mercoledì, Giugno 18, 2025
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Vitamine K2 e D3, la coppia perfetta per la salute delle ossa

Gli integratori alimentari per la salute delle ossa sono costituiti principalmente da calcio e vitamina D.

Il calcio è essenziale per la mineralizzazione delle ossa, viene assorbito attraverso la dieta grazie all’intervento della vitamina D. Ciò stimola anche la produzione di osteocalcina e mgp, proteine con il compito di legare il calcio e trasportarlo nelle ossa. La vitamina K2 nella sua forma menachinone 7 è fondamentale per bilanciare il calcio.

Insieme, vitamina D e vitamina K2 formano una combinazione sinergica e vincente: la coppia perfetta.

Nutrizione come prevenzione dell’osteoporosi nell’anziano

Oggigiorno la nutrizione ha un ruolo cruciale sia nella prevenzione dell’osteoporosi sia nella gestione della patologia nel soggetto anziano, purché questa scienza venga applicata tenendo in considerazione l’interno contesto nel quale si muove il paziente in cura (parametri biologici, vita quotidiana e dieta seguita).

Ne hanno discusso con un intervento ad hoc Hellas Cena, specialista in Scienza dell’Alimentazione, insieme a Valentina Braschi, medico specializzando in Scienza dell’Alimentazione, in occasione del primo congresso di BoneHealth tenutosi lo scorso 6 marzo, dedicato all’approccio integrato per il trattamento delle malattie dello scheletro.

Un nuovo interessante approccio: la nutrizione di precisione

La metabolomica, come spiegato da Cena, ci insegna che esistono non solo differenze interindividuali ma anche intra-individuali che, in certi casi, possono essere anche molto marcate. Si è assistito quindi alla nascita di una nutrizione di precisione, similmente a quanto avviene già nella medicina tradizionale con la medicina di precisione, e che va applicata qualora si presenti un paziente affetto da osteoporosi (sia essa di tipo post-menopausa o senile).

La prevenzione delle condizioni che portano all’insorgenza dell’osteoporosi comincia dunque fin da giovani, tramite un’alimentazione personalizzata che considera i vari fattori di rischio, quali il fumo, l’abuso di alcol e altre abitudini di vita (ad esempio, la possibilità di esporsi alla luce solare e simili).

Valutazione antropometrica e storia ponderale: l’incipit di ogni trattamento terapeutico

Il peso è solo un numero, che va contestualizzato – Valentina Braschi

Una valutazione iniziale accurata della composizione corporea è fondamentale per individuare variazioni nella massa grassa e in quella magra del soggetto con osteoporosi. Nell’arco della vita una variazione considerevole di questi parametri può intaccare la salute delle ossa, come nel caso dell’obesità osteosarcopenica, dove l’aumento del peso e della massa grassa può mascherare una fragilità ossea molto pericolosa per i soggetti anziani.

Come affermato anche da Braschi, una valutazione ponderale è molto importante, ma va inquadrata in un contesto più ampio. Prendere in considerazione le fluttuazioni ponderali del paziente potrebbe ricostruirne la sua storia nutrizionale, aiutando a identificare una precedente dieta seguita in autonomia che potrebbe aver peggiorato in qualche modo lo stato di salute attuale.

Oltre a questo, anche una storia clinica che vede il ricovero ospedaliero del paziente potrebbe influire sulla sua costituzione del paziente. È stato visto come pazienti anziani, allettati per diversi giorni in ospedale, possano perdere dall’1 al 3% di massa magra al giorno.

Siamo l’uomo di Leonardo da Vinci

Anche l’altezza può segnalare un cambiamento nella massa ossea, quando inserita nel giusto contesto. Se rapportata all’ampiezza delle braccia aperte (Arm Span), proprio come nell’uomo ritratto da Leonardo da Vinci, essa può diventare un utile campanello di allarme per una eventuale perdita di altezza dovuta ad un cedimento vertebrale.

La distribuzione adiposa ricopre ovviamente un ruolo importate, in quanto permette la valutazione di un possibile rischio cardiovascolare nel soggetto esaminato.

