venerdì, Luglio 4, 2025
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V Congresso BoneHealth – The Bone Identity: nuove frontiere per la salute ossea

Il 5 aprile 2025, presso l’Enterprise Hotel di Corso Sempione 91 a Milano, si terrà il “V Congresso BoneHealth – The Bone Identity”, un evento di approfondimento dedicato agli specialisti impegnati nella gestione delle patologie che colpiscono il metabolismo osseo. L’appuntamento rappresenta un’importante occasione di aggiornamento scientifico su temi avanzati di salute ossea, pensato per endocrinologi, reumatologi, oncologi e altri professionisti della sanità che quotidianamente affrontano le sfide complesse legate a queste patologie.

Il programma: dalle patologie emergenti alle terapie in arrivo

Durante il congresso saranno trattate questioni cruciali che riguardano le patologie osteo-metaboliche, le loro implicazioni cliniche e le innovazioni terapeutiche emergenti. In primo piano ci sarà il danno endocrino-metabolico associato al trattamento del tumore alla prostata: la deprivazione androgenica in questi pazienti, infatti, aumenta il rischio di compromissione della salute ossea, rendendo sempre più necessaria una collaborazione tra oncologi e specialisti delle ossa per mitigare gli effetti collaterali sia osteo-metabolici che cardiovascolari e andrologici.

In parallelo, il congresso approfondirà le forme più complesse e spesso meno conosciute di patologie osteometaboliche, come l’osteosarcopenia, l’osteoporosi a basso turnover e l’algodistrofia. Queste condizioni richiedono strategie di gestione mirate, che richiedono un’attenzione crescente nella pratica clinica per ridurre il rischio di fratture e migliorare la qualità della vita dei pazienti con fragilità ossea.

Un altro punto focale sarà rappresentato dalla terapia anabolica, un settore che si arricchisce di nuove possibilità terapeutiche. Tra le novità in questo ambito, l’Italia si prepara ad accogliere abaloparatide destinato al trattamento dell’osteoporosi post-menopausale ad alto rischio di frattura. Si discuterà inoltre di romosozumab, farmaco già disponibile, che ha aperto nuovi scenari nella terapia osteoattiva, e della prossima introduzione del palopegteriparatide, un trattamento ormonale sostitutivo pensato per i pazienti con ipoparatiroidismo cronico.

Condivisione di sapere per un approccio multidisciplinare a beneficio del paziente

Il razionale dell’evento si fonda sulla crescente esigenza di un approccio terapeutico avanzato e su misura per condizioni come l’osteoporosi post-menopausale. Le nuove terapie, che offrono maggiore efficacia nella ricostruzione ossea, richiedono agli specialisti una conoscenza approfondita per essere applicate correttamente e massimizzare i benefici per il paziente. Il congresso vuole quindi favorire la condivisione di esperienze e conoscenze su queste nuove opzioni terapeutiche, promuovendo un approccio multidisciplinare che migliori il percorso di cura.

Il V Congresso Bone Health – “The Bone Identity” sarà guidato da due figure di spicco: il Dott. Gregorio Guabello, specialista in endocrinologia presso l’Ambulatorio di Endocrinologia dell’IRCCS Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano, e il Dott. Matteo Longhi, specialista in reumatologia presso l’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano. La loro supervisione garantirà una giornata di alto livello scientifico, pensata per offrire ai partecipanti gli strumenti e le conoscenze necessarie ad affrontare le nuove sfide cliniche della salute ossea.

Con un programma ricco di temi attuali e innovativi, il congresso mira a consolidare la rete di competenze tra gli specialisti e a offrire un contributo significativo per una gestione moderna e integrata delle patologie osteo-metaboliche. L’appuntamento è un’opportunità di aggiornamento che gli operatori sanitari del settore non possono mancare.

 

Per maggiori informazioni e iscrizioni: https://congresso.bonehealth.it/

Consumo di farmaci per il trattamento dell’osteoporosi

Secondo i dati pubblicati a novembre 2024 dall’ Agenzia Italiana del Farmaco sull’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali. L’uso dei farmaci in Italia, nel 2023 si è osservata una netta inversione di tendenza nel consumo dei farmaci per l’osteoporosi, comprendenti vitamina D e suoi metaboliti.

Per la prima volta dopo anni di costante crescita, le dosi erogate sono diminuite dell’11,9%, portandosi a 140,7 DDD (Defined Daily Dose) per 1000 abitanti al giorno.

In parallelo, la spesa complessiva si è ridotta del 2,9%, attestandosi a poco meno di 540 milioni di euro, pari a una spesa pro capite di 9,11 euro. Questa diminuzione è da attribuire principalmente al calo nella prescrizione di vitamina D e dei suoi analoghi per il trattamento dell’osteoporosi.

L’impatto dell’uso off-label di vitamina D e analoghi

Nonostante la contrazione di circa il 15% della spesa e della DDD, vitamina D e suoi analoghi rimangono i farmaci più prescritti, coprendo circa il 45% e l’87% dell’intera categoria. Questi dati confermano l’utilizzo di colecalciferolo e metaboliti per indicazioni extra-scheletriche, per le quali gli studi clinici randomizzati (RCT) non hanno sempre fornito evidenze di efficacia. Tra il 2014 e il 2023, infatti, i consumi di vitamina D hanno registrato un aumento medio annuale del 5,3%, suggerendo un utilizzo talvolta non allineato alle evidenze scientifiche disponibili.

La crescita delle terapie monoclonali e dei bifosfonati

Mentre l’utilizzo della vitamina D diminuisce, gli anticorpi monoclonali (denosumab, burosumab e romosozumab), stanno guadagnando terreno. Nel 2023, il romosozumab, somministrato mensilmente per via sottocutanea, ha registrato un aumento superiore al 100%, divenendo uno dei farmaci più costosi della categoria, con un costo medio per DDD di 14,01 euro. Anche i bifosfonati e il teriparatide mostrano una crescita nei consumi del 5,5% e del 15,7% rispettivamente, a conferma di un orientamento verso terapie più mirate e innovative.

