domenica, Giugno 15, 2025
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Da teriparatide ad anti-riassorbitivi: efficacia del trattamento sequenziale

La teriparatide (TPT) è un analogo dell’ormone paratiroideo che va a stimolare la formazione di materiale osseo attivando gli osteoblasti e incrementando l’assorbimento di calcio. Il trattamento con TPT è noto per ridurre il rischio di fratture vertebrali e non, aumentando al contempo la densità minerale ossea (BMD) di tutto lo scheletro, in particolar modo di vertebre, femore e bacino. Le controindicazioni di questa terapia sono che può essere assunta al massimo per 24 mesi e i pazienti non possono sottoporsi a più di un ciclo di TPT nel corso di tutta la loro vita.

Per questo motivo da anni si cerca un farmaco che vada a sostituire questo trattamento ed è ormai consolidato l’uso dei farmaci anti-riassorbitivi come i bisfosfonati (BP) e il denosumab (Dmab) che riducono sensibilmente il rischio di fratture specialmente nelle donne in post-menopausa.

Questa review ha lo scopo di valutare gli effetti di un trattamento sequenziale che prevede, dopo la sospensione di TPT, un trattamento con zoledronato (ZOL) o Dmab andando a misurare la densità minerale ossea delle vertebre lombari, collo del femore e bacino, oltre ai livelli di minerali nel sangue in pazienti con osteoporosi e grave fragilità ossea.

Struttura dello studio

Questo studio retrospettivo ha valutato pazienti con grave osteoporosi e fragilità ossea, i quali erano in cura per osteoporosi all’IRCCS Galeazzi di Milano. Nel dettaglio i criteri di inclusione sono stati i seguenti:

  • Trattamento con TPT per 24 mesi per secondo la nota 79 di AIFA
  • Trattamento con almeno due dosi di ZOL 5mg endovena
  • Trattamento con almeno tre dosi di Dmab 60 mg sottocutaneo

I pazienti sono stati valutati all’inizio del loro ciclo di TPT, dopo 24 mesi di TPT, e dopo altri 24 mesi di trattamento con ZOL o con Dmab. La densità minerale ossea che è oggetto della valutazione è stata misurata per vertebre lombari, collo del femore e bacino utilizzando la tecnologia DEXA.

Risultati

Per questo studio sono stati reclutati 56 pazienti con grave osteoporosi e fragilità ossea, con almeno una frattura vertebrale alle spalle, di cui 50 erano donne in post-menopausa e 6 uomini; sono stati divisi in due gruppi: uno da 23 pazienti (età media 74,3 anni) che hanno proseguito la terapia con ZOL e l’altro da 33 pazienti (età media 65 anni) che hanno proseguito la terapia con Dmab.

Il trattamento con ZOL a seguito della precedente TPT ha portato ad un incremento del T-score lombare da una media di -2,37 dopo TPT ad una media di -2,11 dopo ZOL nel 53% dei pazienti, mentre il T score è rimasto costante solo nel 16%.

Per quanto riguarda il secondo gruppo di pazienti, il T-score lombare è passato da una media di -3,14 a -2,53.

Il T-score del collo del femore e del bacino non è aumentato significativamente né col trattamento con zoledronato né con denosumab, anche se nei pazienti con un T-score estremamente basso si è visto un incremento interessante rispettivamente nella BMD del bacino e del collo del femore.

Fratture da fragilità ossea si sono verificate nel 13% dei pazienti trattati con TPT+ZOL e nel 15% dei pazienti trattati con TPT+Dmab.

Conclusioni

Questo studio retrospettivo ha confermato che il proseguimento della terapia per osteoporosi con farmaci anti-riassorbitivi (ZOL e Dmab) porta ad un incremento significativo del T-score della BMD nelle vertebre lombari e nel bacino per i pazienti più gravi.

È noto che l’interruzione della teriparatide causa una graduale diminuzione della BMD, ma essendo questa interruzione  necessaria, è evidente la necessità di trovare un trattamento conservativo che preservi la BMD acquisita sotto l’effetto anabolizzante della TPT. In questo studio l’effetto indotto dal trattamento TPT+ZOL sulle vertebre lombari è simile a quello ottenuto con TPT+Dmab quindi no né ancora chiaro quale sia la miglior opzione.

Non si può trascurare il fatto che, in questo studio, i pazienti con più basso T-score del collo del femore hanno riscontrato un migliore effetto dopo il trattamento con ZOL rispetto a quelli il cui valore basale erano meno critico. Allo stesso modo, i pazienti con un basso T-score dell’anca a livello basale sono andati incontro ad un incremento ancora maggiore dopo il trattamento con Dmab rispetto a quelli con punteggi basali più elevati, dimostrando che entrambi i trattamenti sono stati efficaci anche nel sito femorale, pur richiedendo un livello di partenza più grave.

Alimentazione e salute delle ossa

Uno studio del 2021 di Rizzoli et al. ha raccolto i dati in letteratura sull’effetto che l’alimentazione ha sulla salute delle ossa, e ha valutato quali nutrienti influenzino maggiormente il metabolismo osseo e il rischio di frattura.

Negli adulti si assiste progressivamente ad una perdita fisiologica di massa ossea, che nelle donne è maggiormente evidente nel periodo post-menopausa portando molto spesso ad osteoporosi e a rischio di fratture. I fattori genetici contribuiscono fortemente al “ picco” di densità ossea che si raggiunge durante la giovane età e che va poi diminuendo gradualmente, ma questo fenomeno è influenzato anche da fattori ambientali e nutrizionali.

Di seguito i nutrienti che sono stati considerati nello studio, le loro proprietà e quantità consigliate.