Alimentazione e integrazioni: come e quando vanno prescritte

In caso di pazienti affetti da osteoporosi, l’assunzione di calcio è di fondamentale importanza. L’assorbimento del calcio, infatti, diminuisce con l’età e va integrata con latte e derivati (anche parzialmente scremati). Questa integrazione non è valida però solo per questo tipo di pazienti, ma è da prendere in considerazione anche per altre categorie di soggetti, come ad esempio:

  • Ridotto consumo di latte e derivati e/o intolleranza a lattosio
  • Dieta vegana
  • Eccessiva assunzione di sodio, che favorisce l’escrezione di calcio
  • Terapia con corticosteroidi da lungo tempo
  • Patologie che comportano malassorbimento intestinale
  • Chirurgia bariatrica

Anche la vitamina D ha un ruolo importante nella prevenzione e nella gestione dell’osteoporosi, sebbene solo il 20% del fabbisogno quotidiano derivi dall’alimentazione. La parte rimanente viene sintetizzata in maniera endogena a livello cutaneo grazie ai raggi UVB, evidenziando ancora una volta come siano fondamentali in questo contesto anche le abitudini di vita.

Non è comunque da escludere la possibilità di prevedere l’assunzione di integratori di questa vitamina, prendendo sempre in considerazione le condizioni iniziali del paziente e sottoponendolo prima ad un ciclo definito “di carico” (50000 UI/settimana per 2 mesi) per poi continuare con un dosaggio minore allo scopo di mantenimento (stessa concentrazione ma ogni 15 giorni).

Abitudini di vita quotidiana come veri e propri trattamenti terapeutici

Come accennato prima, non sono da sottovalutare il ruolo che ricoprono l’attività fisica e le abitudini di vita quotidiane. L’assunzione di alcol e caffè in quantità eccessive può compromettere, rispettivamente, l’assorbimento del calcio e aumentare la sua escrezione tramite le urine. È stato invece dimostrato in numerose pubblicazioni che la nicotina contenuta nelle sigarette può anticipare la menopausa anche di 2 anni, portando con sé anche tutte le conseguenze ormonali tipiche di questa fase della vita che impattano fortemente sullo stato di salute delle ossa.

Sempre riguardo alle abitudini di vita, nei pazienti anziani affetti da osteoporosi può essere di aiuto un’attività fisica finalizzata al miglioramento della condizione clinica e supervisionata da specialisti. In queste circostanze, infatti, viene raccomandata un’attività fisica settimanale moderata di 150-300 minuti accompagnata da sessioni di stretching e/o tonificazione muscolare.

Diversi studi hanno infatti evidenziato come un’attività fisica esercitata in queste condizioni permetta di ottenere un miglioramento della densità ossea e della mobilità funzionale negli anziani con una diminuzione delle cadute dal 25% al 50%.

Fonte

Congresso BoneHealth 6 marzo 2021

Cellule staminali nel trattamento dell’osteoporosi

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Nella valutazione dell’approccio terapeutico al trattamento dell’osteoporosi, la scelta del farmaco da utilizzare ha nella maggior parte dei casi il solo scopo di prevenire quelli che sono i danni causati da uno scompenso ormonale che provoca a sua volta un’alterazione dell’omeostasi ossea. La medicina rigenerativa, con l’ausilio delle cellule staminali mesenchimali, potrebbe coprire il divario tra l’insorgenza della patologia e il verificarsi della frattura dovuta all’aumento della fragilità ossea, andando ad agire alla radice del problema. In una recente review condotta dal gruppo di Arjmand vengono analizzate quelle che sembrano essere delle promettenti alternative terapeutiche per questa malattia.

Il ruolo delle cellule staminali nel rimodellamento osseo

L’osteoporosi è una malattia complessa, indotta da fattori sia endogeni che esogeni. La modulazione di questi fattori potrebbe portare ad una gestione più efficace della patologia, andando a colpire le cause alla base della fragilità ossea.

In questo contesto le cellule staminali, e in particolare quelle mesenchimali (mesenchymal stem cells, MSCs) potrebbero essere dei candidati ideali per la regolazione del complesso sistema di segnalazione cellulare che è alla base del rimodellamento osseo. Le MSCs, infatti, possono secernere una vasta gamma di fattori come IGF-1, TGF-β e VEGF, oltre ad altri fattori coinvolti nella prevenzione della perdita della massa ossea.

Un arsenale variegato per una terapia innovativa

Le cellule staminali si classificano in base al loro potere di differenziazione e al modo in cui vengono recuperate. Tra le diverse tipologie, le più promettenti in campo clinico risultano essere le cellule staminali embrionali (embryonic stem cells, ESCs) e le cellule staminali pluripotenti indotte (induced pluripotent stem cells, iPSCs).

Purtroppo, le tecniche di approvvigionamento di un numero sufficiente di questi due tipi cellulari risultano al momento problematiche. Le ESCs pongono delle questioni etiche piuttosto consistenti mentre le iPSCs, sebbene provengano da cellule adulte, richiedono delle procedure di laboratorio complesse e sono molto difficili da ottenere.