Disparità di genere e d’età nell’uso dei farmaci per l’osteoporosi

La prevalenza d’uso dei farmaci per l’osteoporosi rimane significativamente più elevata tra le donne rispetto agli uomini, con un picco tra gli over 75, dove circa il 50% delle donne riceve una terapia contro il 20% degli uomini. La mediana dell’età degli utilizzatori di questi farmaci è di 69 anni, con un range che va dai 67 anni per i modulatori selettivi del recettore degli estrogeni ai 74 anni per i bifosfonati e denosumab. La differenza di genere è particolarmente rilevante, con una prevalenza d’uso di circa 3,5 volte maggiore nelle donne (18% contro 5% negli uomini).

Differenze geografiche nel consumo e nella spesa

A livello territoriale, il Nord Italia presenta un consumo medio giornaliero di 152,4 DDD/1000 abitanti, simile a quello del Sud e delle Isole (141,9 DDD) e superiore di circa il 37% rispetto al Centro Italia. Tuttavia, il calo complessivo del consumo di farmaci per l’osteoporosi è evidente in tutte le macroaree: -8,2% al Nord, -16,0% al Centro e -15,1% al Sud e nelle Isole. Nonostante ciò, la spesa complessiva si è ridotta in misura minore rispetto al consumo, con variazioni comprese tra lo 0,7% al Nord e il 4,9% al Sud e nelle Isole.

Aderenza al trattamento e tempo di persistenza

Nel 2023, il 67,9% degli utenti ha mantenuto un’alta aderenza alla terapia osteoporotica, un dato stabile rispetto all’anno precedente, con percentuali più elevate nelle donne. La persistenza media al trattamento varia tra le aree geografiche e tra i due sessi: le donne hanno una persistenza superiore ai 365 giorni, mentre negli uomini si attesta a 255 giorni. Nel Sud, il tempo mediano alla discontinuazione è inferiore rispetto ad altre aree (266 giorni).

Un settore in transizione

Il Rapporto OsMed 2023 fotografa un settore in transizione, con una riduzione dell’uso di vitamina D e un incremento nell’utilizzo di terapie innovative. I dati evidenziano la necessità di un uso più mirato e basato su evidenze scientifiche, specialmente per i farmaci vitaminici, e confermano la centralità delle terapie personalizzate, in particolare per le fasce di età più avanzate e per la popolazione femminile. L’incremento dell’uso di anticorpi monoclonali e di bifosfonati suggerisce una crescente attenzione alla qualità della terapia, con un focus verso trattamenti più efficaci e meno legati alle indicazioni tradizionali.

AIFA_Rapporto OsMed_2023

Colite ulcerosa e i rischi sul metabolismo osseo

La colite ulcerosa (CU), Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale (MICI), è una condizione complessa e debilitante le cui implicazioni vanno oltre i sintomi gastrointestinali, influenzando significativamente la qualità della vita dei pazienti e perfino il metabolismo osseo. I medici sono quindi chiamati non solo a comprendere a fondo gli aspetti clinici, ma anche le sfide emotive che i pazienti affrontano quotidianamente. La campagna di sensibilizzazione “Voci di pancia” promossa da Lilly con il patrocinio di AMICI ITALIA, IG-IBD (Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Diseases) ed EFCCA (European Federation of Crohn’s & Ulcerative Colitis Association), mira a rompere il muro dell’imbarazzo, promuovendo un dialogo aperto tra pazienti e professionisti sanitari​.

La relazione medico-paziente: oltre l’imbarazzo

“La colite ulcerosa (CU) colpisce in Italia più di 150.000 persone, con oltre 4.000 nuove diagnosi all’anno ed è in costante aumento in tutte le fasce d’età. Si tratta di una patologia ‘invisibile’ con sintomi invalidanti e imbarazzanti quali frequenza evacuativa, sanguinamento rettale e urgenza intestinale che hanno un forte impatto sulla qualità di vita e sulla sfera psicologica, con la conseguenza di portare alcuni pazienti a isolamento sociale e autostigma. In alcuni casi, la colite ulcerosa progredisce fino a un grado di malattia da moderata a grave, per cui sono necessari interventi terapeutici in grado di agire rapidamente nel contrastare i sintomi più invalidanti”. È quanto afferma Cristina Bezzio, Medico Gastroenterologo presso IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, IBD Unit e Membro del Direttivo di Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD).

Tuttavia oltre al trattamento farmacologico serve un supporto emotivo e un ambiente clinico privo di giudizi, dove il paziente possa sentirsi libero di fare anche le domande più intime.

La campagna “Voci di pancia” sottolinea l’importanza di rompere questo silenzio e il tabù associato alla malattia. Con strumenti come la Guida alla Conversazione e il Diario delle Emozioni, i pazienti possono trovare le parole giuste per condividere le loro esperienze con i medici, migliorando la comprensione reciproca​. Mentre il decalogo delle Domande dell’Imbarazzo aiuta ad affrontare temi delicati come la sessualità e la genitorialità, facilitando un dialogo aperto e completo sulla gestione della malattia.

La Colite Ulcerosa e la Sfida del Metabolismo Osseo

Oltre ai sintomi gastrointestinali, la colite ulcerosa può avere un impatto negativo anche sul metabolismo osseo.

  1. Infiammazione Cronica: La CU è caratterizzata da un’infiammazione sistemica che, attraverso citochine come il TNF-α e l’IL-6, promuove il riassorbimento osseo, aumentando il rischio di osteoporosi. Questo processo avviene perché l’infiammazione stimola l’attività degli osteoclasti, le cellule che degradano il tessuto osseo, e sopprime quella degli osteoblasti, responsabili della formazione dell’osso[1],[2],[3].
  2. Malassorbimento di Nutrienti Essenziali: L’infiammazione intestinale può compromettere l’assorbimento di calcio e vitamina D, due nutrienti chiave per la salute ossea. La carenza di vitamina D, in particolare, può peggiorare la mineralizzazione ossea, rendendo le ossa più fragili[4],[5].
  3. Uso di Corticosteroidi: I farmaci utilizzati per il controllo della malattia, come i corticosteroidi, contribuiscono alla perdita di massa ossea. Questi farmaci riducono la formazione ossea e aumentano il riassorbimento, aggravando il rischio di fratture[6],[7].
  4. Ridotta Attività Fisica e Malnutrizione: La fatica cronica e il dolore associati alla CU spesso limitano l’attività fisica, ulteriore elemento che favorisce la perdita di densità ossea. Inoltre, i pazienti con colite ulcerosa possono sperimentare malnutrizione, che aggrava ulteriormente i danni alle ossa[8],[9].