CALCIO

È noto che il calcio sia fondamentale per un buon metabolismo osseo, e soprattutto nella prima infanzia se ne consiglia l’assunzione tramite il latte. Le quantità consigliate di questo minerale sono 800-1200 mg al giorno, maggiore è la quantità più velocemente durante il periodo della crescita aumenterà la massa ossea. Non è solo il metabolismo osseo a cambiare con l’avanzare dell’età, ma anche il metabolismo energetico subisce dei cambiamenti e il calcio è tra quei nutrienti che le persone anziane fanno più fatica ad assorbire a livello intestinale e renale, ma se assunto insieme a vitamina D è un ottimo alleato contro il rischio di fratture.

MAGNESIO

420 mg negli uomini e 320 mg nelle donne è la dose giornaliera consigliata per l’assunzione di questo minerale. Oltre ad essere di forte giovamento per il sistema neurologico il magnesio infatti ha dimostrato degli effetti protettivi anche sulle ossa; la sua assunzione, oltre agli integratori, proviene principalmente da noci, verdura a foglia verde e latticini.

FOSFORO

Protagonisti sono sempre i latticini, per il loro apporto di fosforo fondamentale per la mineralizzazione delle ossa; è possibile assumere questo nutriente anche da carne, grano e noci. Nonostante non abbiano trovato degli studi che dimostrino il suo effetto protettivo nei confronti delle fratture ossee, anche del fosforo c’è una dose raccomandata che è di 700 mg negli adulti e 1250 mg al giorno negli adolescenti.

VITAMINE

È stato osservato che l’assunzione di multivitaminici ha un effetto protettivo nei confronti delle ossa, riducendo sino al 50% il rischio di frattura. Vediamo nel dettagli quali sono le caratteristiche delle principali vitamine che contribuiscono ad un buon equilibrio nel metabolismo osseo.

  • vitamina D: in pole position non poteva che esserci lei, l’unica vitamina che il nostro corpo è in grado di sintetizzare, al contrario delle altre che devono essere per forza assunte con l’alimentazione o il supporto di integratori. Infatti l’esposizione ai raggi solari induce il nostro organismo a produrre questa vitamina, che riduce considerevolmente il rischio di frattura solo se accompagnata da una adeguata assunzione di calcio.
  • vitamine gruppo B: non solo non esistono studi che dimostrino i loro effetti benefici sulle ossa, al contrario è stato osservato che alte dosi di vitamina B6 e B12 possono favorire le fratture del femore.
  • vitamina C: una dieta ricca di vitamina C è associata ad un benessere generale che comprende anche la salute delle ossa, particolarmente salvaguardata dall’assunzione di questa vitamina insieme alla vitamina K.

CAFFEINA E TEINA

Purtroppo è stato osservato che il caffè ha un effetto negativo sulla densità ossea di tipo dose-dipendente, e riguarda principalmente il sesso femminile. Al contrario il tè, ricco in flavonoidi, se assunto quotidianamente aumenta la densità ossea in diversi siti del sistema scheletrico.

FRUTTA E FIBRE

La presenza di prebiotici all’interno di alimenti ricchi di fibre migliora fortemente l’equilibrio del microbiota intestinale, che sappiamo essere responsabile della buona salute del nostro organismo e, in particolare negli anziani, favorendo l’assorbimento dei nutrienti prima citati migliora moltissimo la densità ossea.

 

Vescicole extracellulari e metabolismo osseo

Le vescicole extracellulari (EV) sono piccole vescicole con una doppia membrana fosfolipidica, prodotte dalla maggior parte dei tessuti cellulari allo scopo di veicolare il proprio contenuto a determinati target. È stata dimostrata la presenza di EV in tutti i fluidi corporei e tessuti organici, compreso l’osso dove contribuiscono a regolarne il metabolismo.

Tipologia di vescicole extracellulari

Sulla base delle loro dimensioni possiamo distinguere tre tipologie di vescicole extracellulari: esosomi, microvescicole (MV) e copri apoptotici.

Gli esosomi sono un gruppo di vescicole con dimensioni da 40 a 160nm, la cui formazione avviene in tre passaggi: 1) invaginazione della membrana plasmatica a formare l’endosoma; 2) invaginazione della membrana endosomica a formare un multi vesicular body (MVB); 3) fusione dei MVB con la membrana cellulare e conseguente rilascio degli esosomi all’esterno.

Le microvescicole hanno dimensioni comprese tra i 50 nm e 1um e prendono origine dalla membrana plasmatica tramite gemmazione verso l’esterno.

Infine i corpi apoptotici si formano in seguito alla frammentazione della cellula dopo il processo di apoptosi, e hanno dimensioni comprese tra 0,5 e 4 um.

Una volta raggiunto il target le EV possono indurre una risposta in due modi: attivando i recettori di membrana oppure rilasciando nel citoplasma il proprio contenuto (proteine, fattori di trascrizione, acidi nucleici, lipidi).

Vescicole extracellulari e metabolismo osseo

Come in ogni tessuto si possono trovare EV secrete da ogni tipo di cellula presente, ma prendiamo in considerazione solo le vescicole secrete da osteoblasti (OB) osteoclasti (OC) e osteociti.

Le cellule staminali del midollo osseo (BMSC) giocano un ruolo fondamentale nel differenziamento osteoblastico, sia come precursori che come mediatori attraverso le secrezioni di EV regolatorie che, endocitate dagli OB, promuovono l’osteogenesi. In particolare vengono coinvolti i miRNA che una volta trasferiti agli OB inducono l’espressione di geni chiave come RUNX2 e ALP, promuovendo il differenziamento e l’osteogenesi. Uno studio in vitro recente ha dimostrato l’effetto di un particolare lncRNA, il MALAt1, rilasciato dagli esosomi estratti da BMSC umane primarie. In co-coltura con OB, il MALAT1 rilasciato va a inibire il miR-34c promuovendo il differenziamento tramite up-regolazione di SATB2; una volta differenziati gli OB sono grandi produttori di vescicole attive nella regolazione del processo di osteogenesi.