Di recente, la scoperta delle piccole cellule staminali simil-embrionali (very small embryonic-like stem cells, VSELs), cellule pluripotenti di natura non ematopoietica e conservate in vari organi e tessuti durante l’organogenesi, potrebbe costituire una valida alternativa per ipotizzare un approccio basato sulla medicina rigenerativa per i soggetti affetti da osteoporosi. Sfortunatamente, la progressiva riduzione del numero di queste cellule con l’età non ne permette di ottenere un numero adeguato dai pazienti per programmare una terapia che possa efficace.

Cellule staminali mesenchimali, un compromesso eccellente

Nel campo della medicina rigenerativa, l’utilizzo delle MSCs sembra essere l’ideale per il trattamento dell’osteoporosi. Esse possiedono una buona capacità di differenziazione, sono facilmente recuperabili dai tessuti dei soggetti e non presentano problematiche etiche di alcun genere.

In particolare, le cellule staminali mesenchimali derivate dal midollo osseo (bone marrow-derived mesechymal stem cells, BM-MSCs), con la loro elevata capacità osteogenica, sono le candidate ideali per il trattamento dei pazienti affetti da osteoporosi.

Molti studi recenti suggerisco che il loro utilizzo porti fin da subito benefici curativi non soltanto per le loro capacità di differenziazione, ma soprattutto grazie agli effetti paracrini che influenzano il microambiente dei tessuti ossei colpiti dalla malattia.

Una nuova strategia per contrastare le patologie dell’invecchiamento

Quanto riportato nella review permette di comprendere come l’utilizzo delle cellule staminali possa aprire nuove prospettive e permettere di ipotizzare nuovi percorsi terapeutici che sfruttino le stesse capacità rigenerative presenti in alcuni tessuti del paziente.

È evidente che ulteriori studi siano necessari per trasformare questi spunti in vere e proprie terapie, ma è altrettanto chiaro che molte delle problematiche dovute all’utilizzo dei farmaci contro l’osteoporosi (ad es. l’osteonecrosi indotta dai farmaci) potrebbero divenire presto solo un lontano ricordo di terapie divenute obsolete grazie all’impiego di questo tipo di cellule.

Fonte: Arjmand B, Sarvari M, Alavi-Moghadam S, Payab M, Goodarzi P, Gilany K, Mehrdad N, Larijani B. Prospect of Stem Cell Therapy and Regenerative Medicine in Osteoporosis. Front Endocrinol (Lausanne). 2020 Jul 3;11:430. doi: 10.3389/fendo.2020.00430. PMID: 32719657; PMCID: PMC7347755.

Le fluvastatine nella prevenzione dell’osteonecrosi mascellare

L’osteonecrosi mascellare farmaco relata (medication-related osteonecrosis of the jaw, MRONJ) è un fenomeno ancora poco conosciuto e tuttavia molto comune nei pazienti in trattamento con denosumab e bisfosfonati che si sottopongono ad interventi odontoiatrici. Ad oggi esistono solo terapie che cercano di mitigarne i sintomi, come l’uso di antibiotici.

Nello studio condotto dal gruppo di Adachi pubblicato su Nature viene ipotizzato che l’utilizzo delle fluvastatine potrebbe combattere l’insorgenza di questa malattia grazie alla loro azione antimicrobica, promuovendo allo stesso tempo il riparo del tessuto osseo e di quello gengivale.

Un efficace scudo contro l’osteonecrosi mascellare farmaco-relata

Nel modello murino sviluppato nel corso dello studio, creato mediante la somministrazione di farmaci come i bisfosfonati e denosumab e sottoposti ad estrazione dentaria, il trattamento con fluvastatina ha portato ad una rimarginazione del tessuto epiteliale e di quello connettivo senza provocare infiammazione o tessuto necrotico.

Sono state utilizzate diverse concentrazioni di farmaco: 0,1 mg/kg, 1 mg/kg e 10 mg/kg. Nel corso degli esperimenti, solo il trattamento con 10 mg/kg ha portato ad una prevenzione completa ed efficace dell’osteonecrosi della mascella, sebbene si siano riscontrati risultati promettenti anche con la somministrazione di 1 mg/kg. Si notato inoltre che, nei modelli murini trattati con fluvastatina, l’area necrotica era più ristretta rispetto ai campioni prelevati dal gruppo non trattato.