Un approccio clinico integrato

Per i clinici, affrontare la colite ulcerosa non significa solo trattare i sintomi intestinali ma considerare, e quando prossibile prevenire, anche le complicazioni a lungo termine, come l’osteoporosi. Monitorare la densità ossea, integrare calcio e vitamina D, e incoraggiare un’attività fisica adeguata possono fare una grande differenza nella vita dei pazienti. Inoltre, un dialogo empatico e informato può aiutare i pazienti a superare il senso di isolamento e migliorare il loro benessere globale.

Con Voci di pancia – sottolinea Salvo Leone, Direttore Generale di AMICI Italia e Chairman della European Federation of Crohn’s & Ulcerative Colitis Associations (EFCCA) – vogliamo rompere il silenzio e superare il senso di vergogna e imbarazzo che spesso accompagna la colite ulcerosa. È una condizione che va oltre il semplice disagio fisico, toccando profondamente la qualità della vita e i legami sociali, familiari e professionali di chi ne soffre. Parlarne è essenziale. Il dialogo aperto e informato con il proprio medico e con le persone vicine permette di affrontare la malattia in modo più sereno, di abbattere i pregiudizi e di ridare dignità a chi si sente isolato. Questa campagna non è solo un insieme di strumenti pratici, ma una porta verso la comprensione e l’empatia. Quando condividiamo le nostre storie e normalizziamo i sintomi, rendiamo più forte chi affronta ogni giorno questa battaglia invisibile. La consapevolezza e il coraggio di raccontarsi sono le chiavi per una vita migliore”.

Non da ultimo anche Federico Villa, Associate Vice President Corporate Affairs & Patient Access Lilly Italia, ha esplicitato le motivazioni che hanno spinto l’azienda a credere e sostenere il progetto: “Siamo orgogliosi di essere al fianco dell’Associazione di pazienti AMICI Italia e delle Società scientifiche di riferimento per rispondere ai bisogni di salute delle persone che vivono con la colite ulcerosa, malattia infiammatoria cronica intestinale dai sintomi invisibili quanto invalidanti. Con questo progetto di sensibilizzazione siamo felici di ribadire il diritto alla salute di ognuno, sopra ogni cosa, con la volontà di incidere positivamente sul benessere a tutto tondo, che va oltre l’innovazione terapeutica. Alimentiamo nuove possibilità di dialogo in grado di migliorare la qualità di vita di pazienti e familiari”.

 

Bibliografia

[1] Epsley S, Tadros S, Farid A, Kargilis D, Mehta S, Rajapakse CS. The Effect of Inflammation on Bone. Front Physiol. 2021 Jan 5;11:511799. doi: 10.3389/fphys.2020.511799. PMID: 33584321; PMCID: PMC7874051.

[2] Kałużna A, Olczyk P, Komosińska-Vassev K. The Role of Innate and Adaptive Immune Cells in the Pathogenesis and Development of the Inflammatory Response in Ulcerative Colitis. J Clin Med. 2022 Jan 13;11(2):400. doi: 10.3390/jcm11020400. PMID: 35054093; PMCID: PMC8780689.

[3] Kaur A, Goggolidou P. Ulcerative colitis: understanding its cellular pathology could provide insights into novel therapies. J Inflamm (Lond). 2020 Apr 21;17:15. doi: 10.1186/s12950-020-00246-4. PMID: 32336953; PMCID: PMC7175540.

[4] Ulitsky A, Ananthakrishnan AN, Naik A, Skaros S, Zadvornova Y, Binion DG, Issa M. Vitamin D deficiency in patients with inflammatory bowel disease: association with disease activity and quality of life. JPEN J Parenter Enteral Nutr. 2011 May;35(3):308-16. doi: 10.1177/0148607110381267. PMID: 21527593.

[5] Ali T, Lam D, Bronze MS, Humphrey MB. Osteoporosis in inflammatory bowel disease. Am J Med. 2009 Jul;122(7):599-604. doi: 10.1016/j.amjmed.2009.01.022. PMID: 19559158; PMCID: PMC2894700.

[6] Canalis E, Mazziotti G, Giustina A, Bilezikian JP. Glucocorticoid-induced osteoporosis: pathophysiology and therapy. Osteoporos Int. 2007 Oct;18(10):1319-28. doi: 10.1007/s00198-007-0394-0. Epub 2007 Jun 14. PMID: 17566815.

[7] Kobza AO, Herman D, Papaioannou A, Lau AN, Adachi JD. Understanding and Managing Corticosteroid-Induced Osteoporosis. Open Access Rheumatol. 2021 Jul 2;13:177-190. doi: 10.2147/OARRR.S282606. PMID: 34239333; PMCID: PMC8259736.

[8] Ratajczak AE, Rychter AM, Zawada A, Dobrowolska A, Krela-Kaźmierczak I. Nutrients in the Prevention of Osteoporosis in Patients with Inflammatory Bowel Diseases. Nutrients. 2020 Jun 6;12(6):1702. doi: 10.3390/nu12061702. PMID: 32517239; PMCID: PMC7352179.

[9] Engels M, Cross RK, Long MD. Exercise in patients with inflammatory bowel diseases: current perspectives. Clin Exp Gastroenterol. 2017 Dec 22;11:1-11. doi: 10.2147/CEG.S120816. PMID: 29317842; PMCID: PMC5743119.

Aumento del rischio di osteoporosi post-resezione pancreatica: necessità di linee guida per una gestione a lungo termine

La resezione pancreatica comporta cambiamenti significativi nelle funzioni endocrine ed esocrine gastrointestinali e con il miglioramento delle tecniche chirurgiche e delle cure post-operatorie, la sopravvivenza dei pazienti è aumentata. Tuttavia, ciò comporta anche un aumento delle sequele a lungo termine. Tra queste, l’osteoporosi (OP), caratterizzata da una bassa densità minerale ossea (BMD), comporta un rischio elevato di fratture, influenzando negativamente la qualità della vita e aumentando mortalità e disabilità.

I pazienti con malattie gastrointestinali o che hanno subito interventi addominali, inclusa la resezione pancreatica, sono particolarmente esposti a disturbi minerali ossei. L’insufficienza pancreatica esocrina (EPI), frequente e spesso non diagnosticata dopo resezione pancreatica, può compromettere l’assorbimento di calcio, vitamina D e altri micronutrienti, accelerando la perdita di BMD e aumentando il rischio di osteomalacia e osteoporosi. Lo studio si propone di esaminare gli effetti a lungo termine della resezione pancreatica sulla BMD e sul rischio di fratture e disturbi minerali ossei.