I corpi apoptotici hanno un ruolo anch’essi nel rimodellamento osseo e in particolare nella comunicazione tra osteoblasti e osteoclasti. Una volta morti, in seguito per esempio ad assunzione di bisfosfonati, gli OC rilasciano corpi apoptotici ricchi di RANK che, legandosi a RANKL sulla membrana degli OB, induce un reverse signaling stimolandone la sopravvivenza e il differenziamento.

Sebbene siano gli OB e gli OC le cellule ossee maggiormente studiate, anche gli osteociti, regolatori del rimodellamento osseo, rilasciano EV in seguito a stimoli biochimici e meccanici.

EV e le metastasi ossee

Lo scheletro è uno degli organi maggiormente coinvolti nella formazione di metastasi da tumori primari, in particolare quelli che metastatizzano nel tessuto osseo con più frequenza sono quelli di mammella, prostata e polmone.

In condizioni di salute il riassorbimento della matrice ossea da parte degli osteoclasti è bilanciato dall’attività degli osteoblasti che producono nuovo tessuto. In presenza di metastasi a venire a mancare è proprio questo equilibrio, verificandosi due possibili scenari:

  • Si crea una lesione osteolitica nella quale è l’attività degli OC a prevalere andando a riassorbire tessuto osseo
  • Si crea una lesione osteosclerotica, nella quale prevale la formazione di nuovo tessuto osseo

Le EV sono coinvolte nel processo di metastatizzazione; con il loro carico di proteine e acidi nucleici, possono contribuire aumentando il potere metastatizzante delle cellule tumorali, oppure possono favorire la formazione della metastasi vera e propria promuovendo la creazione di una “nicchia premetastatica” nel tessuto bersaglio attraverso un’azione paracrina. Questi meccanismi avvengono nel tessuto osseo come negli altri tessuti, alterando il comportamento delle cellule residenti creando un’ambiente ideale alla formazione di lesioni secondarie.

Tra i tipi di EV coinvolti, gli esosomi rilasciati dalle cellule cancerose della prostata sono in grado di inibire il differenziamento degli OC bloccando il pathway NF-kB attraverso il miR-214; allo stesso tempo promuovono l’osteogenesi velocizzando il differenziamento degli OB, andando quindi a creare una massa tumorale secondaria. Per quanto riguarda invece le metastasi di natura osteolitica tipiche del tumore al polmone, le EV svolgono al contrario un ruolo pro-osteoclastogenico. Infine le EV rilasciate dalle cellule tumorali del cancro al seno agiscono direttamente sugli OB riducendone il numero e l’attività, promuovendo al contrario il differenziamento degli OC; inoltre parallelamente sono in grado di modulare l’incremento dell’angiogenesi.

EV e invecchiamento

Durante l’invecchiamento l’equilibrio fisiologico tra osteoblasti e osteoclasti diventa meno efficiente, e a prevalere è l’attività degli OC portando alla riduzione di massa ossea e all’aumento del rischio di fratture, tipica dell’osteoporosi senile.

Anche le vescicole extracellulari si modificano nel processo di senescenza e possono causare delle alterazioni nel crosstalk tra le due popolazioni cellulari del tessuto osseo, le quali sono negativamente influenzate dai miRNA rilasciati dalle EV che coinvolgono il rimodellamento osseo. In particolare il miR-214 rilasciato dagli esosomi viene internalizzato dagli OB dove ne riduce fortemente l’attività, causando la perdita di massa ossea e conseguenti fratture in donne anziane.

Applicazioni cliniche delle EV

Nella ricerca scientifica le vescicole extracellulari sono fortemente studiate perché hanno un grande potenziale clinico, grazie allo sfruttamento del loro cargo naturale ma soprattutto alle modifiche che è possibile apportare ad esso per veicolare determinati farmaci. Infatti il loro utilizzo migliore è quello di drug delivery, veicolando farmaci in maniera selettiva sul target grazie alle modifiche apportabili non solo, come precedentemente detto, al loro contenuto ma anche alla loro membrana rendendola specifica per un determinato recettore.

In recenti studi sugli animali è stato visto che le EV di cellule staminali derivanti da cordone ombelicale umano o da tessuto adiposo hanno una grande efficacia nella promozione dell’osteogenesi in modelli di osteoporosi, osteonecrosi e frattura, rappresentando quindi una valida alternativa al trapianto di cellule staminali per la rigenerazione ossea.

Naturalmente lo sviluppo di protocolli e linee guida per l’utilizzo delle EV nelle terapie è ancora in corso, tra le maggiori difficoltà che si incontrano c’è la loro purificazione e la loro breve emivita una volta in circolo, oltre che la loro tendenza ad accumularsi in fegato e polmoni.

Densità ossea e viaggi nello spazio

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Al fine di comprendere maggiormente quali effetti un tempo nello spazio, più o meno prolungato, possa avere sullo stato di salute delle ossa, in uno studio recente di Shi et al. sono stati inviati 20 topi alla Stazione Spaziale Internazionale, un vero e proprio laboratorio internazionale che orbita a 400km dalla superficie terrestre.

Gli studi che sono stati fatti al loro ritorno sulla Terra interessavano il microbiota intestinale e la densità minerale ossea (BDM), entrambi risultati alterati dopo “soggiorno” nello spazio.

Cosa succede nello spazio?

Già da molti anni è noto il fenomeno per cui gli astronauti perdono tra l’1 e il 2% della densità ossea per ogni mese trascorso nello spazio, e recentemente è venuto alla luce come l’esposizione prolungata alla microgravità causi un’alterazione anche al microbiota intestinale.

