nei bambini in crescita e osteomalacia negli adulti.

L’ipofosfatemia legata all’X è causata da mutazioni del PHEX (omologo endopeptidasi regolante il fosfato, legato all’X), che codifica per l’endopeptidasi transmembrana. Sebbene il meccanismo sia incerto, la perdita di PHEX comporta un aumento delle concentrazioni plasmatiche del fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23), il membro meglio caratterizzato di una famiglia di ormoni che regolano il fosfato chiamati fosfatonine. L’eccesso di FGF23 determina la maggior parte delle caratteristiche biochimiche e sistemiche dell’ipofosfatemia legata all’X, sebbene altri fattori contribuiscano alla fisiopatologia generale [1].

Burosumab vs terapia convenzionale

La terapia tradizionale per la XLH è basata sull’assunzione di calcitriolo (un metabolita attivo della vitamina D) associato a sali di fosfato inorganico e corregge solo alcune delle alterazioni biochimiche della malattia, senza modificare i meccanismi patogenetici sottostanti, come gli elevati livelli di FGF23, e senza poter intervenire nei processi difettosi di mineralizzazione ossea. Tali terapie richiedono più dosi suddivise nell’arco della giornata e il monitoraggio dei potenziali rischi quali nefrocalcinosi, ipercalciuria e iperparatiroidismo.

Burosumab è un anticorpo monoclonale ricombinante umano progettato per dirigersi specificamente contro il fattore di crescita fibroblastico 23, e nei pazienti con XLH ha dimostrato di poter significativamente ridurre la deformità degli arti inferiori e la gravità generale del rachitismo, oltre a indurre miglioramenti nella funzionalità fisica (ad esempio nella capacità di deambulazione).

Uno studio di fase 3 recentemente pubblicato ha evidenziato miglioramenti clinici significativamente maggiori nella gravità, nella crescita e nei biochimici del rachitismo nei bambini con ipofosfatemia legata all’X trattati con burosumab rispetto a quelli che continuano la terapia convenzionale.

Nello studio Burosumab versus conventional therapy in children with X-linked hypophosphataemia: a randomised, active-controlled, open-label, phase 3 trial [2] sono state confrontate l’efficacia e la sicurezza della terapia convenzionale continua, costituita da fosfato orale e vitamina D attiva, rispetto al passaggio all’anticorpo monoclonale completamente umano contro FGF23 burosumab, nell’ipofosfatemia pediatrica legata all’X.

Nello studio di fase 3 randomizzato, active-controlled, open-label, condotto in 16 siti clinici, sono stati arruolati bambini con ipofosfatemia legata all’X di età compresa tra 1 e 12 anni. I pazienti eleggibili secondo i criteri stabiliti sono stati assegnati in modo casuale (1:1) a ricevere burosumab per via sottocutanea a partire da 0,8 mg/kg ogni 2 settimane (gruppo burosumab) o terapia convenzionale prescritta dai ricercatori (gruppo di terapia convenzionale). Entrambi gli interventi sono durati 64 settimane. L’endpoint primario era la variazione della gravità del rachitismo alla settimana 40, valutata dal punteggio globale Radiographic Global Impression of Change. Tutti i pazienti che hanno ricevuto almeno una dose di trattamento sono stati inclusi nelle analisi primarie e di sicurezza. The trial is registered with ClinicalTrials.gov, number NCT02915705.

Dei 122 pazienti valutati, 61 sono stati arruolati. Di questi, 32 (18 ragazze, 14 ragazzi) sono stati assegnati in modo casuale a continuare a ricevere la terapia convenzionale e 29 (16 ragazze, 13 ragazzi) a ricevere il burosumab. Per l’endpoint primario alla settimana 40, i pazienti nel gruppo burosumab avevano un miglioramento significativamente maggiore nel punteggio globale Radiographic Global Impression of Change rispetto ai pazienti nel gruppo di terapia convenzionale. Eventi avversi considerati potenzialmente, probabilmente o sicuramente correlati al trattamento si sono verificati più frequentemente con burosumab (17 su 29 pazienti – 59%- nel gruppo burosumab contro sette su 32 pazienti – 22% –  nel gruppo di terapia convenzionale). Tre eventi avversi gravi si sono verificati in ciascun gruppo, tutti considerati non correlati al trattamento e risolti.

[1] Gordon R, Levine M. Burosumab treatment of children with X-linked hypophosphataemic rickets [pubblicato online 16 maggio 2019]. Lancet. Doi 10.1016/S0140-6736(19)31054-2

[2] Imel E, Glorieux F, Whyte M, et al. Burosumab versus conventional therapy in children with X-linked hypophosphataemia: a randomised, active-controlled, open-label, phase 3 trial [published online May 16, 2019]. Lancet. doi: 10.1016/S0140-6736(19)30654-3