Metodologia

Questo studio retrospettivo ha analizzato gli effetti a lungo termine della resezione pancreatica su disturbi ossei utilizzando due approcci: una coorte multinazionale attraverso la rete di ricerca TriNetX e una revisione di dati clinici e radiografici di un singolo istituto. La popolazione includeva sopravvissuti a lungo termine (≥3 anni) dopo pancreatectomia distale o pancreaticoduodenectomia.

Nell’analisi di coorte, dati anonimi provenienti da 92 organizzazioni sanitarie globali nella rete TriNetX hanno permesso di identificare pazienti eleggibili tramite codici ICD-10-CM e SNOMED-CT. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: uno con resezione pancreatica e un gruppo di controllo senza storia di chirurgia pancreatica. Gli endpoint includevano il rischio di fratture patologiche osteoporotiche a 10 anni e diagnosi di osteoporosi o osteomalacia. Per ridurre i bias, è stata eseguita una corrispondenza di punteggio di propensione (PSM) in base a variabili demografiche e cliniche.

La seconda parte dello studio ha analizzato scansioni TC di pazienti operati tra il 2005 e il 2019, valutando la densità minerale ossea (BMD) mediante unità Hounsfield (HU) a livello della vertebra T11. Modelli statistici lineari e non lineari hanno esaminato l’effetto di fattori come età, sesso, diabete, storia di fumo, malattie epatiche e renali e chemioterapia.

Entrambi gli approcci hanno utilizzato metodi statistici avanzati per valutare i risultati, definendo significatività statistica per P < 0,05.

Discussione

Finora, pochi studi hanno valutato in dettaglio le carenze di vitamina D e la perdita ossea a lungo termine dopo pancreatectomia, mentre la presente analisi mostra un rischio maggiore di osteoporosi e fratture in questi pazienti, con una perdita accelerata di BMD sia nei soggetti oncologici sia non oncologici.

Attualmente non esistono linee guida specifiche per il monitoraggio nutrizionale dei pazienti post-resezione pancreatica, a differenza delle indicazioni per il cancro gastrico e la chirurgia bariatrica, che raccomandano una sorveglianza mirata delle carenze. Pertanto, gli autori suggeriscono un controllo regolare per prevenire complicazioni a lungo termine come carenza di vitamina D e perdita ossea. Nonostante la mancanza di studi prospettici, l’integrazione di calcio e vitamina D e la terapia enzimatica potrebbero essere utili per i pazienti ad alto rischio.

Infine, l’uso della TC con contrasto IV ha mostrato un potenziale nel monitoraggio della BMD in contesti clinici, anche se la TC non è lo standard diagnostico per l’osteoporosi. I limiti dello studio includono la sua natura retrospettiva e la dipendenza da dati ICD-10, oltre alla necessità di future ricerche per valutare l’efficacia dei trattamenti profilattici per la prevenzione della perdita ossea e delle carenze nutrizionali in questa popolazione.

Conclusioni

Lo studio evidenzia un rischio maggiore di osteoporosi e fratture nei pazienti sottoposti a resezione pancreatica, accompagnato da una perdita accelerata di densità minerale ossea (BMD). L’aumento della sopravvivenza in questi pazienti rende urgente lo sviluppo di linee guida cliniche che includano il monitoraggio delle carenze nutrizionali e dell’osteoporosi, insieme a terapie mirate per preservare la BMD e prevenire le fratture.

 

Lo studio

Khalilieh S, Iyer A, Hammelef E, Zohar N, Gorgov E, Yeo TP, Lavu H, Bowne W, Yeo CJ, Nevler A. Major Pancreatic Resection Increases Bone Mineral Density Loss, Osteoporosis, and Fractures. Ann Surg. 2024 May 22. doi: 10.1097/SLA.0000000000006326. Epub ahead of print. PMID: 38775462.

Teriparatide per accelerare la guarigione nelle fratture atipiche del femore associate ai bifosfonati

Le fratture atipiche del femore (AFF) sono una complicanza rara ma grave associata all’uso a lungo termine di bifosfonati (BP), come alendronato o acido zoledronico, che vengono impiegati per il trattamento dell’osteoporosi e per ridurre il rischio di fratture dell’anca e delle vertebre. L’utilizzo prolungato dei BP può portare a una riduzione del turnover e del rimodellamento osseo, compromettendo la guarigione ossea e predisponendo i pazienti all’AFF. L’American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR) ha definito criteri diagnostici specifici per le AFF, caratterizzate da fratture con trauma minimo, un tracciato specifico e un ispessimento periostale della corteccia laterale.

L’AFF rappresenta un’importante sfida clinica a causa dell’elevata incidenza di guarigione ritardata, fallimenti dell’impianto e gestione difficoltosa, con significative ripercussioni socioeconomiche per i pazienti. Questo ha portato a un marcato calo nell’uso dei bifosfonati, nonostante i benefici nel ridurre il rischio di frattura del 50%. Il trattamento standard per AFF include l’intervento chirurgico con inchiodamento endomidollare, insieme alla gestione medica che comprende la sospensione dei BP e l’ottimizzazione dei livelli di calcio e vitamina D. Tuttavia, sia la chirurgia sia la terapia conservativa hanno dimostrato risultati subottimali, con elevati tassi di guarigione ritardata e fallimenti.

Il teriparatide (TPTD), un agente anabolizzante, stimola la formazione ossea e potrebbe rappresentare una strategia promettente per migliorare la guarigione delle AFF, sia in combinazione con la chirurgia sia come trattamento conservativo. Tuttavia, la maggior parte degli studi sull’efficacia del TPTD ha coinvolto popolazioni di piccole dimensioni, limitando la possibilità di trarre conclusioni definitive. In questa revisione sistematica e meta-analisi, si valuta l’impatto del TPTD sull’incidenza e sul tempo di consolidamento osseo nelle AFF, al fine di sviluppare linee guida più chiare per la gestione ottimale di questa complessa condizione.