Lo studio in oggetto ha previsto che 10 topi tornassero sulla terra dopo 4 settimane e mezzo, i restanti 10 sono rimasti in orbita per nove settimane totali. Il microbiota intestinale e la BMD sono stati analizzati prima e dopo il lancio dei roditori, inoltre un campione altrettanto numeroso è stato preso come controllo ed è stato fatto alloggiare nelle stesse condizioni dei “topi astronauti” ma sulla Terra.

Rispetto ai controlli, il microbiota dei roditori che hanno trascorso 4 settimane e mezzo nello spazio è risultato alterato, la perdita di densità ossea considerevole e hanno riscontrato livelli ematici elevati di metaboliti come acido lattico e acido malico, entrambi associati proprio al rimodellamento osseo. Nei topi rimasti in orbita per 9 settimane questi esiti sono stati confermati e in proporzione sono risultati più elevati.

Tra i metaboliti riscontrati nel sangue anche il glutatione, noto per i suoi effetti antiossidanti e per il suo ruolo nel regolare l’attività degli osteoblasti, le cellule deputate alla sintesi e alla mineralizzazione delle ossa.

Per quanto riguarda il microbiota è risultato essere alterato e maggiormente diversificato rispetto ai topi non sottoposti alla microgravità, in particolare due specie batteriche erano in concentrazioni maggiori: Lactobacillus e Dorea, il cui metabolismo è coinvolto nella produzione di molecole responsabili del rimodellamento osseo.

Altri batteri inaspettatamente più numerosi dopo il viaggio dei topi nello spazio sono stati il Clostridium, Romboutsia e Ruminiclostridium, mentre i batteri Hungatella erano significativamente diminuiti.

Ovviamente si tratta di uno studio pilota e saranno necessari numerosi altri studi per convalidare l’ipotesi della correlazione tra alterazione del microbiota intestinale e diminuzione della densità ossea nello spazio.

 

Celiachia e densità ossea

Questo articolo, tratto dalla review di Mosca et al. vuole andare a esaminare la correlazione tra la densità minerale ossea (BMD) e la celiachia diagnosticata, spesso tardivamente, in giovani adulti i quali sono quindi soggetti ad un maggior ischio di frattura; inoltre vedremo quali sono gli effetti di una dieta gluten-free (GF), accompagnata dall’assunzione di integratori di vitamina D, e gli effetti dei farmaci anti-riassorbitivi.

Celiachia

La celiachia è una malattia cronica, autoimmune, caratterizzata dal malassorbimento dei nutrienti in seguito all’ingestione del glutine, un complesso proteico la cui principale proteina è la gliadina, presente in particolar modo nelle farine di frumento, farro, orzo e altri cereali. Questa malattia è caratterizzata dalla sovra-espressione dell’antigene HLA di classe II, coinvolto nell’attivazione dei linfociti T che danno origine al processo autoimmunitario; la risposta infiammatoria mediata dai linfociti T porta a un’atrofia dei villi intestinali e quindi a un malassorbimento dei nutrienti. La celiachia può insorgere a qualsiasi età, con sintomi diversi e di diversa gravità, ma non essendo uno screening obbligatorio spesso rimane non diagnosticata per anni, anche se insorta durante la prima infanzia, causando un peggioramento dei sintomi associati.

E le ossa?

La salute delle ossa viene coinvolta negativamente dalla celiachia se non curata, a causa del processo infiammatorio in atto ma soprattutto a causa del malassorbimento intestinale dei nutrienti, in particolar modo di calcio e vitamina D. Gli effetti collaterali più frequenti in pazienti celiaci diagnosticati tardivamente sono osteopenia, osteoporosi e rischio di fratture, che nei pazienti celiaci è stato visto essere del 30% più alto che nei soggetti sani, e per quanto riguarda nello specifico la frattura del bacino hanno un 69% in più di possibilità che avvenga.

Lo studio

Questa review raccoglie i dati presenti in letteratura riguardo 1) la prevalenza di osteopenia ed osteoporosi in giovani adulti (20-35 anni) appena diagnosticati con malattia celiaca; 2) gli effetti di una dieta gluten-free, iniziata al momento della diagnosi, sulla densità minerale ossea; 3) gli effetti di una combinazione di dieta GF e integratori di vitamina D e probiotici sempre sulla BMD e infine 4) gli effetti dell’assunzione di farmaci anti-riassorbitivi per osteoporosi.

Sono stati identificati i tre studi maggiormente rilevanti, uno neozelandese, uno italiano e uno argentino. In tutto sono stati analizzati i dati di 188 pazienti, tutte donne. Tutti e tre gli studi hanno evidenziato una stretta correlazione tra una celiachia non trattata e una diminuzione della BDM.

Nello studio di Zanchetta et al. 31 donne in pre-menopausa appena diagnosticate con la malattia celiaca hanno mostrato una significativa diminuzione della BMD lombare, del collo del femore e del radio distale paragonate a donne sane della stessa età, circa 30 anni. Nello stesso studio è stata dimostrata l’influenza della dieta gluten-free, in pazienti appena diagnosticati, sulla BDM che è aumentata considerevolmente in tutte le zone prese in considerazione, rispetto agli stessi soggetti prima della diagnosi. Nello studio di Passanti et al., invece, hanno scelto 110 donne a cui hanno misurato la BDM al momento della diagnosi di celiachia e poi sono state randomicamente divise in due gruppi da 55: un gruppo è stato rianalizzato dopo 2 anni di dieta GF e la BMD è risultata aumentata nel femore, il secondo gruppo è stato rianalizzato dopo 5 anni dalla diagnosi la BMD è risultata aumentata significativamente sia nel femore che nella colonna, mostrando quanto sia importante seguire una corretta dieta gluten-free.