La ragione di questo effetto protettivo andrebbe ricercata nella capacità delle fluvastatine di aumentare la proliferazione delle cellule epiteliali e dei fibroblasti, inducendo contemporaneamente la differenziazione degli osteoblasti e della proteina morfogenica dell’osso (bone morphogenetic protein-252, BMP-2). Oltre a queste importanti proprietà, alcuni recenti studi suggeriscono inoltre che le fluvastatine possiedano un’interessante azione antimicrobica.

Una nuova possibile scelta per la terapia e la prevenzione dell’osteonecrosi

L’insorgenza dell’osteonecrosi è una problematica molto comune nei pazienti affetti da patologie che comportano l’indebolimento del tessuto osseo (ad es. l’osteoporosi) e che sono in trattamento con farmaci come i bisfosfonati e anticorpi monoclonali specifici (come denosumab).

Quanto riportato dal gruppo di Adachi, se confermato nel corso di studi clinici sull’essere umano, risulta essere particolarmente importate per questa categoria di pazienti. Infatti, esso permetterebbe di mitigare, se non prevenire del tutto, quello che è uno degli effetti collaterali più complicati da gestire per quanto riguarda questo trattamento farmacologico.

 

Fonte: Adachi N, Ayukawa Y, Yasunami N, Furuhashi A, Imai M, Sanda K, Atsuta I, Koyano K. Preventive effect of fluvastatin on the development of medication-related osteonecrosis of the jaw. Sci Rep. 2020 Mar 27;10(1):5620. doi: 10.1038/s41598-020-61724-6. PMID: 32221325; PMCID: PMC7101417.

Stress ossidativo e osteoporosi

Lo stress ossidativo sembra essere coinvolto nel processo scatenante dell’osteoporosi, ma ad oggi non è stato ancora possibile ottenere una visione completa dei reali effetti di questo processo nello sviluppo della patologia.

Un gruppo di ricercatori ha condotto una metanalisi volta a comprendere il maggior numero possibile di studi clinici focalizzati sul ruolo dello stress ossidativo nell’osteoporosi, rilevando che il ruolo di questo fenomeno è tutt’altro che secondario nella predisposizione alla malattia.

Una ricerca meticolosa nei precedenti studi

La metanalisi ha preso in considerazione 36 studi clinici i quali, nel complesso, hanno coinvolto più di 5000 soggetti e di cui più di 2000 erano donne affette da osteoporosi post-menopausa. Gli studi sono stati individuati mediante ricerca sulle principali banche dati (PubMed, EMBASE e Web of Science) e selezionati mediante l’utilizzo di criteri ben specifici come:

  1. L’inclusione nello studio di donne a cui è stata diagnosticata osteoporosi post-menopausa.
  2. Studi nei quali la diagnosi di osteoporosi post-menopausa fosse in rispetto delle ultime Linee Guida dell’Organizzazione Mondiale della Salute (World Health Organization, WHO).
  3. L’analisi di biomarcatori legati all’osteoporosi post-menopausa, trai i quali lo stato ossidativo totale (total oxidant status, TOS), il potenziale antiossidante totale (total antioxidant power, TAP), l’indice di stress ossidativo (oxidative stress index, OSI) e altri.

La correlazione fra l’osteoporosi e i livelli di stress ossidativo

Una volta analizzati, i risultati della ricerca hanno permesso di evidenziare un aumento dei valori di OSI, malondialdeide (MDA), dei prodotti proteici dell’ossidazione tardiva (advanced oxidation protein products, AOPP) e della vitamina B12. Allo stesso tempo, sono stati rilevati livelli ridotti del TAP, dello stato anti-ossidativo totale (total antioxidative status, TAS), acido urico e folato.

Nel corso dello studio sono stati analizzati anche i tre principali enzimi che concorrono al mantenimento dei livelli delle specie reattive dell’ossigeno (reactive oxygen species, ROS), quali la superossido dismutasi (superoxide dismutase, SOD), catalasi e la glutatione perossidasi (glutathione peroxidase, GPx). Sia l’attività delle catalasi che quella delle GPx era aumentata nei pazienti con osteoporosi post-menopausa, mentre i livelli sierici di SOD non hanno mostrato cambiamenti significativi.

Sono stati valutati anche i livelli di MDA, AOPP e acido urico. I primi due sono risultati essere più elevati nei pazienti con osteoporosi, mentre quelli dell’acido urico erano più bassi del normale. È stato ipotizzato in diversi studi che l’acido urico sia coinvolto nei processi antiossidanti e potrebbe avere un ruolo nel recupero osseo da traumi e fratture proprio per questa sua peculiarità. Questo spiegherebbe il perché siano stati riscontrati bassi livelli di acido urico rispetto alla norma nel gruppo di pazienti con osteoporosi.