Metodologia

Gli autori hanno condotto una revisione sistematica e una meta-analisi seguendo gli standard PRISMA, registrata su PROSPERO (ID: CRD42023460067), per valutare l’efficacia del TPTD nel trattamento delle AFF. I criteri di inclusione si basavano sul modello PICOS, e gli studi considerati includevano sia RCT che studi osservazionali comparativi. Il gruppo di intervento riceveva TPTD, a differenza del gruppo di controllo, e non vi erano restrizioni su razza, luogo, data di pubblicazione o durata del follow-up.

La ricerca ha coperto i database PubMed, Web of Science, Cochrane e Scopus fino al 2 agosto 2023, utilizzando termini specifici come “teriparatide”, “atypical” (atipico), “femur” (femore), and “fracture” (frattura). Dopo una procedura rigorosa di selezione e screening, i dati sono stati estratti indipendentemente da due autori e verificati da un terzo in caso di disaccordi, con metodi Cochrane per la gestione di dati incompleti.

Gli esiti principali erano l’incidenza della completa guarigione ossea e il tempo necessario per il consolidamento osseo, con definizioni specifiche basate su radiografie e assenza di dolore. Gli esiti secondari includevano la guarigione precoce, la guarigione ritardata e il tasso di pseudoartrosi. Le caratteristiche degli studi sono state documentate in dettaglio e la qualità degli studi è stata valutata con la scala Newcastle-Ottawa.

Le analisi statistiche, condotte con Review Manager (RevMan 5.4), includevano misure di varianza per dati continui e metodi di rischio relativo (RR) per dati dicotomici, con l’utilizzo di un modello a effetti casuali per tenere conto delle differenze tra gli studi. L’eterogeneità è stata valutata con il test Q di Cochrane e la statistica I2 e sono state condotte analisi di sottogruppi per esplorare l’impatto del TPTD nei casi trattati chirurgicamente e con fratture complete.

Discussione

Una revisione precedente ha suggerito che il TPTD accelera la guarigione delle AFF, ma non ha condotto una meta-analisi. Questa revisione ha incluso studi controllati, con l’obiettivo di fornire dati più solidi. I risultati hanno indicato che il TPTD riduce significativamente il tempo necessario per la consolidazione ossea e aumenta la probabilità di consolidazione precoce entro 6 mesi. Tuttavia, non sono emerse differenze significative per quanto riguarda la guarigione completa e l’incidenza di pseudoartrosi.

La revisione ha evidenziato che, sebbene gli AFF richiedano più tempo per guarire rispetto alle fratture femorali tipiche, l’uso del TPTD potrebbe ridurre il tempo di guarigione. Alcuni studi suggeriscono tempi di consolidazione più brevi per fratture trattate con TPTD. L’analisi ha mostrato che, sebbene il TPTD possa accelerare la guarigione ossea nei pazienti sottoposti a intervento chirurgico, ci sono pochi dati sui pazienti trattati conservativamente.

Inoltre, l’analisi ha rivelato che il TPTD non ha ridotto significativamente l’incidenza di progressione da AFF incompleto a completo, probabilmente a causa della piccola dimensione del campione. Nonostante ciò, i risultati suggeriscono che il TPTD potrebbe essere utile per accelerare il processo di guarigione delle AFF.

In sintesi, il TPTD potrebbe essere considerato nei casi di AFF per accelerare la guarigione ossea, anche se è necessario approfondire la ricerca per valutare ulteriormente i suoi effetti e le implicazioni cliniche. La revisione ha presentato punti di forza, come una ricerca approfondita e un’analisi di sensibilità, ma ha anche riconosciuto limiti significativi, tra cui la dimensione ridotta del campione e le variazioni tra gli studi inclusi.

Conclusione

Il TPTD ha significativamente ridotto il tempo di consolidamento osseo e aumentato l’incidenza della guarigione ossea precoce rispetto al gruppo di controllo. Tuttavia, l’impatto sulla guarigione completa e sulla mancata unione è stato limitato. Il TPTD è proposto come trattamento postoperatorio per accelerare la guarigione, ma ulteriori studi con campioni più ampi sono necessari per confermare questi risultati.

 

Lo studio

Salamah HM, Abualkhair KA, Kamal SK, Mohamed HA, Alkheder A, Farho MA, Mistry D, Elbardesy H. The effect of teriparatide on patients with atypical femur fractures: a systematic review and meta-analysis. Arch Orthop Trauma Surg. 2024 Mar;144(3):1091-1106. doi: 10.1007/s00402-023-05171-8. Epub 2023 Dec 22. PMID: 38135789; PMCID: PMC10896930.

BoneHealth | The magazine for bone and joint specialists | Novembre 2024

CONTENUTO RISERVATO AGLI OPERATORI SANITARI

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Il trattamento dell’osteoporosi previene le fratture dell’anca anche negli uomini

L’osteoporosi causa oltre un milione di fratture ogni anno negli Stati Uniti, e le fratture dell’anca rappresentano le più gravi e costose. Sebbene circa un quarto delle fratture dell’anca riguardi gli uomini, questi hanno una mortalità post-frattura superiore a quella delle donne. Tuttavia, mentre per le donne è consolidata la pratica di trattare l’osteoporosi per prevenire le fratture, per gli uomini non è lo stesso, anche perché mancano studi clinici specifici. Questa carenza di dati ha portato la Task Force dei Servizi Preventivi degli Stati Uniti a non raccomandare lo screening dell’osteoporosi negli uomini, lasciando molti di loro non diagnosticati e non trattati.

Nonostante ciò, le prove disponibili indicano che il trattamento dell’osteoporosi negli uomini potrebbe prevenire le fratture in modo efficace, come avviene nelle donne. Studi su donne ad alto rischio mostrano che l’aumento della densità minerale ossea (BMD) grazie ai trattamenti è associato a una riduzione delle fratture dell’anca, e trattamenti simili negli uomini aumentano la BMD in modo paragonabile. Inoltre, studi clinici e meta-analisi suggeriscono che l’efficacia del trattamento per prevenire le fratture, eccetto quelle dell’anca, è simile tra i sessi.

Per verificare se anche la prevenzione delle fratture dell’anca potesse essere simile, è stata condotta un’analisi su un ampio studio osservazionale. Si è ipotizzato che l’efficacia del trattamento fosse comparabile tra uomini e donne.