Conclusioni

Nonostante siano pochi gli studi a riguardo, la correlazione tra la celiachia non trattata o diagnosticata tardivamente e una diminuzione della densità minerale ossea è inequivocabile. Questa evidenza è particolarmente marcata nei bambini e negli adolescenti, motivo per cui si rende necessario l’inserimento dell’analisi della BDM come esame di routine per tutti i pazienti appena diagnosticati.

Sembra anche evidente che la densità minerale ossea abbia forti benefici da una corretta dieta senza glutine.

Un’ultima analisi riguarda l’assunzione di integratori e farmaci anti-riassorbitivi. Uno studio ha analizzato 34 pazienti divisi in due gruppi, rispettivamente uno che ha affiancato alla dieta GF l’assunzione di calcio e vitamina D, l’altro ha ricevuto una singola iniezione di acido zoledronico (anti-riassorbitivo). In entrambi i casi, dopo 1 anno dalla diagnosi, si è potuto apprezzare un incremento della BMD tuttavia la differenza tra i due gruppi non è stata significativa, portando alla conclusione che in questi casi l’anti-riassorbitivo apporti un beneficio quasi paragonabile all’integrazione di calcio e vitamina D.

 

Osteoporosi gravidica: al via due studi in Italia

Partirà nei prossimi giorni lo screening nazionale per determinare quanto sia diffusa l’Osteoporosi gravidica, una grave sindrome che colpisce le ossa delle donne in gravidanza e allattamento, causando perdita di massa ossea e fratture da fragilità.

La ricerca sarà avviata dall’Osservatorio sulle Fratture da Fragilità (OFF), presieduto dalla professoressa Maria Luisa Brandi, e coinvolgerà tremila volontarie con l’obiettivo di creare una wellness community delle donne incinta e nel periodo dell’allattamento, attraverso la valutazione della densità ossea del femore e della colonna vertebrale e del rischio di frattura.

Lo studio prevede l’impiego di R.E.M.S., tecnologia diagnostica brevettata dalla società pugliese Echolight Spa e inserita come best practice nelle Linee Guida ministeriali inter-societarie sulla diagnosi, stratificazione del rischio e continuità assistenziale delle fratture da fragilità.

“Abbiamo scelto la Radiofrequency Ecographic multi Spectrometry (REMS) perché è una semplice scansione ecografica che non impiega radiazioni nella valutazione della massa ossea a livello lombare e femorale. Pertanto non comporta alcun tipo di controindicazione in gravidanza”

Spiega la professoressa Brandi, che aggiunge che le donne in gravidanza non possono essere sottoposte a raggi X e non possono, quindi, sostenere l’esame con il densitometro Dexa”. Questo studio del 2022 mette a confronto le due tecnologie, la tradizionale MOC DEXA e la tecnologia REMS altamente innovativa.

Cos’è l’osteoporosi gravidica

Si tratta di una sindrome associata al periodo che va dalla gravidanza all’allattamento e che causa la sistematica perdita di massa ossea, favorendo l’insorgenza di fratture da fragilità del rachide e del femore, anche in assenza di traumi, ed incrementando il rischio di fratture successive. Nella maggior parte dei casi non ci sono sintomi evidenti: ci si accorge della patologia solo quando si avverte un forte dolore alla schiena, determinato da un cedimento vertebrale. Un dolore che però spesso viene genericamente associato alla gravidanza o al parto e per questo la diagnosi è quasi sempre tardiva. Al contrario, diagnosticare tempestivamente vuol dire incidere in maniera significativa sulla vita della partoriente e del suo bambino prevenendo l’occorrenza della frattura. Una neo mamma con una gamba o vertebra fratturata avrà infatti difficoltà gravi nella cura del neonato con pesanti effetti anche sul nucleo familiare.

Riteniamo fondamentale lo svolgimento dello studio dell’Osservatorio sulle Fratture da Fragilità in gravidanza che finalmente rende accessibile anche a queste categorie di persone un nuovo concetto di salute ossea tramite screening in chiave preventiva

Le parole del fondatore e Ceo di Echolight, Ing. Sergio Casciaro.

L’innovatività della tecnologia REMS è che non impiega radiazioni, pertanto può essere applicata non solo alle donne in gravidanza ma anche ai bambini, ai pazienti artrosici, diabetici e oncologici. Inoltre i dispositivi REMS sono portatili e questo consente di svolgere l’esame ovunque, raggiungendo anche il paziente allettato, in ospedale o presso il proprio domicilio. Appena concluso l’esame c’è già una diagnosi estremamente accurata usufruibile senza controindicazioni, mentre con le altre tecniche MOC a raggi X è necessario ritirare il referto in un secondo momento.

La professoressa Brandi spiega che oggi non ci sono i numeri che indichino quanto sia diffusa questa condizione clinica, che può anche essere molto severa. Quel che si sa è che si tratta di una malattia relativamente rara sulla quale, tuttavia, non sono mai stati condotti studi epidemiologici. Per questo è stato deciso di sostenere l’istituzione di un’associazione di pazienti, la MAMOg (mamme con osteoporosi gravidica) con la quale avviare la ricerca. Sono donne alle quali è stata diagnosticata la malattia in maniera tardiva. Hanno lamentato forti dolori che nessuno specialista ha saputo interpretare e poi, dopo o durante il parto, si sono fratturate il femore o la colonna vertebrale. E per questo sono molto determinate. Questa indagine consentirà ai ginecologi di intervenire sulle donne che hanno uno score alto di rischio, per una serie di valutazioni, tra cui quelle che si riferiscono alla vitamina D, all’alimentazione e alla ultrasonografia per valutare la massa ossea a livello lombare e femorale. E se sono pazienti già osteoporotiche, occorrerà prendere decisioni consapevoli sul parto e sull’allattamento, in modo da arginare il problema, per poi passare a terapie farmacologiche.