Essendo coinvolti infine anche fattori nutrizionali nella predisposizione dei soggetti anziani allo sviluppo dell’osteoporosi post-menopausa, nell’analisi sono stati studiati anche i valori di omocisteina (homocysteine, hcy), vitamina B12 e folati. Sebbene non siano stati rilevati livelli significativamente elevati per l’omocisteina, è stato invece riscontrato un livello piuttosto basso di folati e uno elevato di vitamina B12 nel gruppo dei pazienti affetti dalla patologia.

I parametri dell’ossidazione come nuovo possibile elemento per la prevenzione dell’osteoporosi

I risultati riportati nella pubblicazione mostrano come il bilanciamento tra i fattori ossidanti e quelli antiossidanti potrebbero essere utilizzati nella pratica clinica non solo come metodo diagnostico per la patologia, ma anche come utile strumento per la prevenzione efficace della malattia. In questo modo, sarebbe possibile non solo evitare un carico importante sul sistema sanitario nazionale derivato dalla gestione dei pazienti con osteoporosi post-menopausa, ma porterebbe anche ad una nuova strategia nel trattamento dei pazienti affetti dalla malattia.

Fonte:

Zhao F, Guo L, Wang X, Zhang Y. Correlation of oxidative stress-related biomarkers with postmenopausal osteoporosis: a systematic review and meta-analysis. Arch Osteoporos. 2021 Jan 5;16(1):4. doi: 10.1007/s11657-020-00854-w. PMID: 33400044.

BoneHealth | Il giornale del metabolismo osseo marzo 2021

Il giornale del metabolismo osseo informa e aggiorna medici e operatori sanitari in tema di metabolismo osseo in chiave multidisciplinare.
Questa è l’uscita di marzo 2021.

Lo stato nutrizionale e il peso corporeo influiscono sul metabolismo osseo?

Nel corso di uno studio clinico condotto in Brasile si è voluto osservare come la densità minerale ossea (Bone Mineral Density, BMD) e, in generale, il metabolismo osseo potevano essere influenzate dallo stato nutrizionale e la composizione corporea. Si visto come in individui dai 60 anni in su, sia sani che affetti da osteopenia/osteoporosi, l’aumento del peso corporeo, insieme alla percentuale di grasso corporeo (&BF) e alla circonferenza addominale (AC) influenzino positivamente il metabolismo osseo.

Il target scelto per lo studio sul peso corporeo e metabolismo osseo

I partecipanti di questa particolare analisi presentavano un’età media di circa 67 anni e sono stati suddivisi in due gruppi diversi. Un ramo era composto da soggetti sani con un normale livello di BMD, mentre nell’altro erano presenti pazienti affetti da osteopenia/osteoporosi. Su tutti sono stati rilevati diversi valori antropometrici riguardanti il loro stato nutrizionale, come ad esempio la concentrazione sierica di 25-idrossi-colecalciferolo [25(OH)-D], la %BF e l’AC.

Il ruolo giocato dal grasso corporeo nei confronti del BMD

Analizzando i risultati dello studio, si è notato come la maggior parte dei soggetti con un valore normale di BMD presentassero anche valori sopra la media rispetto alla %BF e alla AC, suggerendo che queste siano coinvolte nel mantenimento di un buon metabolismo osseo e che il peso corporeo possa stimolare meccanicamente le ossa a produrre elementi che ne migliorino l’integrità (quali ad esempio gli osteoblasti).
Inoltre, l’aumento degli adipociti potrebbe inoltre essere correlato all’aumento della produzione degli ormoni sessuali, i quali agirebbero come inibitori del riassorbimento osseo. L’abbassamento dei casi di frattura tra gli individui sovrappeso o obesi confermerebbe anche l’azione “cuscinetto” che il tessuto adiposo avrebbe nei confronti delle ossa dei fianchi e della colonna vertebrale.
Nel cercare un collegamento tra i marcatori del metabolismo osseo, la composizione corporea e la densità ossea, si è visto come i valori più elevati di 25(OH)-D fossero presenti negli individui in sovrappeso e non affetti da osteopenia od osteoporosi.