Metodologia

Lo studio è un’analisi osservazionale caso-controllo sulle fratture dell’anca in pazienti di età ≥ 65 anni del Kaiser Permanente Southern California, basato su dati delle cartelle cliniche e tomografie computerizzate (TC) addominali o pelviche effettuate tra il 2005 e il 2018. Sono stati inclusi solo pazienti ad alto rischio di frattura dell’anca con diagnosi di osteoporosi tramite T-score della BMD dell’anca (≤ -2,5), ottenendo un campione di 2.413 donne e 792 uomini. L’esposizione considerata era il trattamento farmacologico standard per l’osteoporosi, suddiviso in “trattato”, “parzialmente trattato” e “non trattato”.

L’analisi principale ha seguito i pazienti per due anni dopo la TC iniziale, usando modelli di regressione logistica per stimare il rischio di frattura dell’anca per i pazienti trattati rispetto a quelli non trattati, aggiustando per variabili come età, BMI e altri fattori di rischio. Analisi accessorie hanno variato i criteri di rischio, includendo il punteggio FRAX e la resistenza dell’osso femorale, per testare la robustezza dei risultati.

Lo studio ha verificato l’efficacia del trattamento dell’osteoporosi per ridurre il rischio di frattura dell’anca, valutando possibili differenze tra sesso e adattando i criteri di alto rischio per un’analisi più completa dei risultati.

Discussione

Questo studio ha esaminato l’efficacia del trattamento farmacologico per l’osteoporosi nella prevenzione delle fratture dell’anca, evidenziando l’assenza di studi clinici randomizzati su uomini per questo tipo di trattamento. Nonostante tale lacuna, i risultati mostrano che il trattamento è ugualmente efficace nel ridurre il rischio di frattura dell’anca sia negli uomini che nelle donne con osteoporosi ad alto rischio, confermato attraverso parametri come BMD, FRAX (Fracture Risk Assessment Tool) e resistenza ossea femorale.

L’analisi ha coinvolto un ampio numero di casi di frattura dell’anca, rendendo questo uno dei più grandi studi sul trattamento per entrambi i sessi. I dati suggeriscono che, una volta confermato l’alto rischio, il sesso non influisce sull’efficacia del trattamento: infatti, la riduzione del rischio di frattura è simile per uomini e donne trattati rispetto ai non trattati. Questo effetto uniforme è supportato da studi precedenti, che indicano che i cambiamenti nella BMD indotti dal trattamento sono comparabili tra i sessi e altrettanto efficaci nel ridurre il rischio di frattura dell’anca.

Pur essendo uno studio osservazionale, il disegno della ricerca minimizza i bias di selezione, esposizione e trattamento, assicurando che la comparabilità tra i sessi sia valida. La ricerca evidenzia che, anche se la popolazione di partenza differiva dalla popolazione generale (perché selezionata da un gruppo di pazienti sottoposti a TC dell’anca), i risultati sono generalizzabili al confronto tra i sessi, nonostante eventuali limitazioni nel trattamento precedente o nella storia familiare di fratture.

I risultati supportano l’aggiornamento delle linee guida cliniche per includere gli uomini ad alto rischio di frattura come candidati per il trattamento dell’osteoporosi, poiché evidenze accumulate dimostrano che tale trattamento riduce le fratture dell’anca in entrambi i sessi.

 

Lo studio

Keaveny TM, Adams AL, Orwoll ES, Khosla S, Siris ES, McClung MR, Bouxsein ML, Fatemi S, Lee DC, Kopperdahl DL. Osteoporosis treatment prevents hip fracture similarly in both sexes: the FOCUS observational study. J Bone Miner Res. 2024 Sep 26;39(10):1424-1433. doi: 10.1093/jbmr/zjae090. PMID: 38861422; PMCID: PMC11425693.

Deterioramento dell’osteomalacia indotto dai bifosfonati nella sindrome di Fanconi

Abstract

Il caso clinico descrive due donne con una frattura ossea erroneamente diagnosticata che sono state trattate con zoledronato. Nel corso dell’anno successivo, hanno subito un marcato deterioramento clinico e radiografico della malattia scheletrica. Ad entrambi è stata infine diagnosticata un’osteomalacia ipofosfatemica secondaria alla sindrome di Fanconi acquisita (causata dal mieloma a catene leggere in un caso e dal trattamento con tenofovir nell’altro). È stato istituito un trattamento appropriato con integrazione di fosfato con miglioramento clinico. Questi casi illustrano l’importanza di non trascurare l’osteomalacia negli adulti che presentano fratture e gli effetti potenzialmente dannosi del trattamento con inibitori a lunga durata d’azione del riassorbimento osseo in queste circostanze.

Commento

a cura del Dott. Francesco Orsini*

Entrambi i casi pubblicati su questo case reports su JBMR Plus nel 2020 descrivono due pazienti, rispettivamente di 50 e 61 anni, con fratture da insufficienza dovute ad un quadro di osteomalacia ipofosfatemica secondaria a Sindrome di Fanconi, una rara tubulopatia che colpisce il tubulo contorto prossimale. Sia nel primo che nel secondo caso la somministrazione di acido zoledronico, dovuta all’errato inquadramento diagnostico del paziente, ha portato ad un drastico peggioramento del quadro clinico con la comparsa di ulteriori fratture da insufficienza.

Nello specifico, nel paziente A, le fratture da insufficienza a livello del bacino e della regione sottotrocanterica del femore destro erano state erroneamente attribuite a metastasi ossee, in base alla pregressa diagnosi di carcinoma mammario risalente a quattro anni prima; mentre nel paziente B, le fratture costali multiple, comparse in assenza di eventi traumatici significativi, erano state inquadrate come manifestazione di un’osteoporosi fratturativa. In entrambi i casi, la somministrazione di acido zoledronico ha causato un netto peggioramento del quadro scheletrico, con la comparsa di nuove fratture patologiche, in particolare a livello della regione diafisaria del femore, oltre a fratture a livello delle coste, dei metatarsi e del bacino. Questo ha configurato un quadro clinico sostanzialmente analogo a quello delle “fratture atipiche”, che rappresentano uno dei più rari e temuti effetti collaterali dei farmaci ad azione antiriassorbitiva, quando somministrati per lunghi periodi.