 

Allergia e osteoporosi, c’è una correlazione

Inizialmente la terapia steroidea a lungo termine assunta dai soggetti allergici era l’unica correlazione clinica tra queste due malattie, ma recentemente sono state descritte diverse altre connessioni tra ossa e allergie, che esulano dal trattamento farmacologico. In questo articolo verranno illustrate le possibili interazioni tra il sistema immunitario e il sistema scheletrico nelle malattie di tipo allergico, mettendo in luce il fatto che la malattia di un sistema influenzi l’altro.

Osteoporosi e allergia

Un disturbo della microarchitettura del tessuto osseo insieme alla perdita di massa ossea caratterizzano l’osteoporosi, una malattia sistemica cronica dello scheletro, che porta di conseguenza alla tendenza alle fratture a causa di aumento della fragilità ossea. Epidemiologicamente l’osteoporosi colpisce il 12% degli uomini e il 30% delle donne, tra le quali se consideriamo donne in post-menopausa over 60 l’incidenza della malattia è intorno al 40-50%. Oltre ad essere una malattia fortemente invalidante, non è trascurabile l’impatto economico che ha sul sistema sanitario nazionale a causa selle comorbilità che insorgono nei pazienti.

Parallelamente l’allergia colpisce il 20% della popolazione mondiale, manifestandosi principalmente sottoforma di asma e riniti allergiche. Le allergie sono un tipo di patologia molto complessa, e si stanno riscontrando sempre più frequentemente in soggetti adulti dei problemi correlati all’apparato muscoloscheletrico e alle articolazioni.

Osteo-immunologia

È ormai noto che esiste un’interconnessione tra cellule immunitarie e ossa, e che si verificano interazioni nel microambiente osseo, come l’innesco delle cellule T naïve e la loro proliferazione. Le cellule immunitarie e ossee derivano dagli stessi progenitori nel midollo osseo e sono bersagli sensibili degli stessi mediatori che regolano l’ematopoiesi, le attività delle cellule ossee e le risposte immunitarie locali. Si consideri inoltre che le cellule ossee vengono influenzate dall’attività di macrofagi, linfociti B, natural killer e altre cellule immunitarie.

Le citochine inviano segnali alle cellule progenitrici nel midollo osseo per la loro differenziazione nelle due linee cellulari mieloidi e linfoidi, componenti entrambi cruciali nella risposta immunitaria. Le cellule immunitarie, gli osteoblasti e gli osteoclasti sembrano in grado di comunicare e influenzarsi tra loro, probabilmente grazie segnali di attivazione che condividono. Gli osteoclasti, nonostante la loro eterogeneità nell’origine e nell’ambiente, sono considerati una singola popolazione di cellule aventi capacità immunitarie oltre al noto ruolo di riassorbimento osseo. Questa nuova visione degli osteoclasti riconosce il loro ruolo di primo piano nella regolazione dello stato immunitario osseo sia allo stato stazionario che durante i processi infiammatori.

Infiammazione

Questo è il fattore comune alle due malattie, allergie e osteoporosi: il meccanismo, le cellule e le molecole coinvolte nel processo infiammatorio sono condivise con il sistema scheletrico. Abbiamo nominato le citochine poco prima per un motivo; esse giocano un ruolo essenziale nello sviluppo di un’allergia: reclutano e attivano i leucociti pro-infiammatori contribuendo all’insorgenza della malattia e alla sua cronicizzazione, ma dall’altra parte le citochine, insieme ad ormoni e fattori di crescita, cooperano per modulare il metabolismo osseo, bilanciando l’attività degli osteoblasti e degli osteoclasti. Tra le citochine pro-infiammatorie, IL-1, IL-6 e il TNFa sono i principali attori nel metabolismo osseo e hanno anche un ruolo chiave nelle malattie da carenza di estrogeni che inducono perdita di massa ossea.

L’asse IL-33/IL-31

Di recente è stato studiato come l’asse delle interleuchine IL-33 e IL-31 sia coinvolto in diverse patologie, dal cancro, malattie autoimmuni e allergie, all’osteoporosi. IL-31 è una citochina pro-infiammatoria, recentemente indicata come biomarker per le allergie e le malattie immunologiche, ma regola anche la proliferazione cellulare, il rimodellamento tissutale ed è coinvolta nella regolazione dei fattori di trascrizione che partecipano allo sviluppo dell’osteoporosi. Infatti livelli di IL-31 elevati nel siero sono stati osservati in donne in menopausa con una densità minerale ossea ridotta, anche se non ancora in osteoporosi conclamata. L’interleuchina-33 è strettamente collegata all’esistenza dell’interleuchina-31, insieme sono considerati un potenziale pathway nelle malattie infiammatorie croniche. L’espressione di una è in grado di indurre la produzione dell’altra, così generando un circuito amplificato del processo infiammatorio con conseguente sviluppo della malattia.

La vitamina D

La vitamina D è ampiamente riconosciuta per il suo ruolo nella modulazione della risposta immunitaria, e rappresenta forse il maggior punto di connessione tra le allergie e l’osteoporosi. La vitamina D è coinvolta nel mantenimento dell’equilibrio calcio-fosforo, alla base del metabolismo osseo, ma ha anche delle conclamate attività antiinfiammatorie.; svolge funzioni importanti a livello del sistema immunitario e interferisce nello sviluppo di malattie immuno-mediate.

Dati epidemiologici hanno suggerito una correlazione tra la carenza di vitamina D e diverse malattie immunitarie tra cui le allergie, in particolare è riportata una stretta associazione tra bassi livelli di vitamina D ed insorgenza di asma e infiammazioni delle vie respiratorie. È nota, d’altra parte, la grande importanza della vitamina D per il benessere del nostro apparato scheletrico e che la sua carenza è tra i primi sintomi di una malattia delle ossa, tra cui l’osteoporosi.