Le riserve di grasso come scudo contro i danni dell’osteoporosi

L’invecchiamento è un fenomeno complesso che produce cambiamenti importanti anche a livello ormonale, scatenando l’insorgenza di patologie che coinvolgono anche la robustezza ossea, come nel caso dell’osteoporosi. Le scoperte elencate fino a questo momento evidenziano come il mantenimento di una certa percentuale di grasso corporeo nei soggetti anziani a rischio di osteoporosi potrebbe aiutarli a mantenere un buono stato di salute, caratterizzato da livelli di BMD e di 25(OH)-D ottimali e una protezione da urti che potrebbero altrimenti comprometterne l’integrità della microarchitettura ossea.

Fonte

Lins Vieira NF, da Silva Nascimento J, do Nascimento CQ, Barros Neto JA, Oliveira Dos Santo ACS. Association between Bone Mineral Density and Nutritional Status, Body Composition and Bone Metabolism in Older Adults. J Nutr Health Aging. 2021;25(1):71-76. doi: 10.1007/s12603-020-1452-y. PMID: 33367465.

Come il Covid-19 ha cambiato il percorso terapeutico dell’osteoporosi

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Il Covid-19 ha sconvolto il sistema sanitario di molti Paesi, andando a riscrivere le regole di approccio alle terapie (inclusa quelle per l’osteoporosi) e le modalità con cui i pazienti interagiscono con i loro medici curanti. Uno studio ha provato a mettere in luce questi cambiamenti, evidenziando come l’aumentato dei consulti di telemedicina e l’affidarsi a referti elettronici vada di pari passo con un forte impatto sul sistema dovuto ai rimborsi delle prestazioni, un ritardo dei test eseguiti con assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA) e una diminuzione delle somministrazioni dei trattamenti per via parenterale.

Uno sondaggio internazionale

Lo studio prevedeva l’invio di un sondaggio ai membri della International Osteoporosis Foundation (IOF) e della National Osteoporosis Foundation (NOF) il cui scopo era quello di verificare le modalità di trattamento e gestione dei pazienti affetti da osteoporosi.

Sono stati coinvolti 209 partecipanti, per la maggior parte specialisti provenienti da 53 Paesi diversi (Tra cui diversi Paesi europei, americani, medio-orientali e del Sud-Est asiatico. Una buona percentuale di loro (circa il 40%) era rappresentata da specialisti in reumatologia, mentre il resto era composto da endocrinologi, ortopedici e in minor parte da altre figure coinvolte nelle terapie dei pazienti con osteoporosi.

Un impatto che ha cambiato profondamente le dinamiche di approccio al paziente

In base ai risultati ottenuti dal sondaggio, quasi 1/3 degli intervistati ha fatto ricorso ad un consulto tramite telefonata e circa 1/5 ha preferito utilizzare una videochiamata per portarlo a termine, affermando di aver avuto più di 20 appuntamenti di telemedicina alla settimana.

Da notare come la maggior parte degli intervistati ha riportato un ritardo nell’esecuzione della DXA e di come circa l’11% sia stato costretto ad utilizzare strumenti di valutazione del rischio di fratture senza potersi avvalere di tecniche di misurazione della densità minerale ossea (Bone Mineral Density, BMD).

Inoltre, si è visto come in molti paesi c’è stato un impatto considerevole sulle dinamiche di rimborso delle prestazioni mediche, dovute principalmente al cambiamento nel numero e nella tipologia delle visite ai pazienti. Tuttavia, non è ancora chiaro se e come questo potrà influenzare l’offerta dei servizi disposti per i pazienti con osteoporosi e la loro sostenibilità per i vari servizi sanitari nazionali.

Un aiuto dalla tecnologia che non è sempre efficace

È sorprendente notare come la maggior parte dei partecipanti abbia affermato come l’ausilio delle cartelle cliniche elettroniche abbia giovato poco alla capacità di gestione del tempo degli specialisti rispetto a quanto visto nel periodo pre-pandemico. Alcuni di loro affermano che i tempi di gestione si siano addirittura allungati, indicando tra le cause di questo cambiamento alcuni problemi tecnici legati alla rete internet, la difficoltà nel compilare la nuova documentazione e l’aumentata complessità del flusso di lavoro.

Problematiche importanti nella somministrazione delle terapie

È emerso anche come, nel corso della pandemia da Covid-19, la disponibilità delle scorte mediche all’interno delle strutture fosse compromessa a causa dei ben noti problemi logistici, inficiando la capacità di garantire la periodicità dei trattamenti terapeutici per i pazienti con osteoporosi.

Circa 1/5 degli intervistati dichiara infatti di essere stato costretto a ritardare la somministrazione delle cure ai suoi pazienti, mentre il 13% ha dovuto indirizzare il proprio paziente verso farmaci orali (facili da assumere in maniera autonoma) pur di poter continuare il trattamento della patologia.