Le fratture atipiche del femore (AFF) sono così definite poiché si manifestano nella porzione sottotrocanterica del femore, a differenza delle fratture da fragilità che coinvolgono prevalentemente il collo del femore o la regione inter/pertrocanterica. Da un punto di vista patogenetico, la terapia protratta con farmaci ad attività antiriassorbitiva comporta una netta riduzione del rimodellamento osseo, con conseguente diminuzione della capacità dell’osso di riparare i microdanni strutturali dovuti alle sollecitazioni meccaniche ripetute. Quando il tasso di formazione dei micro danni ossei supera la capacità riparativa del tessuto, possono verificarsi fratture da insufficienza nelle aree di maggior carico meccanico. Allo stesso modo, l’inadeguata mineralizzazione tipica dell’osteomalacia riduce la resistenza meccanica dell’osso, portando spesso a fratture da insufficienza a livello della diafisi di femore e tibia, dei metatarsi, delle coste e del bacino.

Pertanto la somministrazione di una terapia antiriassorbitiva in una condizione di osteomalacia comporta un drastico peggioramento del quadro clinico, con la possibile comparsa di fratture da insufficienza, non di rado a livello della diafisi femorali, come documentato in questi due casi presenti in letteratura.

Risulta quindi fondamentale per il corretto inquadramento del paziente con fratture da fragilità o da insufficienza, eseguire degli esami di laboratorio che vadano ad escludere una sottostante osteomalacia, prima di impostare un trattamento con bisfosfonati o denosumab. Tra gli esami da includere, come raccomandato dalle linee guida SIOMMMS, è indicato il dosaggio del fosforo sierico, la cui riduzione può essere indicativa di una osteomalacia ipofosfatemica, come avviene, ad esempio, nella Sindrome di Fanconi.

 

Il caso clinico

Cundy T, Que L, Hassan IM, Hughes L. Bisphosphonate-Induced Deterioration of Osteomalacia in Undiagnosed Adult Fanconi Syndrome. JBMR Plus. 2020 Jun 5;4(8):e10374. doi: 10.1002/jbm4.10374. PMID: 32803107; PMCID: PMC7422711.

 

*SC di Reumatologia, IRCCS Ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio, Milano
UOC Osteoporosi e malattie metaboliche dello scheletro, ASST Pini-CTO, Milano

Accessibilità alle cure per il trattamento della malattia ossea metastatica

La malattia ossea metastatica (MBD) è una complicanza comune del cancro, che colpisce oltre 1,5 milioni di pazienti nel mondo, in particolare quelli con tumori al seno e alla prostata. Le metastasi ossee sono presenti nel 73% dei pazienti con cancro al seno e nel 68% di quelli con cancro alla prostata. Anche il cancro alla tiroide e al polmone mostrano una notevole incidenza di metastasi ossee. Queste metastasi causano spesso gravi complicazioni, note come eventi correlati allo scheletro (SRE), che includono fratture, compressioni midollari e dolore osseo, riducendo drasticamente la qualità della vita e peggiorando la prognosi dei pazienti con tumore avanzato.

Denosumab, un anticorpo monoclonale che agisce inibendo gli osteoclasti, è utilizzato per prevenire la distruzione ossea nelle metastasi, migliorando la densità minerale e senza impattare negativamente la funzione renale. Questo lo rende una valida opzione terapeutica anche per pazienti con insufficienza renale. I biosimilari, come MW032, stanno emergendo come alternative più economiche, ampliando l’accesso a questi trattamenti. Studi recenti hanno dimostrato che MW032, un biosimilare di denosumab, è bioequivalente in termini di efficacia e sicurezza, offrendo nuove opportunità per ridurre l’onere economico e clinico delle metastasi ossee nei pazienti oncologici.

Metodologia

Lo studio chiave per la registrazione del biosimilare MW032 è stato condotto in 46 centri clinici in Cina, seguendo le linee guida per lo sviluppo dei biosimilari. Sono stati arruolati pazienti con età ≥18 anni, tumori maligni solidi e almeno una metastasi ossea confermata. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi, ricevendo MW032 o denosumab ogni 4 settimane per 49 settimane, insieme a integrazioni di calcio e vitamina D.

L’obiettivo primario dello studio era valutare la variazione del rapporto N-telopeptide/creatinina urinario (uNTx/uCr) dal basale alla settimana 13, mentre gli endpoint secondari includevano la fosfatasi alcalina specifica per l’osso (s-BALP) e l’incidenza di eventi correlati allo scheletro (SRE). La sicurezza è stata valutata attraverso eventi avversi, segni vitali ed esami di laboratorio.

Discussione

Uno studio multicentrico, randomizzato e in doppio cieco, ha confrontato MW032 con denosumab in pazienti con metastasi ossee da tumori solidi, dimostrando l’equivalenza tra i due farmaci. MW032 ha mostrato un effetto simile su uNTx/uCR alla settimana 13, l’endpoint primario, rispetto a denosumab, mantenendo risultati equivalenti anche negli endpoint secondari fino alla settimana 53. Entrambi i farmaci sono stati ben tollerati, con profili di sicurezza e immunogenicità simili, inclusi bassi livelli di anticorpi neutralizzanti.

MW032 ha mostrato una farmacocinetica equivalente a denosumab, e il suo effetto sull’osteolisi, misurato con uNTx/uCR, è stato osservato già alla settimana 5, mantenendosi stabile fino alla settimana 53. Anche i livelli di s-BALP si sono ridotti in modo simile tra i due gruppi, confermando l’efficacia di MW032 nel contrastare l’osteolisi.

Lo studio ha anche confermato l’equivalenza di MW032 rispetto a denosumab nella prevenzione degli SRE, mostrando rischi equivalenti nell’analisi multivariata. Il profilo di sicurezza di MW032, incluse le basse incidenze di ipocalcemia e ipofosfatemia, si è rivelato coerente con quello di denosumab, rendendolo una potenziale opzione terapeutica per pazienti con insufficienza renale o sottoposti a trattamenti nefrotossici.

 

Lo studio

Zhang S, Yin Y, Xiong H, Wang J, Liu H, Lu J, Zhang Q, Zhang L, Zhong J, Nie J, Lei K, Wang H, Yang S, Yao H, Wu H, Yu D, Ji X, Zhang H, Wu F, Xie W, Li W, Yao W, Zhong D, Sun H, Sun T, Guo Z, Wang R, Guo Y, Yu Z, Li D, Jin H, Song H, Chen X, Ma W, Hu Z, Liu D, Guo Y, Tang J, Jiang Z. Efficacy, Safety, and Population Pharmacokinetics of MW032 Compared With Denosumab for Solid Tumor-Related Bone Metastases: A Randomized, Double-Blind, Phase 3 Equivalence Trial. JAMA Oncol. 2024 Apr 1;10(4):448-455. doi: 10.1001/jamaoncol.2023.6520. PMID: 38329745; PMCID: PMC10853867.