Istamina e allergia al polline

Si tratta di una molecola chiave nelle allergie. Le cellule ossee esprimono recettori per l’istamina e la stessa regolazione del metabolismo osseo coinvolge l’istamina. Inoltre è stato dimostrato che la produzione di istamina induce l’osteoclastogenesi attraverso i suoi recettori H1R, H2R e H4R portando quindi ad un maggior riassorbimento osseo e ad una diminuzione della sua densità.

Nel 2006 è uscito uno studio di Ferencz et al. Che ha indagato la correlazione tra il cambiamento di massa ossea e l’allergia al polline in donne post-menopausali e ha potuto constatare una grande presenza di fratture causate da caduta. Queste fratture, in donne già soggette a fragilità ossea, erano meno frequenti in quelle che assumevano una combinazione di steroidi per via inalatoria ed antistaminici rispetto a quelle in cura solo con steroidi. Gli autori hanno ipotizzato che il recettore antagonista dell’istamina sia in grado di compensare gli effetti negativi sulle ossa da parte dei corticosteroidi e dell’allergia stessa.

La dermatite atopica

Osteoporosi e fragilità ossea sono due conseguenze piuttosto comuni per chi soffre di dermatite atopica, un’infiammazione della pelle. Ci sono diversi fattori che possono spiegare la correlazione tra la debolezza delle ossa e la dermatite atopica, una di queste è la dieta a cui i soggetti con dermatite sono sottoposti: le restrizioni per certi alimenti possono portare ad una riduzione di calcio e vitamina D importanti per la mineralizzazione delle ossa.

Tornando alla questione della dieta, la fonte principale di calcio per l’essere umano è l’assunzione di latte vaccino; è stato dimostrato ampiamente che una scarsa assunzione di latticini porta ad un indebolimento dello scheletro. Purtroppo però il lattosio è anche causa di allergia ed intolleranze in una grande parte della popolazione, ed è stato osservato che i bambini intolleranti al lattosio sviluppano presto una carenza di calcio e vitamina D, che se non compensate possono portare a un danno al sistema scheletrico.

Conclusioni

Questo articolo, tratto dalla review del dott. Massimo De Martinis, porta alla luce molte delle correlazioni note tra sistema immunitario e metabolismo osseo: molte molecole e pathways sono in comune, a partire dall’origine delle cellule immunitarie e ossee nel midollo osseo, e non si può quindi escludere che anche le malattie che coinvolgono i due sistemi siano spesso correlate. Si tratta in ogni caso di un argomento ancora in gran parte sconosciuto e sono molti gli studi in atto per capire meglio questa dinamica.

La malattia di Bea – quando il tessuto osseo prende il sopravvento

Nel maggio 2023 un team internazionale di scienziati, guidati dall’Università di Pavia e dalla Fondazione Mondino IRCCS Pavia, è riuscito ad individuare la causa della malattia che nel 2018 aveva portato alla morte una bambina affetta da una patologia allora sconosciuta, ma riconducibile alla FOP.

Bea, questo il nome della piccola, sin da piccola presentava tumefazioni alle articolazioni; radiografie e TAC rivelarono delle calcificazioni che progressivamente trasformavano le cartilagini in osso. Questo processo è analogo a quanto avviene nella fibrodisplasia ossificante progressiva, malattia genetica molto rara causata da una mutazione al gene ACVR1 che stimola la produzione di tessuto osseo laddove invece dovrebbe esserci tessuto muscolare e cartilagineo. Ciò che differenziava la malattia di Bea rispetto alla FOP era la rapidità disarmante con la quale la malattia progrediva, portando la piccola ad essere imprigionata all’interno del suo stesso corpo, diventato un’armatura ossea.

Purtroppo sono serviti altri cinque anni dopo la sua morte per trovare la causa della sua malattia, non solo rara e grave come la FOP ma unica, e letale.

Sulla prestigiosa rivista Nature Communication il gruppo di ricerca coordinato dalla dottoressa Elisa Giorgio ha pubblicato il risultato di uno studio multicentrico che ha portato ad identificare la mutazione di Bea, le cui analisi genetiche avevano da subito escluso la mutazione al gene ACVR1 responsabile della FOP, per quanto i sintomi fossero ad essa riconducibili.

In questo studio, è stata individuata una duplicazione inter-cromosomica, ovvero una duplicazione di un segmento del cromosoma 2 inserito sul cromosoma X della bambina, inserzione che va ad interrompere un dominio topologico causando una forma ultra-rara e progressiva di ossificazione eterotopica. Questa variante strutturale ha portato al dirottamento dell’enhancer e alla mancata espressione di ARHGAP36 nei fibroblasti; inoltre, la sovra-espressione di ARHGAP36 inibisce il TGFβ e attiva la segnalazione di hedgehog, i geni/proteine legati alla produzione di matrice extracellulare.

In particolare ARHGAP36 svolge un ruolo chiave nella formazione del tessuto osseo ma se iper-attivato, proprio a causa della traslocazione del segmento di cromosoma 2 sul cromosoma X, induce la proliferazione delle cellule del tessuto osseo nelle locazioni sbagliate, ovvero cartilagini e tessuto muscolare.

Questa mutazione, ora lo sappiamo grazie a questo importante studio, ha trasformato Bea nella “bambina di pietra” per cui è stata tristemente nota.

Fibrodisplasia ossificante progressiva

La fibrodisplasia ossificante progressiva (FOP) è una malattia genetica estremamente rara, la quale porta le cellule dei muscoli scheletrici e del tessuto connettivo costituente i tendini e i legamenti a modificarsi trasformandosi in cellule tipiche del tessuto osseo. Si tratta di una condizione congenita, ovvero i suoi portatori ne sono affetti sin dalla nascita, e di origine genetica, in particolare è una malattia autosomica dominante.