Lo scenario mostrato dallo studio suggerisce come la pandemia da Covid-19 abbia sconvolto le dinamiche tradizionali non solo della vita quotidiana di molte persone ma anche di quella degli specialisti, alle prese con problematiche del tutto nuove che coinvolgono direttamente i loro pazienti affetti da osteoporosi. È probabile che, se la situazione non verrà gestita in maniera adeguata, si assisterà ad un aumento del tasso di fratture nei prossimi anni, con un conseguente aumento delle difficoltà nel gestire questa tipologia di pazienti.

 

Fonte: Fuggle NR, Singer A, Gill C, Patel A, Medeiros A, Mlotek AS, Pierroz DD, Halbout P, Harvey CN, Reginster JY, Cooper C, Greenspan SL. How has COVID-19 affected the treatment of osteoporosis? An IOF-NOF-ESCEO global survey. Osteoporos Int. 2021 Feb 8:1–7. doi: 10.1007/s00198-020-05793-3. Epub ahead of print. PMID: 33558957; PMCID: PMC7869913.

Come il bypass gastrico e la gastrectomia verticale parziale alterano il turnover osseo

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Recentemente si è assistito ad un incremento esponenziale degli interventi di Gastrectomia Verticale Parziale (Sleeve Gastrectomy, SE) e bypass gastrico (specialmente quelle che prevedono la ricostruzione esofago-digiunale su ansa ad Y secondo Roux, RYGB). Nello studio Oseberg, condotto dal team di Hofsø, sono stati analizzati i cambiamenti nella Densità Minerale Ossea (Bone Mineral Density, BMD) e nei livelli di biomarcatori del turnover osseo. Pazienti sottoposti a RYGB sembrerebbero presentare un incremento dei livelli di biomarcatori del turnover rispetto a quelli con SG, suggerendo una maggiore fragilità scheletrica.

Uno studio costruito sui pazienti obesi e con diabete di tipo 2

Lo Studio Oseberg ha avuto come scopo primario quello di analizzare l’eventuale remissione del diabete in pazienti che presentavano obesità conclamata e diabete di tipo 2. Si tratta di uno studio clinico randomizzato, in triplo cieco condotto presso un centro medico specializzato in Norvegia i cui pazienti sono stati divisi in due gruppi: quelli che sono stati sottoposti a SG e quelli sui quali invece è stata effettuato un RYGB.

La fragilità ossea è strettamente connessa all’intervento di bypass

Le differenze nei due tipi di candidati sono state piuttosto marcate. Si è visto infatti che i pazienti sottoposti a bypass gastrico mostravano una diminuzione significativa della Densità Minerale Ossea localizzata (areal Bone Mineral Densisty, aBMD) per quanto riguardava l’anca, il femore e la colonna lombare. Inoltre, i pazienti che hanno ricevuto bypass gastrico presentavano un aumento dei marcatori tipici sia della sintesi del tessuto osseo che del riassorbimento.

Esistono diverse spiegazioni che potrebbero spiegare questo fenomeno. Gli studiosi hanno ipotizzato che la perdita di peso corporeo potrebbe portare ad alleggerimento del carico meccanico sulle ossa, favorendo l’aumento del turnover e perdita del tessuto osseo. I dati però non suggeriscono questa correlazione con la perdita di peso né con l’attività fisica.

Si è pensato quindi il bypass gastrico potesse avere un effetto sul metabolismo, portando a malassorbimento e, di conseguenza, deficit di vitamine e minerali. I ricercatori hanno però notato come i livelli sierici di vitamina D e calcio fossero molto simili tra i due gruppi, costringendoli a scartare l’ipotesi di un coinvolgimento del metabolismo alla base della maggiore fragilità ossea.

Il gruppo ha quindi ipotizzato che l’alterazione degli ormoni a livello del sistema digerente fossero la causa scatenante del cambiamento del turnover. Sia nei pazienti sottoposti a SG che in quelli che hanno ricevuto RYGB i livelli delle incretine, ovvero gli ormoni GLP-1 (Glucagon-Like Peptide 1) e GIP (Gastric Inhibitory Polypeptide), risultavano essere aumentati. Tuttavia, studi su modelli animali hanno dimostrato come l’effetto di questi ormoni favorisca la formazione di tessuto osseo e inibisca invece il riassorbimento, escludendo un loro ruolo nella diminuzione della densità ossea.