Osteoporosi associata alla gravidanza e all’allattamento

L’osteoporosi associata alla gravidanza e all’allattamento (PLO) è una condizione rara, caratterizzata dalla comparsa di fratture da fragilità durante la fine della gravidanza o l’allattamento. Le fratture vertebrali, in particolare nella regione toracolombare, sono comuni e possono causare dolore intenso, interferendo con le attività quotidiane delle neomamme e aumentando la morbilità. Sebbene la PLO si manifesti prevalentemente nella prima gravidanza, la recidiva può verificarsi nel 20-33% dei casi nelle gravidanze successive. I dati giapponesi stimano una prevalenza di 4,5 casi ogni 10.000 gravidanze.

Il trattamento per la PLO rimane poco definito, con approcci che includono l’interruzione dell’allattamento e l’uso di integratori di calcio e vitamina D. Terapie alternative, come i bifosfonati e il denosumab, sono state studiate, ma il teriparatide (TPD) ha suscitato particolare interesse per le sue proprietà anaboliche e il potenziale di aumentare la densità minerale ossea (BMD).

Alcuni fattori caratteristici della gravidanza e dell’allattamento sono:

  1. Cambiamenti fisiologici durante la gravidanza e l’allattamento
    La gravidanza richiede un apporto aumentato di calcio per garantire una corretta mineralizzazione dello scheletro fetale, e il turnover osseo aumenta, mediato da ormoni come il calcitriolo e il PTHrP. Durante l’allattamento, si verifica una perdita di calcio significativa attraverso il latte materno, accompagnata da un riassorbimento osseo aumentato.
  2. Cambiamenti della densità minerale ossea
    Durante la gravidanza, la maggior parte delle donne sperimenta una riduzione minima della BMD, mentre durante l’allattamento si può osservare una diminuzione transitoria della BMD, che varia dal 3 al 9%. Studi hanno mostrato che, con l’interruzione dell’allattamento, la BMD tende a recuperare entro 3-6 mesi.
  3. Cambiamenti nei marcatori del turnover osseo
    L’aumento del turnover osseo durante l’allattamento, evidenziato da livelli elevati di CTx, suggerisce una mobilitazione del calcio dallo scheletro materno, con implicazioni per la BMD postpartum.
  4. Fattori di rischio per la PLO
    Tra i fattori di rischio per lo sviluppo della PLO si annoverano basso peso corporeo, storia familiare di fratture, carenza di vitamina D, fumo e riposo a letto prolungato. Eziologie genetiche come l’osteogenesi imperfetta possono anche contribuire al rischio.
  5. Effetto della gravidanza e dell’allattamento sul rischio di frattura
    Le donne con PLO sono considerate a rischio elevato di fratture, principalmente a carico della colonna vertebrale. Lo stress meccanico e la predisposizione genetica possono aumentare ulteriormente questo rischio, rendendo necessarie ulteriori indagini e trattamenti mirati.

Emerge l’importanza di una gestione clinica adeguata per le donne a rischio di PLO e la necessità di un approccio multidisciplinare per prevenire e trattare le fratture in questo gruppo vulnerabile.

Metodologia

Tra l’inizio e agosto 2023, è stata condotta una ricerca approfondita su revisioni sistematiche, rapporti di casi e serie di casi riguardanti l’uso del teriparatide (TPD) nel trattamento dell’osteoporosi associata alla gravidanza e all’allattamento (PLO). Sono stati consultati database come PubMed, Google Scholar e Cochrane, identificando oltre 300 casi di PLO. Sono stati presi in esame solo i casi trattati specificamente con TPD, con diagnosi confermata di PLO basata su anamnesi clinica e conferma radiografica, ed esclusi quelli con precedenti fratture da fragilità, fratture traumatiche o diagnosi pregressa di osteoporosi.

Discussione

La PLO è una condizione relativamente rara nelle giovani donne, ma le fratture vertebrali possono causare dolore lombosacrale significativo nel terzo trimestre e nel periodo postpartum. Questo può portare a gravi limitazioni nella mobilità e incapacità lavorativa. In un’analisi retrospettiva di 107 casi, il 58,5% delle donne con PLO ha riferito una risoluzione completa del dolore alla schiena dopo circa tre anni dalla diagnosi. Tuttavia, mancano studi comparativi diretti che valutino l’efficacia del TPD rispetto ad altri trattamenti.

Le serie di casi indicano che le donne con PLO possono sperimentare un recupero spontaneo della BMD, con aumenti variabili dal 20% al 70% senza farmacoterapia. Recenti revisioni sistematiche hanno mostrato guadagni di BMD superiori con TPD (32,9% dopo 24 mesi) rispetto ai bifosfonati (17,9%). Anche in casi di fratture vertebrali multiple, il TPD ha mostrato aumenti significativi della BMD, superiori a quelli osservati in donne premenopausali con osteoporosi idiopatica.

Nonostante l’uso di bifosfonati per gestire la PLO, i tassi di rifrattura sono stati più elevati rispetto a quelli osservati con TPD (9% vs 15,7%). Inoltre, l’uso di integratori di calcio e vitamina D ha mostrato benefici modesti. I marcatori di turnover osseo, come CTx e osteocalcina, indicano che la terapia con TPD può migliorare la formazione ossea, con cambiamenti che suggeriscono una finestra anabolica nei primi mesi di trattamento.

In conclusione, sebbene il TPD sembri promettente nel trattamento della PLO, sono necessari ulteriori studi per chiarire la sua efficacia rispetto ad altre opzioni terapeutiche e per comprendere meglio i marcatori di risposta alla terapia.

 

Lo studio

Ali DS, Khan AA, Brandi ML. Effective strategies for pregnancy and lactation-associated osteoporosis: teriparatide use in focus. Endocrine. 2024 Nov;86(2):459-469. doi: 10.1007/s12020-024-03946-6. Epub 2024 Jul 15. PMID: 39008200.