Epidemiologia

La FOP colpisce una persona ogni 2 milioni circa, rientrando quindi nelle malattie rare, stando a un dato epidemiologico del 2017 sarebbero affette da questa malattia solo 800 persone in tutto il mondo. L’insorgenza della malattia è ancora a livello embrionale ed è frutto di un evento spontaneo, molto raramente è invece trasmessa dai genitori.

Cause

La fibrodisplasia ossificante progressiva è causata da una mutazione nel gene ACVR1, situato sul cromosoma 2. Il gene ACVR1 è responsabile della produzione della proteina recettoriale Activin A receptor type 1, che regola la crescita, sviluppo e riparazione del tessuto scheletrico. In condizioni fisiologiche il recettore si attiva al bisogno quindi nella fase di sviluppo e poi in caso di fratture per la rigenerazione ossee. Nelle condizioni patologiche, quindi nelle persone affette da fibrodisplasia ossificante progressiva ( sia essa acquisita quindi scatenata da una mutazione spontanea o, nel caso più raro ancora, ereditaria) il recettore ACVR1 a causa della mutazione è perennemente attivato (attivazione costitutiva), comportando una perdita di controllo dei processi di ossificazione sopraindicati andando progressivamente a sostituire il tessuto connettivo con il tessuto osseo.

Sintomi e conseguenze

Il primo sintomo che si manifesta in presenza di questa malattia è una perdita di mobilità delle articolazioni e dei muscoli, in quanto il tessuto osseo è andato a sostituire quello muscolare, tendineo e cartilagineo. Le ripercussioni maggiori sono sulle capacità motorie del paziente. Statisticamente la malattia si manifesta preferenzialmente a partire dalla parte superiore del corpo, pregiudicando inizialmente le articolazioni e i muscoli della testa, collo, torace e arti superiori; in un secondo momento si compromettono le funzionalità muscolari e articolari dell’addome, pelvi e arti inferiori.

I pazienti affetti da FOP rilevano in tempi brevi una difficoltà nel masticare e parlare a causa dell’ossificazione dell’articolazione temporo-mandibolare, portando successivamente a malnutrizione se non diagnosticata in tempo.

I problemi di equilibrio e coordinazione sono dati dall’ossificazione di articolazioni importanti quali spalla, gomito e ginocchio, inducendo oltretutto il paziente ad andare incontro a numerose fratture o infortuni muscolo-articolari, i quali danno luogo a processi riparativi insoliti a causa dell’iper-attivazione della proteina recettoriale ACVR1 che produce tessuto osseo extra. Questo può essere un campanello d’allarme qualora non sia ancora stata diagnosticata la malattia, perché in prossimità degli eventi traumatici si formano delle protuberanze ossee. La conseguenza più grave che la fibrodisplasia ossificante progressiva porta, e che è solitamente anche la causa del decesso, è la sempre maggior difficoltà ad espandere la gabbia toracica portando a gravi problemi di respirazione.

Esistono alcune parti del corpo che non vengono mai intaccate dalla malattia, queste sono: lingua, miocardio, diaframma, muscolatura liscia e muscoli extraoculari.

Diagnosi

La diagnosi della fibrodisplasia ossificante progressiva avviene, purtroppo, in tempi lunghi a causa della sua rarità: infatti i primi sintomi portano lo specialista a ipotizzare malattie più comuni come tumori ossei o fibromatosi aggressiva giovanile. L’esame obiettivo è senz’altro il primo step per diagnosticare correttamente la malattia, ma può essere confermato solo da un’analisi del genoma.

Alluci deformi, difficoltà motorie, perdita di equilibrio e frequenti fratture, comparsa improvvisa sul copro di infiammazione: questi sono gli aspetti che si presentano ad un primo esame obiettivo. L’analisi del DNA finalizzata a rivelare eventuali mutazioni confermerà la mutazione al gene ACVR1.

Terapia

Purtroppo i trattamenti ad oggi disponibili sono esclusivamente sintomatici, vanno quindi ad alleviare la sintomatologia posticipando le complicazioni ma non sono in grado di curare la malattia, né in fase embrionale né durante la prima infanzia del bambino.

I possibili trattamenti contro la FOP sono: somministrazione di FANS o corticosteroidi per contrastare i fenomeni infiammatori improvvisi e l’uso di tutori e supporti per la deambulazione. Non è praticabile una chirurgia per andare a eliminare i grumi di tessuto osseo perché la sovra-espressione della proteina ACVR1 comporterebbe un’ossificazione della zona lesa ancora maggiore, proprio per la risposta insolita ed esagerata alle lesioni muscolari o ossee della proteina che regola la crescita di questo tessuto.

 

ABIOGEN Pharma acquisisce EffRx Pharmaceuticals

Abiogen Pharma S.p.A è un’azienda farmaceutica leader del settore in Italia, specializzata nell’area osteoarticolare e del metabolismo osseo e già dal 2014 in possesso della licenza per la commercializzazione in Italia del prodotto di punta di EffRx: alendronato sodico effervescente, appartenente a un gruppo di farmaci non ormonali denominati bisfosfonati. L’azienda svizzera EffRx Pharmaceuticals SA sviluppa e commercializza farmaci con indicazioni specialistiche, in particolare per patologie muscoloscheletriche e rare.

Per Abiogen Pharma quindi, l’acquisizione consolida la strategia di internazionalizzazione avviata a partire dal 2015 e costituisce un ulteriore passo verso il raggiungimento di un ambizioso obiettivo: “Oltre a rafforzare la nostra posizione in Italia – spiega Massimo Di Martino, Presidente e AD di Abiogen Pharma – l’acquisizione della maggioranza di EffRx è in linea con il nostro modello di crescita, costituisce una rampa di lancio per l’espansione internazionale e conferma la nostra missione e il nostro impegno per la salute delle ossa e per le malattie rare”.