Un effetto sul tessuto osseo da tenere a mente

In definitiva, è possibile dire che i risultati pubblicati dal gruppo di Hofsø permettono di comprendere meglio gli effetti che interventi invasivi come la SG e il RYGB hanno sull’organismo nel breve periodo, specialmente sulla compattezza del tessuto osseo. Tuttavia, è evidente come il bypass gastrico abbia un effetto più marcato e porti ad una maggiore fragilità ossea, che espone il paziente ad un rischio maggiore di frattura anche dopo 1 anno dall’intervento. Ulteriori studi sono comunque necessari per comprendere come questi effetti possano influenzare il tessuto osseo sul lungo periodo.

 

Fonte: Hofsø D, Hillestad TOW, Halvorsen E, Fatima F, Johnson LK, Lindberg M, Svanevik M, Sandbu R, Hjelmesæth J. Bone Mineral Density and Turnover After Sleeve Gastrectomy and Gastric Bypass: A Randomized Controlled Trial (Oseberg). J Clin Endocrinol Metab. 2021 Jan 23;106(2):501-511. doi: 10.1210/clinem/dgaa808. PMID: 33150385; PMCID: PMC7823313.

Denosumab nelle malattie croniche del rene: sicurezza ed efficacia

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Gli effetti a lungo termine sul trattamento con Denosumab, un anticorpo monoclonale che ha come target RANKL (il ligando del recettore attivatore del fattore nucleare κ-B), nei pazienti affetti da Malattia Cronica del Rene (Chronic Kidney Disease, CKD) non sono attualmente noti. Lo studio del gruppo di Broadwell ha dimostrato che in questi pazienti l’utilizzo di Denosumab mostra livelli di sicurezza ed efficacia simili a quelli della popolazione sana.

La popolazione dello studio

Nel corso dello studio sono stati presi in esame i dati di sicurezza ed efficacia di pazienti con CKD lieve o moderata e che erano stati arruolati prima nello studio FREEDOM (della durata di 3 anni) e poi nello studio estensivo (della durata di 7 anni). Tutti i pazienti presentavano un T-score della Densità Minerale Ossea (Bone Mineral Density, BMD) tra -2,5 e -4,0 nell’anca o nella colonna lombare e sono stati trattati con 60 mg di Denosumab ogni 6 mesi.

 

Denosumab risulta efficace…

I risultati dello studio mostrano un interessante livello di efficacia sia nelle donne con un’attività renale normale che in quelle con CKD lieve o moderata. È infatti emerso che la somministrazione di Denosumab portava ad un incremento del BMD e ad una diminuzione del rischio di fratture sia nei 3 anni dello studio FREEDOM che nel successivo periodo esaminato.

Da notare che l’incremento della BMD è risultato essere superiore a quello che viene raggiunto tramite l’assunzione di bisfosfati, classe di farmaci normalmente utilizzati per prevenire il rischio di fratture in donne affette da osteoporosi post-menopausa. Inoltre, il mancato metabolismo di Denosumab per via renale potrebbe rappresentare un’interessante alternativa proprio per i pazienti con disfunzione renale.

È infine molto importate evidenziare che Denosumab non necessita di un adeguamento della dose somministrata, in quanto proprio per questa sua caratteristica non ha un impatto sulla funzione renale e non viene eliminata durante le sessioni di dialisi.

 

… e con un profilo di sicurezza notevole

Solitamente, qualunque trattamento che vada a colpire l’eccessivo riassorbimento osseo scatenato dall’osteoporosi può ridurre i livelli di calcio nel flusso sanguigno. Essendo l’ipocalcemia un effetto avverso ben noto e che può colpire i pazienti in cura con Denosumab, viene spesso prescritta l’assunzione di calcio e vitamina D per contrastare questa evenienza, anche se spesso ciò non è sufficiente a debellare questa controindicazione.

Nello studio post-hoc, come di consueto, è stata prescritta l’assunzione di vitamina D e calcio e si è notato come, nonostante il trattamento, solo l’1% dei pazienti arruolati ha sviluppato ipocalcemia e solo un paziente ha mostrato segni di una versione grave di questo quadro clinico.

Fonte: Broadwell A, Chines A, Ebeling PR, Franek E, Huang S, Smith S, Kendler D, Messina O, Miller PD. Denosumab Safety and Efficacy Among Participants in the FREEDOM Extension Study With Mild to Moderate Chronic Kidney Disease. J Clin Endocrinol Metab. 2021 Jan 23;106(2):397-409. doi: 10.1210/clinem/dgaa851. PMID: 33211870; PMCID: PMC7823314.